lunedì 20 marzo 2017

Ecomostro di Aresta, null'altro che un ricordo

Per avere un'idea della nutrita schiera di mostri che abitano il nostro subconscio, basta chiedere lumi ai bambini lasciati anche solo per un minuto in qualche intercapedine di oscurità.

Ti parleranno, allora, alle nostre latitudini, di MariaLonga che, come i serpenti di Laocoonte, ti avvinghierà coi suoi chilometrici capelli per scaraventarti in fondo al pozzo; dell'Uomo Nero che ti tiene per un anno intero per poi crocifiggerti in un crocicchio di paura; del Munaciello  che quando non porta soldi e non è di indole benigna, ti entra nell'anima e si impossessa della sua veste peggiore.
Agli abitanti di Petina e non solo, da ormai sedici, lunghi anni, il termine "mostro" evoca una sola presenza: l'ecomostro di Aresta, appollaiato con le sue propaggini di cemento e grigiore, proprio di fronte all'Osservatorio del  predetto comune dei Monti Alburni.
C'era una volta, principierà, allora, a raccontare il bambino legato a quei mostri del tempo che fu, la bruttura di Aresta.
Questo mostro fu costruito nel lontano 2001. Sotto la veste apparentemente utile del deposito di attrezzi agricoli (anche la strega di Biancaneve, a ben vedere, si presenta ai sette nani come un'innocua nonnina) si celava, fin dal principio, l'intento speculativo dello chalet all'ultimo grido.
Come? L'ecomostro non poteva essere costruito perché ricadente nel territorio del Parco?
Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito.
Cosa fatta, capo ha.
Fu aperto (i buoni, in ogni favola che si rispetti, prima o poi intervengono sempre), nel 2003, un procedimento penale a carico, tra gli altri, del direttore del Parco, architetto Nicoletti, al quale vennero contestati una serie di reati anche paesaggistici.
Il procedimento penale si prescrive (il tempo, a volte, sa essere canaglia) e l'ecomostro di Aresta, dapprima sequestrato, viene poi fatto oggetto di dissequestro e consegnato al comune di Petina che, quasi temendo i sortilegi che le presenze demoniache sanno evocare, si è guardato bene dal riqualificarlo.
Arrivano i nostri.
Il Codacons Campania, per iniziativa indefessa e meritoria dell'Avv. Maria Cristina Rizzo del Foro di Salerno, ha diffidato il Parco nazionale del Cilento ad abbattere la struttura incriminata, trattandosi di un'opera incompiuta che deturpa l'ambiente (si trova, infatti, in un lussureggiante pianoro di una suggestione unica).
Ebbene, il giorno in cui l'ecomostro di Aresta avvertirà la dentellatura della ruspa affondare nel suo substrato di interessi e di illegalità, è stato fissato in mercoledì 22 marzo 2017.
C'era una volta. 
Gli abitanti di Petina, e non solo, potranno confinare, come gli Argonauti riuscirono a fare con le fetenti Arpie nelle grotte, il mostro che ha offuscato per ben sedici anni il loro orizzonte di legalità, nel dimenticatoio di una vecchia storia di speculazione e abusivismo.
Il bellissimo pianoro di fronte all'Osservatorio di Petina gonfia il petto inorgoglito della ritrovata fruibilità. E assieme con esso, l'Avv. Maria Cristina Rizzo, dopo aver ringraziato il Presidente del Parco Tommaso Pellegrino e, ovviamente, il Codacons Campania, declama, con la vista finalmente libera dalla maledizione dell'ecomostro, il "Tra nuvole e terra/d'improvviso/il sole/ depositò il suo uovo sodo" di Pablo Neruda.


mercoledì 15 marzo 2017

Donnavventura in attesa di Poirot su rete 4

Ogni sabato pomeriggio, in attesa di Poirot su rete 4 (canale che per me esiste solo per lo sceneggiato ispirato ai racconti di Agatha Christie), mi sorbisco gli ultimi strascichi di Donnavventura.

No, ja, così sa troppo di matusa intellettualoide. Rettifico: rete 4, "che per me esiste solo per Poirot e per i film di Bud Spencer e Terence Hill."
Ecco, così va meglio. Torniamo a Donnavventura, però.
Per carità, l'idea alla base del programma sarebbe pure interessante: sette ragazze (il sito di Donnavventura ci tiene a precisare che trattasi di giornaliste...sarà!)  alla guida di quattro pick-up rossi (sette diviso quattro fa... poco più di una ragazza e mezzo a bordo di ogni macchina: le polveri sottili, commosse da tanta generosità, ringraziano) scorrazzano per il mondo alla ricerca di luoghi ed esperienze spettacolari.
Ora, a parte il fatto che le giovani pulzelle in questione casualmente sono tutte alte, magre, belle e bone; che altrettanto casualmente sembrano vivere ogni esperienza, anche quella meno entusiasmante, con l'espressione propria dell'Estasi di Santa Teresa d'Avila del BerniniA parte tutto questo, dicevo, quello che proprio non si può sopportare, è la presenza pervasiva, ossessionante, della marche nel programma trasmesso su rete 4.
Innanzitutto e sopratutto, 1A Classe di Alviero Martini: qualsiasi cosa indossino, sfoggino le valchirie di Donnavventura, potete stare certi che ha da qualche parte impresso il "marrone continentale" del celeberrimo brand. A tal proposito c'è da scommettere che, a guardare bene le inquadrature sempre ammiccanti della fortunata trasmissione, sicuramente in qualche angolo della ripresa, come un messaggio subliminale del rocker satanico di grido, compariranno le nuances inconfondibili della 1A Classe.
Non che abbia qualcosa contro i brand in generale e la 1A Classe in particolare, sia chiaro. Solo che sono sempre più convinto che, mentre anni fa la marca, proprio per la difficoltà oggettiva di farsi pubblicità, era davvero, quasi sempre, garanzia di qualità, oggi le cose stiano diversamente. Nella nostra società a uso e consumo della ripresa video, infatti, si pensa prima a farsi pubblicità e poi, se proprio si vuol durare oltre il breve volgere di una stagione, si cerca anche di fare i prodotti come Dio comanda.
Per altri versi, è ciò che accade, ad esempio, per i cantanti: qualche decennio fa, per l'ugola vogliosa di successo, l'apparizione in televisione era il punto di arrivo di una carriera iniziata nelle ruspanti feste di piazze e poi, a colpi di abnegazione e sacrificio, approdata alla ribalta televisiva. Oggi, invece, il discorso si è capovolto: si va prima in tv per marcare la propria esistenza artistica e poi, se proprio si diventa bravi e si ha seguito, si viene insigniti della veste di cantante.
Ritornando alle marche, a ben vedere è giustificata questa logica, vuoi perché se non sei riconoscibile, a prescindere addirittura dalla qualità della tua offerta, sei tagliato fuori vuoi perché il consumatore è talmente anonimo, talmente insicuro, che ha bisogno di un brand che gli dia una identità purchessia e un posto nel mondo che ne legittimi l'esistenza.
Vabbuò, ora ho detto quello che penso di Donnavventura e della dominazione delle marche in questa trasmissione, e non solo. Mo fatemi il piacere, lasciatemi stare in pace qui, sotto le coperte, che dopo l'ennesima pubblicità intenta a veicolare il millesimo brand della giornata, inizia il mio Poirot. Mi devo concentrare: la bellezza è a tal punto complicata da non consentire distrazioni se non si vuole perdere il filo dell'indagine.
(...) hamburger, che sarebbero venti lire di pane, centottanta di polpette e milleottocento lire di nome americano. (Stefano Benni, "Saltatempo").

venerdì 3 marzo 2017

Lorenzo Forte e gli “svaniti in una nebbia o in una tappezzeria”

Lorenzo Forte, l'ho scelto di incontrare io.
"Stavolta, non ci ricasco", mi sono detto, mentre l'attendevo davanti al Bar Verdi di Salerno.
Passati in rassegna i miei 40 anni come brava recluta, ho realizzato che almeno 30 di questi li ho spesi scambiando lucertole per draghi, interessi per ideali, ennesimi Sancho Panza per rarissimi Don Chisciotte della Mancia.
"Stavolta no, caro Lorenzo; stavolta sarò accortissimo nello stanare l'imbroglio, tanto più che anche nel fisico riveli più il castello agognato da Sancho che i mulini a vento combattuti dall'ingenioso hidalgo."
Giusto il tempo di presentarmi, di allestire il più falso sorriso in dotazione, che sparo crudo:<Lorenzo Forte, perché lo fai?>
L'imbarazzo nel mio interlocutore dura una decina di secondi, giusto il tempo di far affiorare il ricordo dai suoi occhi. E mi parla di fantasmi, Lorenzo Forte, del tizio che vestiva sempre un impermeabile bianco quasi per redimersi dal nero bituminoso delle Fonderie Pisano che, di lì a poco, avrebbe corroso le sue viscere.
Mi parla anche della palazzina di via dei Greci, a Fratte, dove in ognuno dei dodici appartamenti, c'è almeno un sudario che gronda cadmio, ferro e disperazione; già, proprio così: almeno uno, per ogni appartamento della palazzina.
Mi racconta, ed è l'unico momento in cui sembri non dare troppa importanza all'argomento, della sua allergia comparsa quando abitava a Fratte (poi, una volta allontanatosene, quasi del tutto andata via); della necessità, ogni mattino che il dio della produzione manda in terra, di liberare le ringhiere e i balconi esterni di casa sua dalla polvere ferrosa appollaiata, come l'upupa nei cimiteri, in attesa di contaminare l'ennesimo organismo.
E poi, Lorenzo Forte, accenna a collusioni politiche combattute da privato cittadino prima, da consigliere comunale poi, a vicende processuali volte a dimostrare una volta per tutte il nesso di causalità tra inquinamento provocato dalle Fonderie Pisano e le troppe morti dei residenti a Fratte e non solo, a permessi ambientali concessi alla fabbrica ormai riconosciuti come illeciti, inefficaci, illegittimi.
Snocciola cifre e dati, Lorenzo, in maniera così analitica e incalzante che la mia penna, intorpidita dal retrogusto della caffeina, non riesce ad annotare.
All'improvviso mi guarda con gli occhi di chi ha stanato la mia diffidenza troppo radicata per darsi già per vinta e, quasi a prevenire l'obiezione che gli sto per muovere, chiosa sornione:<Che poi, se non bastassero i dati, i rilievi, i processi, ci sarebbe pur sempre l'esperienza comune, ovviamente corredata da analisi scientifiche: nei circa sei mesi della chiusura delle Fonderie Pisano, le polvere metalliche e gli inquinanti in genere sono quasi del tutto scomparsi.>
Giunti ormai quasi alla fine del nostro incontro, Lorenzo Forte trova il tempo di illuminarsi in volto. Ciò accade quando parla del suo "straordinario" Comitato "Salute e Vita", delle poche persone che hanno avuto il coraggio, ognuno nel proprio campo e secondo la propria specificità, di fare appieno il proprio dovere (Don Marco Raimondo, il commissario Vasaturo, il procuratore Lembo).
Ci stiamo dando la mano. Per fortuna capisce che, a questo punto, basta davvero poco per farmi ricredere sulla possibilità che ci possa essere qualcuno spinto all'azione da un interesse generale perché superiore:<Hanno detto che cerco la visibilità per mettere all'incasso "politico" il dividendo conseguito con le nostre battaglie. È tanto vero ciò, che non mi sono candidato nelle scorse elezioni comunali.>
Ognuno catapultato nel suo angolo di vita, capisco che Lorenzo Forte si batte per le stesse ragioni per cui si batte anche la maestra Anna Risi, portavoce del Comitato "Salute e Vita": non per un interesse personale (la maestra ha perso già tutto quello che poteva perdere, il marito e la figlia, entrambi stroncati da un tumore) ma "a difesa del Creato", come direbbe l'instancabile don Marco Raimondo.
E io ci credo, forse per la prima volta sicuro di non essere ingannato, soprattutto per loro, i morti delle Fonderie Pisano, "svaniti in una nebbia (inquinamento) o in una tappezzeria (politica connivente)." (Paolo Conte)