lunedì 5 gennaio 2015

Il respiro di Napoli (su Pino Daniele)

Il respiro di Napoli, arrochito dalla pietra lavica del Vesuvio, affannato dai miasmi dei roghi tossici, eternato dagli squarci di storia infinita…

…e ancora, il respiro di Napoli, cullato dall’ adda’ passà ‘a nuttata, raccontato dai vicoli stesi al sole, immillato dalla musica delle contaminazioni…: ebbene, il respiro di Napoli è venuto, ancora una volta, meno.

Nei polmoni abusati eppure capaci di sempre nuovi immagazzinamenti di vita, vi è stato un momento di pucundria. Una pausa che ha atrofizzato, sia pure solo per un attimo, gli alveoli che incamerano l’addore ‘e mare e lo trasformano in mille culure.

Il respiro di Napoli si è strozzato in gola. È morto Pino Daniele.

Per trenta secondi, la città si è cristallizzata in un dagherrotipo del tempo presente, eppure già imbrigliato nel passato di un’assenza.

Napule è ‘na carta sporca…

Ogge è deritto, dimane è stuorto, e chesta vita se ne và…

E nui passammo e uaie e nun puttimmo suppurtà e chiste invece e rà na mano s’allisciano se vattono se magniano a città…

E ancora, perché i trenta secondi dei grandi si misurano in emozioni, il blues napoletano di un nero a metà, l’oggi è sabato, domani non si va a scuola di ogni ultima ora di religione, il quanto costa la felicità delle prime riflessioni sul senso della vita; infine, l’a me me piace chi dà ‘nfaccia senza ‘e se fermà’, rimuginato davanti a ‘na tazzulella ‘e cafè, quanno chiove e avresti voglia di mettere tutti ‘nfaccia ‘o muro.

Al respiro di Napoli basta anche solo questo primo universo di musica di Pino Daniele, per avvertire l’esigenza di fermare il cuore del suo microcosmo.

Come le era capitato di fare anche per Massimo Troisi, che aveva rivestito di immagini le semiminime e gli accordi della chitarra di Pino Daniele.

Il respiro di Napoli, però, inizia a insufflare aria non appena viene solleticato da un altro garage del Rione Sanità, dove un giovane cerca il riscatto tra le corde di una chitarra; quando viene pungolato da un ennesimo scugnizzo che imbraccia uno strumento troppo pesante di fatica per essere studiato nelle aule leggere del Conservatorio.

Il gorgoglio di vita chiede di poter sfociare in un rigurgito di aria allorquando assiste all’incontro tra un chitarrista e un attore che continueranno a declinare, servendosi di musica e celluloide, il genio di Napoli nel mondo.

Troppa aria viene immagazzinata nei polmoni. È giunto il momento di riattivarsi.

Il respiro di Napoli riprende ancora una volta a dare senso alla vita.

E cammina, cammina vicino ò puorto / e rirenno pensa a’ morte / se venisse mò fosse cchiù cuntento / tanto io parlo e nisciuno me sento…

Addio Pino, e quanto ti sbagliavi nel pensare che la morte potesse rendere afona la tua voce di chitarra e poesia!

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