venerdì 26 giugno 2015

"Povera gente", di F. Dostoevskij



A ventidue anni Dostoevskij è promosso ufficiale ma, affascinato dall'universo altro che i suoi autori preferiti (tra gli altri Pukin, Byron, Scott, Hugo, Schiller, Shakespeare) gli lasciano intravedere, rinuncia alla carriera militare per darsi anima e corpo alla letteratura.


E mentre si arricchisce l’animo con frange d’infinito, s’impoverisce la scarsella che ben presto gli mostra, disarmata, il fondo della cucitura.

Che fare, allora? Il giovane Dostoevskij riesce a sfamarsi con qualche traduzione che di tanto in tanto gli affidano.

Ben poca cosa, a dirla tutta.

Proprio in questo contesto di estrema povertà allora, nasce Povera gente, uno “studio magistrale sugli uomini” (Zweig).

“La sua più grande umiliazione, la povertà, lo ha (il capolavoro, ndr) generato; l’amore delle sofferenze, l’infinita pietà del male altrui, lo ha benedetto.”

Dopo non poche titubanze, Dostoevskij affida il manoscritto al poeta Nekrasov affinché lo esamini.



Alle quattro del mattino di due giorni dopo l’esaminatore è davanti alla porta dello scrittore perché avverte l’esigenza insopprimibile di abbracciarlo. “Un nuovo Gogol è nato!“, gli annuncia mentre non smette di stringerlo tra le sue braccia. E non a caso Nekrasov parla di Gogol perché il romanzo di Dostoevskij richiama, anche nel contenuto oltre che nello stile, Il cappotto di Gogol, il cui protagonista è proprio un copista alla stregua di Makar Alekseevič Devushkin personaggio principale, assieme a Varvara Dobroselova, di Povera gente.

L’opera di Dostoevskij è un romanzo epistolore: Makar e Varvara infatti, pur vivendo uno di fronte all'altra nella stessa strada, prendono l’abitudine di scambiarsi frequenti lettere.

Makar, così, contrae debiti, qualche volte si dà all'alcool. E proprio mentre sembra imboccare la via della perdizione, interviene Varvara. E’ lei che, dopo aver fatto scoprire a Makar che si può anche scrivere oltre che copiare documenti altrui, lo salva dal dissesto donandogli, tra l’altro, quei pochi spiccioli che il suo lavoro le consente di guadagnare. Seguendo i tratti di penna di questo carteggio, il lettore apprende della vita, dignitosa pur nella sua mediocrità di interessi e lusinghe di Makar, umile funzionario con la mansione di copista. Non appena, però, Makar inizia lo scambio epistolare con Varvara, sua lontana parente, nel quale si raccontano le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori (Verga), intravede qualche tinta pastello nel grigiume, fino a quel momento privo di riscatto, della sua esistenza. Prende a vivere per lei e a riempirla di regali; per carità, piccole cose, ma che a un funzionario con uno stipendio modesto come il suo, non tardano a nuocere al punto da trascinarlo al di sotto di quell'esistenza (economicamente) appena dignitosa.

Varvara, che ha conosciuto la felicità solo durante l’infanzia, continuamente alle prese con una salute cagionevolerimette in sesto la vita di Makar.

Come un fulmine a ciel sereno, la svolta: Varvara capisce che non si può continuare in quello stato di povertà che finisce, a volte, per annientare anche l’anima. Forte di questa consapevolezza quindi, dopo l’incontro con il ricco e arido Bykov che subito si affretta a precisare che vuole prenderla in moglie solo perché ha giurato di togliere l’eredità ad un parente buono a nulla, Varvara decide ciononostante di accettare la sua proposta di matrimonio. E quando parla a Bykov dell’affetto che prova per Makar, lo stesso, come lei confessa nell'ennesima lettera inviata al dirimpettaio,

HA REPLICATO (…) CHE TUTTO QUESTO È ROMANZO E CHE IO SONO ANCORA GIOVANE E LEGGO I VERSI, CHE I ROMANZI ROVINANO LE RAGAZZE, CHE I LIBRI NON FANNO CHE GUASTARE LA MORALE E CHE NON PUÒ SOPPORTARE NESSUN LIBRO.

Il buon Makar, dal canto suo, cerca di dissuaderla

MA CHE È BYKOV PER VOI, DILETTA? COME MAI È DIVENTATO AD UN TRATTO PER VOI UN CARO AMICO? FORSE PERCHÉ VI COMPERA SEMPRE IL FALPALÀ? PER QUESTO, FORSE? (…) MA È UNA COSA DA NULLA, DILETTA; QUI SI TRATTA DELLA VITA UMANA, E IL FALPALÀ È UNO STRACCETTO. DEL RESTO ANCH’IO, ECCO, APPENA AVRÒ LO STIPENDIO VI COMPRERÒ IL FALPALÀ.

 Ad un certo punto della sua missiva di risposta, però, Makar Alekseevič Devushkin sembra quasi rassegnarsi al destino di sconfitta che aleggia sulle povere vite della povera gente. E qui l’opera di Dostoevskij, da vicenda privata, intimistica anche per la forma epistolare scelta, si muta in un mesto messaggio universale.

lunedì 22 giugno 2015

"Un hombre Guapo", di Paco Ignacio Taibo II


L’hombre guapo di Paco Ignacio Taibo II, è Tony Guiteras. Sì, d’accordo, ma chi è Tony Guiteras?

Ecco, proprio per dare rilevanza ad una figura che, al di fuori di Cuba, resta pressoché sconosciuta, l’autore si è deciso a scrivere questo libro. Ed infatti, all’ennesimo “Tony chi?” sentitosi “rispondere”non appena Paco Taibo affermava che le più importanti figure rivoluzionarie dell’America Latina erano Pancho VillaChe Guevara e Tony Guiteras, lo scrittore ha avvertito l’esigenza di fare uscire da un immeritato cono d’ombra la figura dell’hombre guapo Tony Guiteras.

E inizia dall'aggettivo “guapo”, la narrazione dell’ottimo Paco. E sì perché lo spagnolo, da lingua “perversa” qual è, usa il termine “guapo”, ad esempio, con il significato di “audace”, come a Cuba e in Venezuela; ma anche con quello di “bello”, “virile”, come in Messico e in Spagna. Nella zona costiera della Colombia, invece, il termine “guapo” è sinonimo di “buono”, “benevolo”, mentre in Argentina, alla versione cubana, si aggiunge la valenza di “forte”, “resistente”.

Ebbene, per Paco Ignacio Taibo II, Tony Guiteras racchiude in sé tutte le accezioni dell’aggettivo “guapo”.

Il Nostro nasce, per ironia della sorte, lui che sarebbe stato definito dal Time “il più anti-nordamericano e il più antimperialista” di tutti i dirigenti cubani, “in un villaggio dal nome quasi impronunciabile” degli Stati Uniti nel 1906; e, sempre in ossequio a quell'ironia di poc'anzi, verrà chiamato Tony, diminutivo inglese di Anthony.

Malgrado il fisico non proprio da granatiere (“Era piccolo, magro, labbra sottili e grandi orecchie”) e l’aspetto non precisamente da adone checché ne pensi il generoso Paco Ignacio Taibo II (“Aveva un difetto agli occhi, un leggero strabismo”), Tony Guiteras esprimeva, in ogni suo atto, un’energia senza limiti. Lavorava giorno e notte. E soprattutto, per quanto riguarda il carisma,

“FIN DALLA PRIMA STRETTA DI MANO, CATTURAVA CHIUNQUE (…) GRAZIE ALL'INNATA CAPACITÀ DI COMPRENSIONE, ALLA SUA BONTÀ D’ANIMO, SCEVRA DA OGNI SENTIMENTALISMO, CON QUEL SUO CARATTERE RADICALMENTE VIRILE E RAZIONALE. AFFASCINAVA LA FERMEZZA DEI SUOI PROPOSITI, UNA COMBINAZIONE PORTENTOSA DI PERSEVERANZA ED IDEALISMOGUITERAS GUARDAVA IL PRESENTE E PENETRAVA IL FUTURO, CON LA LUCIDITÀ DEL SUO RAGIONARE INFONDEVA LA CERTEZZA DI TROVARSI DI FRONTE AD UN UOMO TEMERARIO (…), INCORRUTTIBILE, DEL TUTTO INDIFFERENTE AL PROPRIO DESTINO.

Studente di farmacia, discreto pianista, fin da subito si trovò ad opporsi alla dittatura di Machado, “macellaio di mestiere che aveva soltanto tre dita nella mano sinistra e tutte e cinque nella destra”, vincitore delle elezioni presidenziali del 1924.

E da questo momento in poi, a Cuba, si susseguono, come in un mitologico scontro tra il Bene e il Male, personaggi positivi (tra gli altri, oltre a Guiteras, Ruben Martinez Villena,  Pablo  De La Torriente, le tante donne guerrigliere, etc.) e negativi (Machado, per l’appunto, l’ambasciatore americano Welles, Fulgencio Batista, etc.)

Dopo Machado, destituito anche per l’opera instancabile dell’hombre guapo, Paco Taibo passa all'esame della figura di Ramon Grau e della sua presidenza.

Il nuovo presidente entrato in carica nel 1933 capì subito che per svoltare davvero rispetto alla dittatura di Machado, aveva bisogno di uomini come Tony Guiteras che, infatti, fu prontamente nominato ministro dell’Interno.

Il governo Grau, grazie all'iniziativa e alla caparbietà politica di Tony Guiteras, varò un ventaglio di riforme che avrebbe finalmente consentito a Cuba di uscire dalla miseria economica e politica in cui l’aveva precipitata Machado. Tra le altre, ricordiamo la riforma che concesse il diritto di voto alle donne, quella che espropriò i beni accumulati da Machado in maniera fraudolenta; e ancora, la riforma della giornata lavorativa di otto ore, quella del salario minimo di ottanta centesimi per i braccianti e di un peso per gli operai dell’industria, la riforma che aboliva la tassa sul riso prodotto a Cuba e quella per migliorare le abitazioni dei contadini, stanziando fondi allo scopo di ridurre la mortalità infantile dovuta alle carenti condizioni igieniche.

Insomma, il governo di Ramon Grau riuscì a portare a compimento, in larghissima parte, la rivoluzione agognata dall’hombre guapo.

Tuttavia, come spesso accade nella Storia, nei gangli di questo governo illuminato venne ad annidarsi il nemico della primavera cubanaFulgencio Batista, l’apprendista sarto di un tempo che abbandonò il mestiere “perché non conosco nessuno che è diventato famoso in questa professione”; quest’ultimo, prima attraverso il Presidente Mendieta, poi in prima persona, azzerò le conquiste della rivoluzione e precipitò Cuba in una sanguinosa dittatura.

Proprio combattendo ancora una volta a fianco della libertà, contro il colonnello Fulgencio Batista e la sua politica volta a far ripiombare Cuba nel medioevo del protettorato americano, Tony Guiteras trovò la morte giovanissimo, nel 1935.

Nelle ultime pagine di questo entusiasmante romanzo, Paco Ignacio Taibo II traccia un parallelo tra la figura di Tony Guiteras e quella di Ernesto (Che) Guevara de la Serna. E scopriamo, così, che sono tanti gli aspetti che hanno in comune questi due rivoluzionari: dall'origine straniera di entrambi (rispetto a Cuba), alla presenza, nella loro vita, di un male (l’asma per il Che, la paralisi del lato destro del corpo e il tumore nel piede per Tony) che dovettero affrontare con una non comune forza di volontà; e ancora, dalla influenza per tutti e due di una madre colta e progressista che influirà enormemente sulla loro formazione, alla vorace lettura di romanzi di avventura (Salgari, Cooper, Verne). Infine, conclude Paco Taibo, “entrambi uomini d’azione, con quella vocazione a far sì che i fatti giustifichino le parole e non viceversa”.

martedì 16 giugno 2015

Nel favoloso regno di Campanialot (II/II)


Ed eccoci al giorno del redde rationem: nel favoloso regno di Campanialot, l’incertezza regnava sovrana.

Lo gnomo Deluxa testa alta nonostante la spada di Damocle brandita dal Muflone Severino e il giudizio dell’Antimuffa che l’aveva addirittura annoverato nel numero degli impresentabili…beh, mi sa che una parola sulla Commissione Antimuffa, non foss’altro che per esigenza di chiarezza, vada spesa. Ebbene, dovete sapere che nel favoloso regno di Campanialot, se c’era una sostanza che proprio non si sopportava, questa era la muffa. Ciò, ovviamente, in teoria. In pratica invece, poiché la casta dei Politicaliot aveva da secoli perso l’abitudine di andare tra la gente e quindi se ne stava rintanata nelle nervature della terra, tra le pieghe delle nuvole, nell’incavo dei tronchi (ognuno, insomma, nel loculo più affine alla propria specie), proprio per questo motivo, quindi, lo gnomo Delux, il folletto Kakkoro, la fata CiacciamBeppino e tutti gli altri Politicaliot del favoloso regno di Campanialot, non potevano fare a meno di ospitare sul cappello, sulle ali e nei capelli turchini, la muffa.

Una cosa, però, era prendere atto di questa deprecabile presenza, un’altra era denunciarla, soprattutto quando la denuncia proveniva dalla Commissione Antimuffa e, per giunta, fosse sporta a pochissimi giorni dall’elezione.

Nonostante l’imputazione per crimine letterario e l’accusa di muffoso, però, lo gnomo Delux era fiducioso circa l’esito elettorale. Analogamente, a ben vedere, al folletto Kakkoro e alla fata CicciamBeppino.

I sostenitori di Delux, non appena avevano avuto presentimento della vittoria imminente, già gongolavano a pensare a quante capocchie di funghi di tutto il favoloso regno di Campanialot (e non solo del regno di Saliernelot) avrebbero spolverato.La mattina successiva, il verdetto. Lo gnomo Delux, che in tutta la campagna elettorale continuava ad attingere a sostantivi e aggettivi come “miracolo“, “straordinario” e via di questo passo, davvero era riuscito nell’impensabile fino a qualche mese prima. L’oracolo della Montagna dell’Urna Sventrata, d’altronde, non dava adito a fraintendimenti: lo gnomo Delux, con il 41,15% dei voti, aveva vinto le elezioni regionali del 2015.

Certo, ci sarebbe stato da riflettere sul fatto che moltissime creature di Campanialot, ormai stanche di tutta la muffa che, anche quando non denunciata, attecchiva in ogni angolo del loro regno, avevano rinunciato a recarsi alla Montagna dell’Urna Sventrata per votare. Qualche cinciallegra, al proposito, aveva addirittura cianciato di un’elezione falsata per il forte astensionismo. Ma si sa, le cinciallegre avevano scarso credito presso l’opinione pubblica, e ancor più presso la casta dei Politicaliot del favoloso regno di Campanialot.

Ora, a testa a tal punto alta da fargli addirittura dimenticare di essere pur sempre uno gnomo, Delux, assieme al capo del suo partito, il venticello Renziufffffff, stava cercando una via d’uscita alla sospensione che si frapponeva fra lui e la piena, incontrastata conquista del regno.

Il concilio dei ragni, organo eminente nelle faccende di Governo, era sicuro di poter superare l’impasse governativo: la tela che stava tessendo, infatti, prevedeva la nomina, da parte dello gnomo Delux appena insediato, di un vice. Questi, a sua volta, si sarebbe prestato a governare il regno per il tempo necessario a consentire a Delux di dirimere la questione lanciatagli tra i piedi dal Muflone Severino.

E cosa accadeva, frattanto, nel pur importante cantone di Saliernelot?

Il baccalà Orazio era già da un mese che andava dicendo al fritto misto dei Mercanti e alla colatura di alici di Cetara che per il governo del cantone di Saliernelot, lo gnomo Delux aveva scelto il successore.

E infatti, volendo evitare un altro crimine letterario che potesse provocare le stesse rogne già patite da lui anche al nuovo sindaco, lo gnomo Delux era ricorso (sempre stando alla “voce” di Orazio) a chi non avrebbe potuto incorrere in siffatto reato perché incapace finanche di articolar parola.

Il prescelto, quindi, sarebbe stato nientepopodimeno che suo figlio, lo gnomino Deluxino.

Certo, il baccalà, nel cantone di Saliernelot, aveva un certo credito. Ma, come in ogni specie di creature del favoloso regno di Campanialot, c’era baccalà e baccalà; e Orazio, tra i baccalà (non me ne voglia) era considerato più o meno come la pizza surgelata a Napoli.

In conclusione, al netto delle farneticazioni del baccalà Orazio, così stavano le cose e codeste erano le previsioni nel regno di Campanialot e nel cantone di Saliernelot, alla data del 16 giugno 2015.

Stretta è la foglialarga è la viadite la vostra che ho detto la mia.

martedì 9 giugno 2015

Nel favoloso regno di Campanialot (I/II)

C’era una volta Campanialot, un favoloso regno che dava ospitalità a quasi sei milioni di abitanti

C’erano un’accozzaglia di bestie della natura più variegata (ciucci che volavano, mosche al naso, pulcini con la tosse, pappeci vicino alle noci, etc, etc.). E poi, per giustificare l’aggettivo “favoloso”, ecco schierati in bella mostra munacielli, spiritelli, gnomi, streghe, fattucchiere,  folletti, etc., etc..

Ordunque, come ormai accadeva da tempo immemore, per governare questo regno così densamente abitato che quasi non si capiva dove finiva l’unicorno di Pegaso e dove iniziava il piripicchiolo del cappello di Brontolo, si tenevano ogni lustro che il Mammassantissima delle fiabe mandava in Campanialot, le elezioni.

Anche nel lontano 2015, in Campanialot, si votava per capire chi avrebbe avuto lo scettro del comando. I principali contendenti erano, nell’ordine, lo gnomo Delux che, come tutti gli gnomi, era figlio del sottobosco e delle sue incrostazioni; Kakkoro che, a dispetto del nome che avrebbe suggerito qualche legame con gli elementi vitalizzanti della terra, era un folletto figlio dei miasmi delle correnti d’aria; infine, esponente di una razza che ultimamente sembrava aver trovato vasto seguito nei grilli e nelle cicale che s’attardavano ogni giorno, più o meno verso le cinque, a cantare alle stelle, la fata CiacciamBeppino.

In Campanialot era tutto un fermento.

Lo gnomo Delux, che si sentiva forte per aver, tra l’altro, spolverato le capocchie dei funghi di Saliernelot (feudo assai importante di Campanialot abitato dai Chiancarielli, alcuni dei quali rimasti allo stadio di Cafonialot) e per aver finalmente cambiato la prima pietra che, a furia di essere rigenerata ogni volta per l’inaugurazione della stessa opera, s’era bell’e consumata.

Delux apparteneva ad una congrega che fu assai prestigiosa la cui effige era rappresentata dalla falce della mezza luna e dal martello dei buoni principi. Poi però, tra querce rinsecchitesi e garofani spampanatisi, lo gnomo Delux aveva preso a rigar storto. A tal punto storto, che il muflone Severino l’avrebbe voluto sospendere dalla carica a seguito di una condanna rimediata  nientepopodimeno che per un crimine letterario (ma nel regno delle favole, si sa, tutto può succedere).

Le cronache raccontano che non solo gli gnomi, ma finanche molti folletti che avrebbero dovuto, per spirito di appartenenza appoggiare Kakkoro, scelsero Delux per sfidare, per l’appunto, proprio Kakkoro.

Kakkoro dal canto suo, etereo come l’aria da cui era stato partorito e mal digerito dallo stesso BurlaLeoni (capo indiscusso, per circa un ventennio, di tutto il fumo nero che originava dalla Terra, s’innalzava col fuoco, e veniva ad infettare l’aria), cercava di opporre a Delux un favoloso regno di Campanialot che avrebbe potuto finire nel baratro ma che, grazie al suo operato, s’era fermato appena un centimetro prima.

Infine, come dicevamo, c’era la fata CiacciamBeppino che, per un sortilegio malefico, poteva fare gli incantesimi solo verso le ore cinque. Si dava il caso, però, che proprio verso quell’ora i grilli e le cicale iniziavano a frinire a più non posso, facendole addirittura dimenticare perché mai si trovasse tra le mani la bacchetta magica.

Ecco, questi, stando alle cronache del lontanissimo anno 2015, erano gli sfidanti alle elezioni di Campanialot.

Come andarono? Chi riuscì a spuntarla? E soprattutto, ce la fece il favoloso regno di Campanialot a trovare una guida che potesse renderla favolosa anche, oltre che per la genia degli abitanti, per le sorti che l’avrebbero interessata?

Stretta è la foglia, larga è la via, voi pensate la vostra che io vi dirò la mia.