giovedì 9 luglio 2015

La buona scuola e la maestrina dalla penna rossa



La c.d. “buona scuola” di Renzi è ormai legge della Repubblica. Ebbene, cosa sarebbe successo alla mia maestrina dalla penna rossa se si fosse trovata ad insegnare in questa realtà scolastica che si prefigura carica di nubi all'orizzonte?

Ci risiamo, sempre il solito vizio di spostare fatti e situazioni in un epoca diversa da quella in cui quei determinati fatti e quelle determinate situazioni si sono verificati! Ma tant’è, alle perversioni mentali (almeno a quelle innocue) bisogna pur dare sfogo, no? E allora eccomi qui, in parte a raccontarvi una storia più o meno vera, in parte a proiettare questa stessa storia in un contesto che, molto probabilmente, non avrebbe neppure consentito alla maestrina dalla penna rossa di esistere (se l’esistenza deve, in buona sostanza, identificarsi con l’esperienza fattuale).

Ma veniamo a noi. Siamo a metà anni Ottanta del secolo scorso. La scuola, è quella elementare di una frazione di Salerno. Una scuola, quindi, distante poco più di cinque chilometri dal centro ma sufficienti, loro malgrado, a piantare qualche albero in più sull'orizzonte di una piena apertura mentale.

La maestrina dalla penna rossa arriva a bordo di una fiat centoventisei color malva a rivoluzionare il grigio e il nero delle autovetture degli altri maestri e delle altre maestre. Tempo un mese dall'incarico, che il parcheggio della scuola si trova orfano di tre automobili. E sì perché la nostra maestrina, ambientalista convinta, reputa un affronto alla tutela ambientale (!) l’equazione “una persona=un’automobile”, e allora via con un car poolingn ante litteram.

Le aule di quel color verde naja che zavorrano i neuroni, vengono ricoperte di cartelloni variopinti, ovviamente disegnati dalla maestrina, in cui si narrano le vicende di un gatto e di un topo che mentre si bisticciano, fanno pace, si tributano gesti di amicizia illustrano, ad un tempo, una coinvolgente e colorata sillabazione delle parole.

Grazie alla maestrina dalla penna rossa, nei lontani anni Ottanta del secolo scorso, un armadietto sigillato e pieno di polvere che si trova, chissà con quale funzione, in fondo all'aula, viene riempito di libri portati lì da una biblioteca scolastica di cui, fino all'arrivo della maestrina, era ignota persino l’esistenza.

E poi i tornei di lettura, la partecipazione a numerosi concorsi letterari, le tecniche tra il psicologico e il suggestivo per leggere e scrivere meglio, e via di questo passo.

Il preside, reazionario nostalgico del “Dio, patria e famiglia”, pur guardando fin dall'inizio con diffidenza la maestrina e i suoi colori accesi, deve far buon viso a cattivo gioco in nome di una preparazione degli alunni, vai a capire perché, effettivamente migliorata dalla venuta della sua sottoposta.

Tre, però, sono gli eventi che fanno ben presto precipitare la situazione. Nell'ordine, l’abolizione nell'ultimo anno, dietro insistenza della classe (“il potere della classe, pfui!”), degli odiati grembiuli bianchi per le femmine e blu per i maschi; l’aver consentito ad un alunno di non frequentare l’ora di religione; in ultimo, e con effetto deflagrante per l’intera vicenda, lo scambio culturale Italia-Francia!

Ebbene sì: la maestrina dalla penna rossa, laureata in lingue, fin dalla prima elementare (e siamo negli anni Ottanta!) ha insegnato il francese in classe. L’ultimo anno poi, a coronamento di questo quinquennio di studi, intende organizzare uno scambio culturale con una scuola francese (il progetto Erasmus nasce solo nel 1987, e unicamente per gli studenti universitari!!): una settimana gli scolari italiani in Francia, ospiti delle famiglie dei rispettivi alunni francesi e una settimana, a distanza ovviamente di un po’ di tempo, i piccoli francesi in Italia.

Il preside allora, venuto a conoscenza del disegno sovversivo dell’insegnante, fa fuoco e fiamme per evitare questa “inutile contaminazione”. La maestrina dalla penna rossa però, forte dell’affetto smisurato dei suo scolari e della fiducia che si è saputa guadagnare dalle famiglie dei suoi alunni, si accarezza tronfia la penna rossa e va avanti, fino a realizzarlo, nel suo sogno.

Quella piccola comunità, distante poco più di cinque chilometri da Salerno, diviene l’avanguardia di un nuovo modo di fare scuola.

Questi sono i fatti. Ora io mi chiedo: se la c.d. “buona scuola” di Renzi fosse stata in vigore nel periodo storico da me trattato, ebbene, la maestrina della penna rossa sarebbe mai stata chiamata direttamente dal preside di quella scuola elementare a poco più di cinque km da Salerno? E, ciò che è più grave, sarei l’io di adesso, talis et qualis (nel bene e nel male, s’intende) se la mia vita non fosse stata contaminata dal fremito rivoluzionario della maestrina dalla penna rossa?

 

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