lunedì 22 agosto 2016

"Aceto, arcobaleno", Erri De Luca


Aceto, Arcobaleno. Una casa di pietre antiche, di quelle che biascicano solo consonanti perché "la voce della materia non usa vocali".

Una ragnatela di lampi a secco, "micce di luce" che infilano le terminazioni nervose, percorrendole tutte come un circuito elettrico.
Un uomo, il fantasma di una presenza che testimonia ricordi.
Questi sono gli elementi che tratteggiano l'incipit di Aceto, arcobaleno di Erri De Luca. E da tutto questo, con la solennità propria delle memorie che diventano congedo, la casa prende le mosse per rievocare la vita degli ultimi ospiti.
In Aceto, arcobaleno c'è il compagno che ha "noleggiato il corpo a ore" come operaio in fabbrica, in edilizia, come facchino. Fatica fisica, per intenderci, ma sempre e comunque al riparo dell'etichetta impropria di lavoro manuale; impropria perché "non è nelle mani la fatica" bensì nel dorso: "è lì che si accumula lo sforzo." Ed è proprio un ricordo di fatica, quello che Erri De Luca evoca per primo. Sono le fattezze dell'amico "dall'inflessione meridionale che non aiuta chi la porta in giro, però dà peso alle parole".
Sono frammenti di una storia ossessionata dal rispetto per il lavoro e dalla condanna per ogni piccola astuzia cui  pur si ricorre per sottrarsi alla fatica. Il tutto nell'incrollabile convinzione, incrollabile perché corroborata dall'esperienza, che alcuni ultimi della Terra, "sotto un esilio di stenti, sono dei re".
Alla fine di questa prima storia, l'incontro del protagonista con la dittatura dell'ideale; lo stesso ideale che, nella cornice di una febbre malsana e illogica, lo porta ad impugnare le armi dapprima contro un bersaglio altro, di poi nei confronti dei propri, più prossimi affetti. Quindi, ecco il tempo della fuga, del chiamarsi fuori, dello stagno ghiacciato che preannuncia la fine: una morte epilogo di una vita vissuta nel ricordo di quelle due parole, "aceto" e "arcobaleno" per l'appunto, con cui si apriva il piccolo dizionario di inglese e francese che il babbo sfogliava la sera, dopo le interminabili fatiche del giorno, con il figlio.
La seconda presenza evocata dalla casa squassata dagli elementi della natura in cui, come ne La casa dei doganieri di Montale "uno sciame di pensieri vi sostò inquieto"è quella del compagno prete. Qui però, a differenza di quanto accade nella lirica del Montale, "il calcolo dei dadi torna" e si fa somma. Ed ecco stagliarsi nitida la figura dell'amico portato per la metrica latina che decide di accordare i suoi passi sul rumore dell'acciottolio che conduce a Dio, alla Sua giustizia troppo spesso incomprensibile per edificare una logica della fede.
Pe 'mmare nun ce stanne taverne: "è una frase che andrebbe regalata a chi prende i voti (...). Una frase come questa potrebbe salvare qualcuno, spalancandogli il vuoto sul quale si sta sporgendo".
Quando i morsi della malattia uniti a quelli della disillusione si accaniscono sul corpo e sull'animo del secondo personaggio di Aceto, arcobaleno, vengono in soccorso la polvere e i singhiozzi dello scrittore superstite che trova riparo nella parola tau (ultima lettera dell'alfabeto ebraico) ossia nella stessa parola che l'angelo sterminatore della Bibbia, passando per le vie di Gerusalemme, stampa sulla fronte dei sofferenti per poterli risparmiare.
L'ultima voce che anima la casa di Aceto, arcobaleno prima della rovina, è quella dell'amico amante della crittografia mnemonica che lancia messaggi a uomini e spazi in grado di decifrarli; del compagno che sposa l'ideale nomade, alla continua ricerca di esperienze capaci di riscattare una vita, come i navigatori del XVII secolo che percorrevano indomiti l'emisfero sud pensando di incontrare terre altrettanto vaste di quelle dell'emisfero nord; del puro di cuore che, all'interno di una cella d'isolamento ingiusta, poteva scrivere solo parole definitive, senza possibilità di correzione perché,  se solo fosse ricorso alle correzioni, avrebbe cancellato anche la pellicola di polvere di cui le parole erano formate.
"Le visite, le vite si dileguano, la casa cede, nessun racconto la sorregge più".

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