mercoledì 16 luglio 2014

Come un rivoluzionario in un collegio di seminaristi


Sto alla finestra e lo guardo rincasare dopo una giornata di duro lavoro, così sporco di calce da sembrare essersi messo d'impegno a non lasciare manco una fibra pulita della sua maglietta. A tal punto che Carmelina, sua moglie, lo sfotte accusandolo di insozzarsi apposta in modo così assorbente, per convincere la famiglia della sua completa dedizione al lavoro. E come sempre, immancabilmente dopo queste dolci accuse, a Luigi scappa da ridere mentre abbraccia Valentina e Luca.
Rientra  a casa. Si sentono le grida divertite dei bambini. Poi l'odore caldo delle patatine, fritte apposta per la ghiotta Valentina. Ancora l'acciottolio delle posate abbandonate ai lati del piatto.
Infine la luce riempie la finestra e il televisore traghetta verso il sonno l'intera ciurma familiare.
La domenica mattina, invece, li puoi incontrare, Luigi, Carmelina e i pargoli, in giro con le bici che furoreggiano per il Parco Mercatello.
Luigi sta lavorando davvero sodo, lo conferma pure Tonino il barbiere, qui all'angolo. Il fatto è che, finalmente, la banca gli ha concesso il mutuo e lui vuole quanto prima comprarsela, questa casetta col giardino. E giù sacrifici, piccole rinunce, pur di raggiungere lo scopo della vita. Che poi, a dirla tutta, tutto 'sto sacrificio non è che gli pesi eccessivamente. A lui, infatti, piace lavorare. Tanto che, nei dì di festa, si sente un po' spento, alquanto perso. Gli manca il "concreto operare", il sudore della fatica.
Non concepisce attività diversa dal faticare e dallo stare con i suoi cari.
Io, da parte mia,  sto qui, come sempre affascinato da questa rassicurante normalità di Luigi e della sua famiglia. Sì, ad esser sincero, dovrei parlare di banalità (almeno questo è il termine che, perfidamente, si affaccia per primo alla mia mente). E sia, banalità! Ma com'è assorbente, com'è rassicurante tutta questa rinfrancante banalità!
La mia intelligenza artata, da intellettuale (quello che fingo di essere e non sono!) schiavo dei mille bisogni del suo cerebro che si trova costretto ad alimentare e ad accudire, la capisce. La brama. La reputa il senso profondo della vita. Ciononostante, però, si sente incapace di sentirsene appagato in maniera totalizzante.
C'è quel libro, quello scritto lì sulla scrivania che attende di essere completato. E poi, l'esercizio di pianoforte per superare finalmente l'esame. Il viaggio tanto atteso che è venuta l'ora di intraprendere.
 
«Oh! Questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno di essere poeta!».

E nonostante siffatta vergogna della mia condizione, malgrado l'inadeguatezza del rivoluzionario barricato in un collegio di seminaristi, amo, in una sorte di perversione masochista , la mia indole sferzata dall'inesauribile curiosità.
Sono ammaliato dallo spirto guerrier ch'entro mi rugge e che non la smette di darmi tregua. Allo stesso modo, sono convinto, in cui amava la sua condizione l'ottimo Gozzano.



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