martedì 31 maggio 2016

Margaret Cittadino: io non so, non ne ho le prove ma…

L’auto della figlia di Margaret Cittadino ha preso fuoco proprio in una di queste notti incipriate dall’appiccicaticcio dei manifesti elettorali

Questa è la notizia; una notizia come tante altre, da relegare nello spazio più o meno lungo che la sensibilità del direttore assegna alla cura del giornalista. Tutto vero, ma ci sono dei fatti che per la storia personale di chi, suo malgrado, ne è investito, per le condizioni ambientali e per il momento storico in cui si verificano, esigerebbero approfondimenti.
A tal proposito, il Questore di Salerno subito ha rassicurato che sarà fatto ogni sforzo investigativo per chiarire i contorni della vicenda. Eppure, se si guarda alla storia personale di Margaret Cittadino, non si riesce del tutto a zittire quelsospetto che sembra divertirsi a suggerire dietrologie.
Margaret Cittadino è capolista di “Salerno di tutti, la lista che unisce le varie anime della Sinistra salernitana insieme con alcuni movimenti e pezzi della c.d. società civile, con Giampaolo Lambiase candidato sindaco.
La storia di Margaret Cittadino è una storia di battaglie combattute a viso aperto, senza rendite di posizione, sempre a difesa degli ultimi che la fiumana del progresso trascina e porta via con sé. La sua è una vita spesa nella sanità (è infermiera turnista da 36 anni all’Azienda Ospedaliera “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” oltreché responsabile provinciale sanità della CGIL) che, in occasione delle prossime elezioni comunali, prova, assieme ai candidati della lista “Salerno di tutti” con Giampaolo Lambiase sindaco, a scardinare il venticinquennio monocolore e, per certi versi, unipersonale del governo cittadino.
La mia curiosità di uomo libero, prima ancora che di sedicente scrittore, mi ha portato, in questi pochi giorni che restano alla chiusura della campagna elettorale, a seguire, tra gli altri, anche i comizi di Margaret Cittadino. Più volte sono rimasto sorpreso dalla pesantezza delle parole che questa donna minuta, dai tratti barricaderi traditi dalla dolcezza dello sguardo (il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore), utilizza durante le sue uscite pubbliche. Mi è capitato di pensare a un’esagerazione quando ho sentito sostantivi come “malaffare”, “ricatto”, “riciclaggio” ma non appena la Cittadino ha costruito una narrazione attorno a questi termini, allora mi si è mostrata la trama e l’ordito di una storia avvincente quanto verosimile.
È un racconto con periodi che parlano di esternalizzazione di servizi essenziali, di sfruttamento di lavoratori assunti e licenziati nelle cooperative delle illusioni, di sacco edilizio della città, di incarichi tramandati da padre in figlio saecula saeculorum, di laureati persi nella merce che vendono al centro commerciale, e via di questo passo.
Ieri, approfittando dell’arrivo a Salerno del segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, ho voluto essere presente anch’io al comitato elettorale di via Balzico. Da sempre allergico alla retorica del “buono sempre e comunque buono”, confesso che avrei voluto scorgere una crepa nell’armatura delle convinzioni rivoluzionarie di Margaret Cittadino. Ma eccola qui, dopo la solidarietà espressa da tutti, prendere la parola e tirare dritta come un treno:<…Perché noi vogliamo una Salerno di tutti e per tutti, e non per i potentati di turno!>
Per concludere, parafrasando Pasoliniio non so non ne ho le prove. Spero soltanto che l’incendio dell’auto della figlia di Margaret Cittadino sia solo il deplorevole gesto di qualche balordo che la stupidità della notte elettorale non è riuscito ad addormentare. Che poi, se proprio così non fosse e le inquietanti supposizioni dovessero trovare cittadinanza, beh, non avrei difficoltà a immaginare Margaret Cittadino commentare con lo sguardo sornione:<Poco male, vorrà dire che ci stiamo muovendo bene…>

mercoledì 11 maggio 2016

Il candidato rampante

Io, indefesso camminatore e convinto assertore del meglio un caffè offerto a te che pagare pure la frazione d'ora, a questo mi sono ridotto: a parcheggiare l'auto a uno sputo dal Tribunale. Sono disposto a tutto, cioè, pur di evitare la iattura del candidato rampante

Il fatto è questo, statemi a sentire. Prima, quando ancora parcheggiavo l'auto al Parco Pinocchio per il Giudice di Pace, e poco dopo Piazza Alario per il Tribunale, mi esponevo all'incontro di almeno sei candidati (alla carica di sindaco o di consigliere comunale) nel lungo tragitto che mi separava dalla giurisdizione di approdo. Certo, con l'approssimarsi delle elezioni amministrative, avevo pure imparato a riconoscere le stimmate del candidato e, per quanto possibile, ad evitarli. Per esempio, se a cento metri vedevi Gigino il meccanico in giacca e cravatta, lui che l'unica volta che l'hanno visto senza la tuta Tamoil è stato il giorno del suo matrimonio, cambiavi marciapiedi e alzavi la testa manco avessi infilzato un amo sotto la gola che ti tirasse su.
Indizio certo di candidatura, a ben vedere, era pure il broncio proverbiale di Tommasone (si narra, al proposito, che in nessuna occasione occhio umano l'abbia visto sorridere), che si scioglieva per magia nel più sguaiato sorriso che un venditore di pentole abbia mai indossato. Anche in questo caso, quindi, se avevi la fortuna di intercettare questi cambiamenti in tempo utile, potevi sempre fingere una telefonata o svicolare in qualche provvidenziale traversa per sottrarti al pericolo.
Indizio certo di presenza di candidato, era pure il cambiamento non dell'abito o del sembiante, come nei due esempi precedenti, ma del comportamento. Per intenderci, se don Ciccillo Scapece, famoso in tutto il quartiere per aver fatto mille battaglie contro i gatti randagi, improvvisamente si faceva vedere con un siamese al guinzaglio, non c'erano dubbi di sorta: don Ciccillo Scapece, sicuro come il fuorigioco non fischiato alla Juventus, si era fatto circuire dalle paillettes della candidatura. In questo caso, per sfuggire agli assalti elettorali del candidato con siamese bastava, non appena lo Scapece si fosse avvicinato per perorare la sua causa, cimentarsi in una serie di starnuti che denunciassero un'allergia acuta al pelo del gatto.
Ora, invece, da quando ho preso l'abitudine, deleteria per la salute e per le tasche, di parcheggiare quanto più vicino possibile al Tribunale o al Giudice di Pace, dimezzo gli incontri con i candidati. Contraltare di ciò, però, è il fatto che la giacca e cravatta, prima valida alleata nel preannunciarmi il possibile candidato, ormai non mi è più di alcun aiuto. Molti colleghi, infatti, sono sempre vestiti così ed è difficile, se non impossibile, distinguere la giacca e cravatta candidata da quella d'ordinanza. Con l'impensabile conseguenza che adesso, spia di possibile presenza di candidati in questo contesto, può essere proprio il contrario della giacca e cravatta: una mise casual, cioè, da parte di colleghi che vogliono far trasparire maggiore vicinanza e meno formalismo nei confronti degli elettori.
Insomma, più si avvicina il fatidico giorno del cinque giugno, più mi verrebbe voglia di murarmi tra le pareti che trasudano fascicoli dell'archivio.
Sono le due di notte: ora ideale per farsi un giro per Salerno senza incappare nelle lusinghe a buon mercato dei candidati. Certo, ci sono pur sempre le pennellate stanche degli attacchini, ma quelle, più che chiedere voti, incollano visi e slogan che insozzano la città con altre promesse.
A un metro da me si ferma un furgoncino, di quelli cabinati. Un ragazzo scende dall'automezzo e si affaccia su un precipizio di umanità. Sotto un manifesto elettorale, un barbone infreddolito nonostante la primavera inoltrata, farfuglia brividi di una qualche nostalgia remota. Il ragazzo si accovaccia, gli dice qualcosa, e poi gli stende la coperta lunga tutto il suo corpo da ultimo.
Dieci centimetri più in alto di quella vita, uno sguardo tronfio chiede maggiori risorse per le imprese perché "arricchirsi è un vanto".