martedì 3 febbraio 2015

“Il reparto n. 6″, di Anton Cechov (I/II)

Eccolo qui che prende forma, il reparto n. 6 di Cechov

Lungo le sue pareti sono ammucchiate intere montagne di rifiuti ospedalieri: materassi, vecchie vestaglie a brandelli (…), camicie a righe azzurre, scarpe logore, inservibili. E da queste spoglie di squallida pazzia, esala l’immancabile puzzo di cavolo acido.

Eppure lì, oltre la facciata posteriore, ci sarebbero i campi, le lusinghe di una vita “sana”; l’anelito, però, è ben presto frustrato dal grigio steccato dell’ospedale, pieno di chiodi (…) le cui punte sono rivolte all’insù (e come non riandare, con la memoria, ai cocci aguzzi di bottiglia del rovente muro d’orto di Montale?).

Dopo il custode dell’ospedale Nikita (è uno di quegli uomini semplici, positivi, efficienti e ottusi che più di tutto al mondo ama l’ordine e perciò è convinto che bisogna picchiarli, i matti), Cechov passa in rassegna uno dei pazienti sovvertitore, suo malgrado, dell’ordine agognato dal custode, Ivan Dmitric Gromov (i lineamenti sono raffinati, portano il segno di una sincera, profonda sofferenza, rivelano intelligenza e saggezza) che soffre di manie di persecuzione.

La penna di Cechov, infine, si attarda a tratteggiare la figura del dottore Andrej Efimyc, che è chiamato a occuparsi del reparto n. 6. Un nichilista che non ha il coraggio di prendere in mano la sua vita e di condensarla in una posizione purchessia. È al corrente, ad esempio, che Nikita picchia senza ritegno i degenti, che all’interno del reparto vengono commessi dei furti. È  anche a conoscenza dell’abitudine del vecchio dottore di vendere clandestinamente l’alcool. L’unica cosa che, però, fa il povero Andrej Efimyc, il solo gesto di ribellione allo status quo di miseria umana che riesce a intestarsi, è pregare inservienti e infermiere di non pernottare nei reparti e di far mettere due armadi per gli strumenti.

Cechov, da subito, contrappone al fatalismo rassegnato del dottore (Se in un anno si arriva a curare circa dodicimila pazienti, vuol dire che in un anno, alla resa dei conti, vengono truffate dodicimila persone), il positivismo efficiente dell’infermiere capo Sergej Sergeic, che in città ha un’enorme clientela privata e che si ritiene più competente del dottore che clientela privata non ne ha.

Profondamente diverso è, come Cechov si affretta a precisare, anche l’aspetto e il modo di porsi di Andrej Efimyc rispetto a quello dell’infermiere capo. Se il dottore, infatti, ha un aspetto solido, rozzo, contadinesco: faccia, barba, capelli lisci, corporatura piena, goffa che fanno pensare più ad un bettoliere ingordo, intemperante, sbrigativo, l’infermiere capo, invece, si presenta con la faccia paffuta, lavata e ben rasata e con modi posati, tranquilli; a tal punto, chiosa lo scrittore, da sembrare un senatore più che un infermiere (e qui ritorna il Cechov dei Racconti Variopinti, ovverosia lo scrittore che vedeva comicamente ma sentiva tragicamente – E. Lo Gatto)

E come non accennare al contrasto tra il dottore, che usa la stessa finanziera per ricevere i malati, pranzare e andare in visita, non per avarizia – si affretta a precisare Cechov – ma per totale disinteresse per il proprio aspetto, e Sergej Sergeic, che porta un vestito nuovo molto largo e la cravatta bianca come i medici?

Infine, l’ennesima contrapposizione tra i due: Sergej Sergeic è religioso e ama gli addobbi sacri. Andrej Efimycn, all’opposto, non guarda al fine, la salvezza eterna, ma porge attenzione e degna di rispetto il mezzo, la sofferenza, perché è proprio la sofferenza a spingere l’uomo a raggiungere la perfezione; anche perché, se l’uomo imparerà davvero ad alleviare le sofferenze con pillole e gocce (ed ecco demitizzato il ruolo della medicina), finirà per trascurare del tutto religione e filosofia. Idea di religiosità, quest’ultima, che sembra messa a guardia dell’ordine sociale, quasi ad anestetizzare (e l’oppio dei popoli di Marx non è poi tanto lontano) la coscienza vigile della popolazione.

Il dottore passa il suo tempo tra le sempre più diradate visite al reparto n. 6, e il suo studio, con le abitudini consolidate, in compagnia degli amati libri (Legge moltissimo (…) Metà del suo stipendio se ne va in acquisto di libri, tre delle sei camere del suo appartamento sono stracolme di libri).

Eppure, nella torre eburnea della sua esistenza, si sta insinuando il tarlo pernicioso del cambiamento: tuttavia, di recente (…) è cominciata a circolare una voce piuttosto strana. Circola la voce che il dottore abbia cominciato a frequentare il reparto n. 6.

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