giovedì 25 maggio 2017

Il decreto Minniti-Orlando e la vacca di Pasifae

Da avvocato, mi sono imbattuto nelle nuove norme del decreto Minniti-Orlando, approvato in Parlamento lo scorso 12 aprile con il voto di fiducia.

"Ecco materializzarsi - mi sono detto quasi subito - la vacca lignea di Pasifae!"
E sì perché come Pasifae, moglie di Minosse, re di Creta, per congiungersi carnalmente col toro del quale si era follemente innamorata, si nascose dentro una giovenca di legno, così il Governo si trincera nell'involucro del decreto Minniti-Orlando con le sue storture e pastoie burocratiche, pronto a farsi montare dal razzismo imperante.
Fuor di mitologia, veniamo alla mia esperienza: giurisdizionalizzazione del procedimento amministrativo davanti alle commissioni.
In altri termini e con parole più semplici, dinanzi alle commissioni che decidono sulle domande di asilo, l'immigrato è solo, senza avvocato e alla mercé di una struttura (le commissioni sono venti in tutta Italia) composta da quattro membri: un funzionario di prefettura, un funzionario di polizia, un delegato degli enti locali e un delegato dell'Unhcr.
Il giudice terzo e imparziale? Una chimera.
Si violano così, spudoratamente, l'art. 111 Cost. (c.d. "giusto processo"), l'art. 24 Cost. (diritto di difesa), l'art. 6 della Convenzione europea sui diritti umani (diritto al contraddittorio).
Nel 2016 le commissioni hanno respinto il 60% dei migranti arrivati in Italia, sulla scorta di domande da telequiz, errori di copia-incolla e fraintendimenti vari.
Non appena, però, è intervenuta la magistratura (c'è un giudice a Berlino!), in tre casi su quattro, sono state ribaltate le decisioni delle commissioni. (giudici comunisti!)
La Convenzione di Ginevra, infatti, stabilisce che le domande dovrebbero essere mirate ad accertare  il fondato timore di subire una persecuzione in patria del migrante. Invece, col decreto Minniti-Orlando, le domande delle commissioni si basano sulla credibilità del soggetto intervistato e, sempre di più, sui positivi segnali d'integrazione dell'immigrato (criterio, quest'ultimo, meramente opinabile e soggettivo).
Senza contare le sviste e gli errori "ignoranti": ci sono commissioni che hanno considerato sicuri la Libia in fiamme del post-Gheddafi, le zone curde militarizzate dai turchi, la Costa d'Avorio in guerra civile.
Le sedute delle commissioni sono videoregistrate, i verbali informatizzati: tutto per evitare il secondo grado di giudizio nel caso di ricorso davanti al giudice. E sì perché nel decreto Minniti-Orlando non è previsto appello contro la sentenza di primo grado, con il risultato aberrante che "su una causa di sfratto puoi proporre appello, sull'esercizio di un diritto fondamentale, no."
E se ci fosse un diniego alla richiesta di asilo dell'immigrato in commissione? Benvenuti all'inferno: l'immigrato ha solo 30 gg. di tempo per trovare un avvocato, per preparare e per depositare il ricorso.
Qualora ci riuscisse, poi, eccolo finito nelle grinfie dell'art. 737 c.p.c., quello, per intenderci, che disciplina le cause senza contenzioso: niente udienza, niente dibattimento, niente comparizione delle parti.
Il giudice può non incontrare mai né il richiedente asilo né il suo avvocato.
E come giudica, quindi, sulle richieste di asilo? O bella, sulla base dei filmini di cui sopra registrati dalla commissione, no?
Benvenuti in Italia, fratelli!
A farne le spese sono sempre loro, il popolo degli immigrati. Ma ne riceviamo un danno anche noialtri, italiani a 24 carati. Perché i diritti sono o di tutti o di nessuno (M. Ainis)

mercoledì 17 maggio 2017

Lontano dalla civiltà, vicino a Mazinga Zeta


Lontano lontano/molto lontano/oltre l'acqua corrente/e l'elettricità...


Ho fatto il colpo gobbo, classico e addirittura banale nelle modalità, ma sconvolgente quanto alle conseguenze.
"Piero, dammi un gratta e vinci qualsiasi, di quelli da cinque euro, tanto uno vale l'altro."
Eccola la mano unta del tabaccaio che avresti detto più a suo agio tra i pistoni e le valvole di una 1100 che a rovistare, svogliata, tra i cartoncini colorati.
Con un sorriso che già si atteggia a consolazione per un'altra sconfitta, mi fa scivolare un gratta e vinci sulla cinque euro di resto abbandonata sul bancone.
Mi guardo intorno quasi con circospezione. Il far inghiottire il tagliando dalle pagine dell'agenda e il precipitarmi fuori dal tabacchino, è tutt'uno.
Lontano da occhi indiscreti, per quella colpa contadina che ti fa maledire ogni euro speso a coltivare illusioni, mi siedo su una panchina, di spalle alla strada.
Cinquanta centesimi. Gratto, come sempre, prima due miei numeri, e poi ne cerco conferma tra i numeri vincenti. E ancora altri due, e l'ennesima discrepanza mi fa riprendere a grattare.
La cinquanta centesimi, ormai, scarrozza disillusa su macerie argento-sconfitta.
Un numero. Quattro. Due numeri. Entrambi quattro.
Al di sotto del quattro, una strusciata decisa come l'azzardo o lenta come un'agonia?
Basta. Imprimo forza alla circonferenza della moneta, e gratto via deciso.
Cinquecentomila euro. La somma giusta per giustificare un mancamento.
Ok, mi riprendo, tenendo sempre stretto in mano, quasi una seconda pelle, il gratta e vinci del riscatto.
Cinquecentomila euro. La somma giusta per mandare a fanculo le pratiche stitiche, i colleghi spocchiosi, i clienti ingrati: gli ingranaggi della mia snervante "produzione".
Lontano. È una vita che ci voglio andare. Sì, proprio lì, lontano.
Lontano/Lontano/oltre Milano/oltre i gasometri/oltre i manometri/oltre i chilometri/e i binari del tram...
Sono sul "mare" più esteso del pianeta. Navigo sull'Oceano Pacifico, a bordo dell'Esmeralda, lungo la rotta di Vasco Nùnez de Balboa. Soprattutto, sono lontano da tutto quello che ha a che fare con la civiltà, con le convenzioni sociali, con l'eterna efficienza.
Siamo io, mia moglie e i miei due figli, nudi e in contatto diretto con lo spirito del mondo.
Niente costumi, niente scarpe, niente diaframmi tra noi e la natura (a parte la "coperta" preziosa dell'Esmeralda).
Sulle acque, a mo' di vessillo del consumismo, spunta il Mazinga Zeta dell'infanzia che fu.
Sotto di esso, un continente immenso di lampi e bagliori plastici bianchi, rossi e blu.
Tutto intorno, per chilometri e chilometri, il continente di plastica.
La luna la luna/degli ululati/lascia ai poeti/la classicità/ Là voglio arrendermi/in braccio a una musica/che chiude il discorso/dell'urbanità...