martedì 9 aprile 2013

Antonio Ingroia e Willy il Coyote

C'è un filo rosso, un minimo comune denominatore che tiene insieme popolazioni (gli umili di Manzoni, i vinti di Verga, i cafoni di Silone, gli analfabeti meridionali di ogni tempo,...), cartoni animati (!) (Willy il coyote, Gatto Silvestro, Gargamella,...), icone della storia (Annibale, Giordano Bruno, Masaniello...), miti delle fiabe/favole (orchi, streghe, lupi,...), personaggi contemporanei (Roberto Baggio, Antonio Ingroia,...), partiti politici (il P.C.I., il P.S.I.,...): la condizione dell'essere perdenti.
Sia chiaro, non mi sfuggono le differenze tra le diverse categorie e i vari appartenenti ad ogni insieme. Gargamella, per citarne uno, non solo è perdente adesso rispetto ai Puffi ma lo sarà sempre, condannato com'è ad esserlo dal canovaccio della storia data in pasto ai bambini (e non solo). Annibale, invece, lo è divenuto, perdente, dopo aver addirittura vinto (e che vittoria!), con i suoi elefanti mastodontici ai piedi delle Alpi che quando li sognavo mi facevano prendere la "verminara", il fantasmagorico Senatus Populusque Romanus.
Anche e vieppiù  per i personaggi contemporanei, vale la necessaria relativizzazione della definizione. Ed infatti, non mi sfugge la difficoltà di incorporare il Divin Codin nella categoria anzidetta ma se si pensa che Baggio non è riuscito mai a vincere il mondiale, pur avendo innalzato al cielo numerosi trofei, ecco che la definizione di perdente è bell'e giustificata. Così come accade con l'ottimo Antonio Ingroia che non ce l'ha fatta a portare in dote all'asfittica "Stanza dei bottoni" la sua onestà e competenza.
Sì ma, in buona sostanza, perchè proprio l' "elogio" del perdente?
Semplice: a me, i perdenti, mi (anacoluto voluto) piacciono assai. Ma non quelli rassegnati a siffatta condizione (perchè il perdente vero lo è, anche solo nelle intenzioni, sempre momentaneamente) bensì i perdenti che, a prescindere se ce la faranno o meno a ritornare a vincere o a vincere per la prima volta, si battono per crearsi la chance di dimostrare la bontà delle proprie battaglie.
Basta guardarli anche distrattamente: leggi nei loro occhi quella sofferenza, quell'essere vittima sacrificale del fato avverso che sanno o si illudono di poter cambiare perchè solo così riusciranno a proiettare i riflettori della Storia sulla giustezza delle loro convinzioni; convincimenti, guardacaso, che quasi sempre si rivelano esatti.
Graecia capata ferum victorem cepit (la Grecia, conquistata (dai Romani), conquistò il rozzo vincitore).
Già, Orazio ha dato la definizione perfetta del perdente. Colui, cioè, che apparentemente sconfitto, sostanzialmente è il vero vincitore.
Dimenticavo. Se non si fosse capito, anch'io mi reputo un perdente e sono fiero di esserlo.

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