lunedì 13 luglio 2015

Diciassette ore per l'accordo e la camicia di Nesso



Diciassette ore, il vertice più lungo di sempre dell’Unione Europea, per decidere le sorti della Grecia. Già prima, però, di queste diciassette ore ormai consegnate alla Storia, ce ne erano state altre, di diciassette (e forse più) ore.

Quelle in cui la Germania avrebbe voluto, anziché una riunione dell’Eurosummit dei Paesi che hanno adottato l’euro (e che poi, alla fine, ha dato il via libera all’accordo), la convocazione del Consiglio UE a 28 Stati. Due consessi, questi, non solo terminologicamente diversi. E sì perché convocare il Consiglio UE dei 28 Stati anziché l’Eurosummit, avrebbe significato disporre di una maggioranza decisiva, evidentemente non posseduta con l’Eurosummit, per “ordinare il fuoco” sull'insolvente Grecia.

L’aneddotica vorrebbe che a far optare per l’Eurosummit e quindi, per il raggiungimento dell’accordo, ci sarebbe stato addirittura il Presidente Obama comprensibilmente preoccupato per l’equilibrio geopolitico dell’area. Tant'è, comunque: nelle diciassette ore del summit ecco prendere forma, come un’idra immonda dalle diciassette teste, un nuovo programma di aiuti del Fondo Salva-Stati da 86 miliardi in cambio di una riserva in cui far confluire 52 miliardi di asset greci “da privatizzare per realizzare profitti, abbattere il debito e ricapitalizzare le banche”. Ovviamente, il tutto condito dall'immancabile prospettazione (realistica, tremendamente realistica!) di un Governo di unità nazionale ora e di elezioni in autunno, con l’inevitabile corollario di un esecutivo scelto ed eterodiretto dalla Troika; nello specifico, rimpinguato con i centristi di Potami guidati dal giornalista televisivo Theodorakis, espressione degli oligarchi ellenici, e con gli onnipresenti tecnocrati, alla stregua di quanto già accaduto nel 2011 con Lukas Papademos, uomo Goldman Sachs.

Insomma, anziché “abbracciare l’Europa”, come invogliava a fare Helmut Schmidt, la Sig.ra Merkel avrebbe compiuto proprio quell'azione deprecata dallo stesso Schimdt, vale a dire vi si è seduta sopra, con tutto il peso di un fondoschiena che qualcun altro ha definito in maniera comunque inqualificabile.

L’aneddotica di cui sopra, nelle diciassette ore del vertice europeo, non ha tardato a consegnarci la gruccia su cui appendere la giacca che il prostrato Tsipras avrebbe offerto (“A questo punto, se volete prendervi pure la giacca…!”) alla famelica ditta Germania&C..

In sintesi, dopo la cravatta (quest’ultima, in verità, già data in pegno prima ancora di iniziare le trattative a mo’ di garanzia) e la giacca, il tenace Tsipras rischia di restare a petto nudo di fronte al consesso europeo. Certo, resterebbe pur sempre la camicia.

Diciassette ore per togliergli anche la camicia?

No, per carità, togliere la camicia ad un greco è operazione assai perigliosa. E non mi preoccupo, beninteso, della sorte della Germania e del suo Primo Ministro (ci mancherebbe!) ma della sempre più fragile e negletta Europa.

Non vorrei, insomma, che la camicia di Tsipras, ultimo brandello di dignità di un popolo glorioso, si tramutasse nella camicia o tunica di Nesso capace, non appena indossata, di attaccarsi alla pelle, in questo caso dell’Europa tutta, procurandole sofferenze sì atroci da indurla a gettarsi nelle fiamme di un rogo.

Se così fosse, se l’ingordigia del Kapitale Europeo esigesse pure quest’ultimo totem, ebbene temo che il numero diciassette (diciassette ore per il concretizzarsi della disfatta greca) possa esplicare in pieno tutta la sua funesta simbologia. Già, il diciassette! Consideriamolo scritto in numeri romani: XVII, per l’appunto. Ora anagrammiamo questo risultato: VIXI, “vissi, ho vissuto”; quindi “sono morto”.

In conclusione, il pretendere anche l’anima del popolo greco, temo possa condurre, nel breve volgere di una manciata di diciassette ore, alla morte dell’intera impalcatura europea, almeno di quella prefigurata (e mai realizzata!) nel Manifesto di Ventotene del nostro Altiero Spinelli.

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