lunedì 27 maggio 2013

Il figlio dell'operaio e la "Critica della ragion pura"

È arrivato Gustavo. Dopo tre chiamate andate a vuoto come, d'altronde, le altrettante riparazioni fai da te dello sciacquone, finalmente la sua presenza si è materializzata. Qui e ora.
Gustavo è mio coetaneo. Ma vi è di più. E' più o meno l'esempio negativo che, una volta addidatoti come miserevole approdo a cui può portarti l'ennesimo quattro in greco, ti spinge a suffumigi disperati di versioni e ottativi.
E io me la ricordo ancora, gli possino, la sequenza corporea di papà. Dapprima il mento spianato sul malarnese appena tornato da lavoro, di poi l'indice fracristoforesco accompagnato dal “Verrà un giorno...” che mi prospettava la fine ingloriosa e sudicia di Gustavo se solo non avessi colmato quell'insufficienza.
Indi per cui, eccomi a sobbalzare nel cuore della notte; ad immaginarmi sporco, con la chiave a pappagallo arrugginita tra le mani.
Sta di fatto che la mia pigrizia mentale, stroncata da quell'infausto presagio, ci mise ben poco a lasciare il posto ad un iperattivismo capace di un fulmineo approdo alla sufficienza. Anzi, c'è da credere che se l'agghiacciante scenario mi si fosse prospettato qualche mese prima, probabilmente avrei addirittura oltrepassato la fatidica soglia del sei, tanta era la disperazione in cui il mio animo cadeva nell'istante stesso in cui osava anche solo immaginare una vita da Gustavo.
La stessa vita che adesso, in questo preciso istante, mi trovo mio malgrado a guardare con altri occhi. Quali? Beh, quelli dell'evidenza, per esempio.
Da una parte il Suv BMW con il quale è arrivato l'idraulico, uscito dal parco della sua villa e il costo della riparazione durata non più di dieci minuti; dall'altra, la mia fiat 600 cointestata con la mamma che sgaiattola fuori da casa dei miei e la parcella miserrima per una messa in mora “già fatta nel pc” e di durata analoga alla riparazione..
I fallimenti si generano dalla comparazione di dati. Il resto è aria fritta.
<Ma tu non pensi alla cultura, all'istruzione!> sembrano scusarsi gli occhi “pigliati collera” di papà.
Io pur andando fiero, nell'ordine, della mia laurea rigorosamente fuoricorso, dei miei esami al netto di pelose sponsorizzazioni, di quel pizzico di cultura che mi contraddistingue, non posso non sentirmi leggermente frustrato.
Lo sciacquone riprende a funzionare. Il costo della chiamata, calmierato da una conoscenza ventennale, e il prezzo della riparazione, vengono pagati. 
Gustavo s'accinge a lasciarci con la magra consolazione, mia e di papà, del nostro investimento sulla conoscenza e sulla cultura.
Risorse queste, santo Iddio, che mai e poi mai baratteremmo con la chiave a pappagallo di Gustavo.
In parte rinfrancato, sorveglio debitamente occultato dalla tenda celestina l'uscita del Suv bianco affronto. Sortita ritardata che alimenta la suspence. Troppo ritardata.
Suonano al citofono. Mi vien da sorridere pensando che Gustavo possa aver dimenticato la chiave a pappagallo. Io, per parte mia, non sarò mai costretto a ritornare sul luogo di lavoro per riprendere un oggetto smarrito. Non avrò mai la necessità di recuperare il classico ferro del mestiere senza il quale la mia operatività è nulla.
Pregusto già la soddisfazione nel vedere la sua mano callosa alla ricerca dello strumento della sua scienza. Anzi, dell'aggeggio che è, in pratica, la sua arte.
<Scusatemi, avevo dimenticato il libro. E domani ho l'esame.>
“Critica della ragion pura”. Ovviamente, Kant.
Mio padre s'affloscia sulla poltrona. Io mi aggrappo alla tenda.

Sul salotto zio Giorgio con Anita in grembo sorride. Di un sorriso plasmato dal rosso riverbero che il figlio dell'operaio deve poter essere messo nelle condizioni di raggiungere i più alti gradi di istruzione. A patto però, vorrei aggiungere al pensiero astrattamente condiviso, che non si discosti dal cliché del giovane istruito sì, ma anche squattrinato. 
Il rombo dell'irriverente Suv e le volute della tenda divenute improvvisamente soffocanti,  però, me l'impediscono.

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