sabato 18 ottobre 2014

“Il dottor Zivago”, di Boris Pasternak

Mai nessun romanzo come Il dottor Zivago ha avuto, suo malgrado, un’importanza esogena, “esterna” almeno pari a quella più propriamente letteraria.

Brevemente: questo libro è stato scritto da Pasternak immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale e subito rifiutato dall’Unione degli Scrittori Russi.

Pur bandito dal Governo, miracolosamente Il dottor Zivago riesce a oltrepassare i confini sovietici. Viene pubblicato, allora, dalla nostra Feltrinelli (!) in un’edizione diventata giustamente famosa.

Nel 1958 ecco arrivare il premio Nobel per Pasternak. I retroscena di questa assegnazione, però, sono degni della migliore spy story: vengono coinvolti, infatti, servizi segreti pronti a dirottare aerei e a compiere eclatanti operazioni di contraffazione.

In estrema sintesi: il regolamento dell’Accademia svedese prevede, per l’assegnazione del Nobel per la letteratura, che l’opera sia pubblicata nella lingua madre dell’autore. Ora abbiamo appena scritto che la prima pubblicazione del Dottor Zivago si è avuta in Italia. Ergo, il romanzo difetta di un requisito fondamentale.

Come sopperire alla, in altri casi, insanabile mancanza?

Grazie all’aiuto della CIA e dell’Intelligence britannica (!) che riescono ad intercettare la presenza di un manoscritto in lingua russa a bordo di un aereo. Dopodiché, far deviare l’aereo e impossessarsi dell’opera letteraria, è tutt’uno.

A questo punto, non resta che mettere in atto la messinscena con la stessa abilità con cui il Baudolino di Umberto Eco inventa di sana pianta le missive del Prete Giovanni.

Impossessatisi del manoscritto, infatti, i servizi segreti provvedono a fotografarlo pagina per pagina e a pubblicarlo su carta con intestazione russa. Ma vi è di più: addirittura ci si spinge fino a utilizzare le tecniche tipografiche tipiche delle edizioni sovietiche per rendere più verosimile l’opera di mistificazione.

Dopo tutto ciò c’è l’assegnazione, come dicevamo, del Premio Nobel per la letteratura che Pasternak non ritirerà per le minacce, anche di morte oltre che di espulsione dall’amata patria, del KGB.

Ora la domanda sorge spontanea: perché, da un lato, i servizi segreti occidentali si dannano l’anima per favorire l’assegnazione del Nobel a Pasternak mentre, dall’altro, il KGB minaccia addirittura di morte lo scrittore se si presenterà a ritirare l’ambito premio?

Il marxismo è troppo poco padrone di sé stesso per essere una scienza. Le scienze hanno più equilibrio. Il marxismo e l’obiettività? Non conosco corrente che non sia più chiusa in sé stessa e più lontana dai fatti del marxismo (…) Gli uomini di governo (…) fanno di tutto per voltare le spalle alla verità.

Ecco, proprio un brano come questo ci fornisce la spiegazione del perché: da una parte e dall’altra della Cortina di Ferro, si è interessati dal Nobel a Pasternak; comprensibilmente, gli uni per facilitarne l’assegnazione, gli altri per impedirla. Entrambe la parti della commedia comunque, pronte ad utilizzare qualsiasi mezzo per raggiungere lo scopo.

Eppure è lo stesso scrittore che, per chi volesse guardare al di là degli obnubilamenti ideologici, ci dà la linea interpretativa de Il dottor Zivago.

Qui di seguito, ad esempio, uno dei personaggi ne rimprovera aspramente un altro:

Siete un bambino o ci fate? Da dove venite, dalla luna? Avidi parassiti sfruttavano i lavoratori affamati, li facevano faticare a morte, e doveva durare sempre così? E tutte le altre offese, tutte le altre forme di sopraffazione? Possibile che non comprendiate la legittimità della collera popolare, il desiderio di vivere secondo giustizia, la ricerca della verità? O vi sembra che un capovolgimento radicale possa ottenersi attraverso la Duma, per via parlamentare, e che si potesse fare a meno della dittatura?

Per concludere quindi, trattasi di un romanzo che più che criticare la rivoluzione d’Ottobre e il marxismo, ne condanna le degenerazioni e gli eccessi.

Per intenderci, l’annosa querelle tra comunismo reale e comunismo filosofico.

Dopo questa lunga, doverosa premessa “esterna” al romanzo, passiamo alla sua analisi più propriamente contenutistica.

Diciamo subito che se Il dottor Zivago fosse stato valutato unicamente secondo i parametri letterari, probabilmente non avrebbe ottenuto l’insigne riconoscimento. Anche perché Pasternak ha scritto un solo libro e, almeno per quello che mi sembra di ricordare, è difficile che ad uno scrittore, per quanto capace, venga assegnato il Nobel per una sola opera.

Ma qual è la cifra letteraria di questo manoscritto? È un romanzo che, degno figlio della letteratura russa, richiede una lettura costante, giornaliera, tanto è numeroso l’intreccio di storie e personaggi, anche di secondaria importanza, che fanno capolino tra le sue pagine.

Il protagonista, Jurij Zivago, è ottimamente cesellato nella sua “complessità semplice”. Animo complesso perché “diverso” dagli altri personaggi, un uomo nell’astuccio (Cechov) di una profondità di pensiero fuori dal comune; purtuttavia, però, un animo semplice, capace di stanare le esagerazioni deprecabili e le cervellotiche esasperazioni della Rivoluzione e, successivamente, del N.E.P. (Nuova Politica Economica inaugurata da Lenin nel 1921 con parziale ripristino della proprietà privata e del libero commercio).

Il suo controcanto letterario è Larisa Fedorovna (Lara), una ragazza costretta a crescere troppo in fretta a causa delle attenzioni deprecabili dell’avvocato Komarovskij.

Uno scrigno di equilibrio, misura e femminilità che riesce ad aprirsi solo durante la guerra, al cospetto di Jurij Zivago con il quale collaborerà in veste di infermiera.

Ed è proprio la guerra, con la sua dispersione di uomini (il marito di Lara, Pavel Pavlovic, andrà a combattere come partigiano mentre Tonija, la moglie di Zivago si troverà, per diversi motivi, lontana dal suo compagno per buona parte del romanzo)…; dicevo, proprio la guerra con le sue giornate gelide di corpi straziati, attraversata com’è, nella sua dimensione reale oltreché immaginaria, dallo squittio incessante dei topi, a presentarsi come il palcoscenico, tragico e pur ideale, per l’unione di due anime (Zivago e Lara) del tutto complementari.

E poi, come accennavamo, Pavel Pavlovic che, desideroso di diventare finalmente degno della grandezza di Lara, si dedica anima e corpo, anche sacrificando i suoi affetti più cari, all’ideale della guerra; ancora, l’avvocato Komarovskij, la stereotipata figura dell’uomo arrivista e privo di scrupoli; infine la rassicurante normalità di Tonija e le tante, profonde donne che costellano questo romanzo.

A costo di essere prolissi, non si può esimersi dal riportare un altro (l’ultimo) passo del libro, in cui Zivago, rivolgendosi a Lara, dà una definizione originale e illuminante della gelosia:

È strano, mi sembra di poter essere mortalmente geloso soltanto di una persona ignobile, del tutto estranea a me (…). Se un uomo spiritualmente vicino a me, per il quale avessi dell’affetto, amasse la stessa donna che amo io, proverei un sentimento di dolente fraternità con lui, non di contrasto e di avversione. Certo, non potrei dividere con lui, neppure per un istante l’oggetto della mia adorazione, ma sarebbe una sofferenza completamente diversa dalla gelosia, non così accesa e sanguinosa. Lo stesso mi accadrebbe se mi imbattessi in un artista che mi soggiogasse con la superiorità del suo ingegno in opere similari alle mie. (…). Credo che non ti amerei tanto se in te non ci fosse nulla da lamentare, nulla da rimpiangere. Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.

Per ciò che attiene allo stile, Pasternak adotta una scrittura che troppo spesso strizza l’occhio alla poesia (non a caso, alla fine del libro, vi sono proprio alcuni componimenti poetici attribuiti dall’autore a Jurij Zivago), e che, in alcuni frangenti, sembra compiacersi oltremodo di sé stessa.

In conclusione, Il dottor Zivago rimane comunque un’opera di capitale importanza per intercettare lo spirito russo del primo Novecento; un romanzo di spessore, con una introspezione psicologica di molti personaggi davvero notevole.

Detto questo, non pensiamo di peccare di lesa maestà quando diciamo che, al cospetto dei “tumultuosi moti interiori” del Guerra e Pace di Tolstoj o della “sfiancante ricerca della propria dimensione” di Delitto e Castigo di Dostoevskij, quest’opera ne esce inevitabilmente ridimensionata.

Ma forse il paragone non è nemmeno giusto. Parliamo, tra l’altro, di due secoli diversi oltreché, ovviamente, di un confronto (ingrato) con due mostri sacri della letteratura mondiale.

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