sabato 17 ottobre 2015

Acquisto di scarpe con le migliori intenzioni


Già dalla porta d’ingresso del megastore, inspiro l’aria contaminata da cuoio pressato, plastica traslucida, gomma avveniristica: è giunto il momento di comprare le scarpe

È già tutto deciso. Imbottito, nell’ordine, dai desiderata con retrogusto ammonitorio della fidanzata (“Le scarpe è opportuno comprarle buone, alte, alla moda…eppoi, per te che ci cammini tanto…resistenti, per carità!”), dalle minacce “defenestratorie” della madre (“Vedi come te lo dico, se ti compri di nuovo quelle scarpe strascinate, mo che vieni a casa, t’è vott’ a copp’abbasc, parola d’onore!”) e dalle lusinghe fricchettone dell’amico (“Con questo modello, che poi è l’unico modello che si porta, fai un’altra figura…altro che cu ‘sti pezze ca “attirano ‘sulamente scuorno”); ebbene, come dicevo, con il libero arbitrio proprio dell’operaio da catena di montaggio, mi accingo a compiere la ferale operazione.

Il tragitto è obbligato. Le prime tre file di scatole, rispettivamente per i nullatenenti, per i tamarri e per gli ancien regime, manco a parlarne. Dalla quarta fila in poi, una persona con la volontà ancora libera (beato lui!), potrebbe (e dico potrebbe) incominciare a gettare l’occhio a qualche modello di scarpe.

Inizio a guardarli, gli acquirenti liberi e leggeri, con qualche punta d’invidia. Ma è solo un momento. Io ho una missione da compiere e, fattomi persuaso una volta per tutte, mi dirigo incorruttibile verso le ultime file. E qui la dirigenza del megastore, evidentemente fan sfegatata delle Nozze di Cana del Vangelo di Giovanni dove il vino buono viene servito solo alla fine, ha pensato bene di far accomodare le stelle della scarperia. Proprio in questa fila, illuminate dal neon che tramuta quelle che dovrebbero essere comunque delle scarpe nel target (l’ennesimo!) che ti dà uno status, le vedo ammiccare lascive, con la giusta dose di snobismo del ce l’ho solo io.

Il commesso solerte, incasellatomi nella nicchia del modaiolo bisognoso di personalità riflessa, mi accoglie con il sorriso più largo che ha in dotazione. Certo, quando inavvertitamente abbassa lo sguardo sulle mie scarpe, smarrisce (per il tipo e per lo stato di avanzata decomposizione delle stesse) per un attimo la trebisonda. Lo smarrimento, però, dura solo una frazione di secondo. Come il navigatore quando l’imbranato autista di turno sbaglia l’uscita dalla rotatoria, ricalcola il percorso in men che non si dica. Ecco, mi ha riclassificato come modaiolo bisognoso di personalità riflessa sì, ma con una spruzzatina di eccentricità che non guasta mai.

“Sono belle. Sono alte. Sono resistenti. Si portano.

<Prego, guardi la tomaia, se le provi e capirà perché una volta indossate il suo piede non ne potrà fare a meno.>

<Le prendo!>

“Con gli stessi soldi avrei comprato i dieci romanzi di Camilleri che mancano alla mia collezione.”

<Ma non se le misura? Deve misurarle.>

<Le prendo.>

“Due paia di scarpe di queste, e mi compro il pianoforte digitale Yamaha p45.

<Ma il numero, il colore…>

<42, grigie.>

“200 euro e i bambini dell’Africa a piedi nudi…muoviti, stronzo di un scarparo!“.

Un altro commesso, relegato nei sobborghi delle prime file, si avvicina al mio:<E queste, dove le metto?>

Come il setter che punta la pernice, tutti i miei nervi sono monopolizzati unicamente dai miei cari sarcofaghi grigi che mi vengono incensati sotto gli occhi.

<Carlo, ma non vedi – perde la pazienza il top del commesso che mi sta vendendo il top delle scarpe – che queste vanno al massimo nella terza fila? Mi dica un po’ lei, ma come si fa – chiede (proprio a me!) tra il disperato e il canzonatorio – a voler piazzare in pole position addirittura le polacchine?>

Le polacchine! Le manifestazioni studentesche tra le cuciture del camoscio, il rosso sulla curva che accarezza il piede, i chilometri alla ricerca di sé tra le rughe della suola.

L’ultima carta: la citazione poetica. Visione, una distanza ci divide.

Niente, non c’è verso.

Polacchine amatissime…perché anche una scheggia di distanza tra noi è esasperante.

Scusa fidanzata, scusa mamma, scusa amico.

Esco dal megastore di scarpe, mi guardo le polacchine che ingentiliscono il piede e…sono felice.



martedì 6 ottobre 2015

Maurizio Sarri e i calli del pianista


Maurizio Sarri…e lo so che mo voi, lettori assidui di questo scribacchino, volete sapere che c’azzecca l’allenatore del Napoli con i calli del pianista, ma se avete soltanto un briciolo di pazienza (cosa non si fa per generare un po’ di suspence!), il busillis “l’è bello” che chiarito.

Procediamo per gradi. La prima volta che sento associare il nome di Sarri al Napoli, è da parte di Pasqualino, napoletano pur residente ad Angri, avvocato nonostante  il suo cursus studiorum si sia incagliato nelle secche delle due procedure.

Ebbene il caustico Pasqualino così sentenzia alla ferale notizia: <Allenatore mediocre, squadra mediocre: chi si assomiglia, si piglia.>

Al mio cervello alternativo, invece, Maurizio Sarri evoca due aneddoti. Il primo, sicuramente vero perché raccontato da lui stesso, quando Samuel Eto’o, al termine della partita Empoli-Sampdoria, si dichiara onorato di conoscere il mister e Sarri, con quel brio toscano contaminato da franchezza tutta napoletana, chiede esterrefatto al giocatore se per caso non lo stia “prendendo per il culo” (“Lui è Samuel Eto’o!”).

Il secondo episodio che si affaccia alla mia memoria, non del tutto accertato ma comunque rivelatore dell’uomo Sarri, è la reazione che pare avesse suscitato in lui la raccomandazione di un giornalista:<Mister, se vuole fare colpo su Berlusconi, si presenti sulla panchina ben rasato (il cavaliere odia i visi trascurati) e in giacca e cravatta.>

Non so cosa abbia risposto Sarri. Mi piace immaginarlo mentre pianta lo sguardo sornione, inutilmente camuffato dalla montatura sgraziata, sulla faccia a culo di gaddrina del Pippo Ragonese di turno.

Com’è e come non è però, sta di fatto che alla partita contro il Milan, mister Sarri si presenta in tuta (cosa che, peraltro, fa sempre) e con una barba così lunga da far impallidire il fosco Barbanera.

E, anche da questo episodio, ecco farsi strada la vulgata dell’allenatore comunista. Diceria, quest’ultima, che troverebbe conferma nelle sue affermazioni oltreché nei suoi comportamenti.

A chi gli chiede, velenoso, se non sembra strano che molti allenatori, nonostante risultati più modesti dei suoi, guadagnino di più, lui risponde secco:

Non scherziamo veramente. Sono figlio di operai, ciò che percepisco basta e avanza. Mi pagano per fare una cosa che avrei fatto la sera, dopo il lavoro e gratis. Sono fortunato.

 Agli allenatori che imparano a menadito la dichiarazione per i momenti difficili, quella per il dì di festa e quella per i periodi sanza infamia e sanza lode stando ben attenti a non scivolare sull’insidia congiuntivo, Maurizio Sarri risponde con la passione per la lettura di autori del calibro, tra gli altri, di Bukowski, Fante e Vargas Llosa.

Ai colleghi che vanno in panca agghindati che manco la star del momento sul red carpet, mister Sarri oppone la tuta da operaio del calcio magari inzaccherata un attimo prima da uno sberleffo di Insigne.

Agli altri mister che diventano tali per naturale cooptazione dal sistema senza, in molti casi, aver mai conosciuto la panchina,  Maurizio Sarri risponde con una gavetta chilometrica partita su una panca di Seconda Categoria del paesello di Stia fino ad arrivare, alla rispettabile età di 56 anni, al Napoli di Higuain e Insigne.

Certo, a completare la disamina del personaggio, ci sarebbe l’intelligenza mostrata nell’abbandonare, dopo appena un paio di partite, lo schema di gioco che tanta fortuna gli ha procurato ad Empoli per sostituirlo con un altro, il 4-3-3, più rispondente al “materiale umano” a sua disposizione (Benitez, tanto per fare un esempio, che pure è una persona intelligente, non ha mai neppure preso in considerazione l’onta di disconoscere il suo credo tattico).

Come non parlare, poi, della personalità di mister Sarri che, al cospetto di un top player come Higuain, addirittura lo stuzzica dicendo che solo impegnandosi di più riuscirà a diventare (e Higuain lo fa!) uno dei migliori attaccanti del mondo.

Qualora tutto questo non fosse sufficiente per apprezzarlo (per me lo è stato fin da subito, checché ne dicesse l’altezzoso Pasqualino), c’è da registrare la risposta che Maurizio Sarri ha dato, non più di qualche settimane fa alle critiche, anche gratuite, di Maradona (“Giocando così, il Napoli non arriverà neanche a metà classifica.”):<Maradona resta il mio idolo, – ha precisato Sarri – può pensare e dire ciò che vuole.”. Una risposta, a ben vedere, figlia dell’intelligenza, della “cultura da libri” e di quell’essere, con tutto il rispetto possibile, figlio ‘e zoccola che solo il popolo napoletano può capire.

Ah, già, dimenticavo: e i calli del pianista?Tu guardi Sarri, le sue spalle strette, la sua tuta a mo’ di seconda pelle, e pensi, sulla falsariga di Pasqualino:”Allenatore perdente.”

Tu guardi una mano tozza, piena di calli, le unghie sporche, e pensi:”Mano da fravcatore.”

In entrambi i casi, sbagli. Il primo è un signor allenatore, il secondo, proprietario di quelle improbabili mani, è un valente pianista.