mercoledì 27 aprile 2016

Bamyan-Perdifumo, storie di scuola tra penuria ed eccesso

Siamo a Bamyan, in una regione situata a un centinaio di chilometri da Kabul, Afghanistan.

Dopo una settimana di lavoro alla scuola del distretto, eccolo qui inforcare la sua bicicletta. Non che Saben Hosseini, maestro della scuola elementare di Bamyan, non utilizzi il velocipede anche durante la settimana, nossignore. È solo che proprio nel week end, quella che dovrebbe essere una bicicletta con il manubrio libero dalle fatiche dell'insegnamento, si trasforma in un veicolo zavorrato dalla leggerezza di due portapacchi, uno dietro la sella, l'altro davanti al manubrio.
Sì, d'accordo, l'espressione "zavorrato dalla leggerezza" è un ossimoro, una contraddizione in termini, magari non apprezzata da alcuni di voi col palato fino. Ma ditemi un po', lettori schifiltosi, quale peso può essere più leggero di una montagna di parole, di frasi tra le cui pieghe qualcuno, appena più sensibile e riflessivo di altri, ha nascosto aneliti di libertà e di affrancazione? Ebbene, il maestro Saben Hosseini del distretto di Bamyan, è a tal punto convinto dell'importanza di questo dono pronto a concedersi a chi solo voglia meritarselo, da salire in groppa al suo Ronzinante d'acciaio, con il caldo a 40°C così come con la neve, per assolvere la sua missione: pedalare per svariati chilometri allo scopo di portare, attraverso i libri importati dal vicino Iran (oltre agli autori in lingua, è presente anche qualche scrittore occidentale come Victor Hugo, Jack London e Antoine de Saint Exupery),  la scuola ai bambini troppo distanti per poterla frequentare.
Saben Hosseini di Bamyan, impavido e illuminato dalla grazia del gesto semplice, scende dalla sua bicicletta. Attorniato da un nugolo di ragazzini festanti non foss'altro che per le copertine colorate del Piccolo Principe e di Zanna Bianca, distribuisce libri. Li presta, con tutta la grandezza della gratuità, per poi venirli a ritirare e per poi, ancora una volta, prestarne di altri. Fino a quando i caratteri dei libri non avranno riesumato, nelle mente dei piccoli lettori, il fantasma ingenerato della libertà dalla povertà e dall'ignoranza.
Perdifumo, Italia, Campania,  piccolo comune nel salernitano, a una distanza di oltre cinquemila km da Bamyan.
Un altro mondo, un presente che è già futuro, alimentato com'è dalle comodità di una storia fortunata. Siamo in Occidente, nelle terre del progresso e della conquista. Qui non c'è bisogno di nessun maestro Hosseini di Bamyan. Ci sono scuole e ci sono bambini vicino alle scuole. A Perdifumo, come in tutt'Italia, non abbiamo nemmeno i 40°C e i -30°C dell'Afghanistan; e ciò nonostante la presenza di milioni di auto con, rispettivamente, aria fredda e aria calda, pronte ad immunizzarci contro ogni inclemenza del tempo. Ebbene qui a Perdifumo, Italia, Campania, un assessore, al secolo Stefania De Simone, si trova a lanciare un appello. Si rivolge accorato ai potenziali alunni della prima media del paese affinché non si iscrivano nelle altre scuole, magari in città (ecco perché non ci può essere un maestro di Bamyan a Perdifumo, troppa scelta per pochi candidati), ma che lo facciano proprio qui, a Perdifumo: basterebbe che si iscrivessero anche solo due alunni, per raggiungere il numero minimo che la legge prescrive per la formazione di una classe come Dio comanda e, soprattutto, legittima
Bamyan-Perdifumo: ancora una volta, l'eterna ingiustizia tra mancanza che genera l'eroe e abbondanza che partorisce appelli.

mercoledì 6 aprile 2016

"L'anno della morte di Ricardo Reis", Josè Saramago

 

 

Josè Saramago si avvicina, come racconta egli stesso, alla figura di Fernando Pessoa proprio attraverso l'eteronimo del poeta portoghese, Ricardo Reis.

E infatti, all’età di circa 17 anni, “ignorante com’ero” (è Saramago che parla, ndr), in una delle sue frequenti e fruttuose incursioni nella biblioteca della scuola, “credetti che in Portogallo esistesse o fosse esistito veramente un poeta che si chiamava Ricardo Reis, autore di quelle poesie che mi affascinavano e mi intimorivano”. Invece il Ricardo Reis di Saramago adolescente altri non era che Fernando Pessoa: il grande poeta che, in ossequio al suo convincimento (“il poeta è un fingitore”), scomponeva la sua personalità in uno degli almeno tre “altri da sé”(“eteronimi”, per l’appunto).
"L'origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. [...] L'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni (…) non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso."
Dal momento di quella scoperta, e forse anche per una sorta di risarcimento postumo alla grandezza del poeta portoghese, Josè Saramago avvertì come “un punto d’onore” la necessità di occuparsi del Ricardo Reis di Pessoa; cosa, quest’ultima, resa possibile anche dalla circostanza che proprio Ricardo Reis è l’unico eteronimo di Pessoa che ha solo la data di nascita e non quella di morte. Quale pretesto migliore, quindi, per “ricreare” un Ricardo Reis di un anno più vecchio di Pessoa che torna dal Brasile in Portogallo proprio in occasione della morte del poeta? Ed ecco l’incipit del fortunatissimo L’anno della morte di Ricardo Reis di Josè Saramago.
Siamo nel 1936. In Portogallo è al potere il dittatore Salazar. In Italia trionfa Mussolini. In Germania i tedeschi acclamano Hitler. In Spagna esplode la guerra civile per “ristabilire l’impero della croce e del rosario sull’odioso - e, si badi bene, l'aggettivo è proprio del comunista Saramago megafono, per l'occasione, della vulgata del regime - simbolo della falce e martello”.
Ricardo Reis, medico di quarant’otto anni, ritorna a Lisbona. Spettatore indolente (“saggio è colui che si contenta dello spettacolo del mondo”) delle dinamiche a cui si trova ad assistere, prende alloggio in un hotel in attesa di riprendere in mano le redini del suo futuro (riprenderà a esercitare la professione? Si deciderà a mettere radici in qualche angolo di Lisbona?).
Ricardo Reis è uno straniero in una città che non riconosce più.
Dove?” gli chiede il tassista in attesa di qualche località a cui dirigersi e Reis pensa che “gli hanno fatto una delle due domande fatali, Dove, l’altra, e peggiore, sarebbe, Perché”. Eccolo, per il lettore che ancora non avesse avuto (mal gliene incolse!) la fortuna di farsene ammaliare, lo “stile saramaghiano”, con quelle “domande senza punto interrogativo, con quelle battute senza virgolette, quelle considerazioni che possono essere tanto del narratore come dell’autore…” (Luciana Stegagno Picchio). È la suggestiva "oralità" di Saramago.Leggetemi a voce alta”, si raccomanderà l’autore.
Ma torniamo al romanzo. All’hotel Bragança Ricardo Reis incontra Lidia, una delle muse ispiratrici dei suoi versi che, per ironia della sorte, scende dai Campi Elisi della sua poesia e si fa donna in carne e ossa. Probabilmente, fin troppo in carne e ossa. Lidia, infatti, è una cameriera d’albergo con la quale Ricardo riesce, sia pure nei pochi momenti di vita vissuta insieme e sempre nel rispetto più o meno pieno della differenza di classe, a trovare un’autenticità di vita. Poi c’è l’altra musa Marcenda, anche qui un nome proprio “gerundio” come la Blimunda del Memoriale del convento sempre di Saramago, e pure in questo caso, la presenza di un difetto fisico: del braccio e della mano sinistra di Marcenda, inerti e privi di forza; della mano, sempre sinistra che stavolta è addirittura mancante, del compagno di Blimunda, Baltasar, nel Memoriale.
Con l’eterea Marcenda ci sarà solo un bacio. Con Lidia addirittura Ricardo Reis, sia pure con quella involontarietà che solo può avere un uomo che si lascia vivere, avrebbe pure un figlio.
Proscenio di queste vicende, è un macrocosmo in cui, e qui c’è tutta l’ironia del comunista Saramago, la “rigenerazione” dell’Europa procede a passi da gigante prima in Italia, poi in Portogallo, subito dopo in Germania e in Spagna (“questa è la terra buona, la semente migliore, domani raccoglieremo le messi”).
Dal canto suo, il fu Fernando Pessoa, sotto forma di fantasma, di immagine ora visibile, ora invisibile, e che ha solo nove mesi di supplemento di vita (“tanti quanti ne passiamo nelle pance delle nostre madri, credo sia una questione di equilibrio”), continua a fare visita a Ricardo Reis, prima all’hotel, poi nella casa in cui il medico decide di andare a vivere o forse, più opportunamente, a lasciarsi morire.
I due poeti discutono delle “piccole cause che fanno battere i piccoli cuori” così come, quando se ne presenta l’occasione, dei loro voli poetici sempre appesantiti dal pessimismo di Saramago perché il pessimismo spinge all’azione, mentre l’ottimismo non distoglie dalla contemplazione del mondo."
Alla fine i nove mesi sono agli sgoccioli, Ricardo Reis, pur da monarchico e da conservatore dell’ordine costituito, si trova a soffrire per il fallimento della rivolta contro il ripristino della dittatura in Spagna: anche in questo caso, una sofferenza indotta dalla ribellione altrui, nello specifico di Daniel, il fratello marinaio di Lidia.
Pessoa è pronto per l’ultima visita al suo collega ed eteronimo prima della fine irredimibile. Questa volta però, e il cerchio di Saramago si chiude, “Ricardo Reis si tirò su il nodo della cravatta, indossò la giacca (…). Allora andiamo, disse, Dov’è che vai tu? Vengo con te (…)