sabato 17 febbraio 2018

"La paura di Montalbano", Andrea Camilleri


Montalbano, macari l'Andreuzzo Camilleri, to' criatore, s'è addivertito a farti fare l'opira de' pupi.

Gli episodi in cui ti trovi a firriare capitolo appresso a capitolo, infatti, sono addirittura cinque, in questo libro!
In un vidiri e svidiri ti trovi assugliato, in Giorno di febbre, da una febbre malitta e da un termometro che, malgrado la tambasiata casa casa, non s'arrinesci a trovari.
L'unica è passare alla farmacia di Vigata. Ma qui, Montalbano mio, vai per attrovari un termometro e ti trovi a soccorrere 'na picciliddra colpita per sbaglio da un colpo di revorbaro.
Manco il tempo di catafotterti a soccorrerla che un barbone, agginucchiatosi allato alla nicareddra, con troppa perizia le dona adenzia.
E a te, Salvo Montalbano, affascinato dalla calma e dalla precisione dei movimenti del barbone, la cosa ti feta d'abbrusciato. Ti avvicini per spiargli qualcosa ma lui t'implora di farlo andare via, che vuole restare per tutti un barbone.
E allora, tra il paro e lo sparo, non ti resta che chiedergli, in assenza di 'sto fituso di termometro che non s'arrinesci a trovari, quanto, secondo la sua esperienza di medico, puoi avere di febbre.
In Ferito a morte, a causa del nirbuso causatoti da pagine scipite e splapite di un libro che non ti fa pigliare sonno, ti trovi a rispondere all'ennesima telefonata di Catarella. Un usuraio morto ammazzato. La nipote di Gerlando Piccolo che spara il presunto omicida.
Montalbano, la cosa non ti quatra. Te ne dovrebbe fottere picca e nenti di Dindò, il garzone del supermercato che non s'arricampa ma capisci che Dindò, spilungone con il ciriveddro di un picciliddro, ci trasi eccome con la morte dello strozzino.
Ancora una volta, Montalbano mio, c'inzertasti.
In Un cappello pieno di pioggia, per andare a cena da un compagnuzzo delle elementari, di quelli che, all'epoca, ti portavano sulla mala strata ma che adesso è diventato addirittura  proprietario di una catena di negozi fashion (di quelli che, per tre para di quasette, tre cammise, tre mutanni, tre fazzoletti, una cravatta, ti suca una bona metà del tò stipendio di sbirro), sbatti le corna in un cappello che, per lo sdilluvio, è pieno di acqua e di...mistero.
Ne Il quarto segreto, ammucciato dintra a un portone, ti arritrovi a seguire addirittura le mosse di Catarella. E mentre il tuo centralinista camina quatelosamente ranto ranto il muro, un colpo di revorbaro squarcia la notte.
Catarella, con una grossa macchia scura in mezzo al petto, t'assicura che è tutto tiatro.
E' un sogno, Montalbano, eppure al risveglio, ti scopri (e ti scanti, ah quanto ti scanti!) che pure Catarella strascina la gamma mancina. E poi due, tre, addirittura quattro segreti ti troverai ad avere in comune con il tuo agente.
In La paura di Montalbano, ci arrinescì la tò Livia a portarti in montagna, eh, Salvuzzo? Non lo sapi che tia, appena supra i cinquecento metri di altizza, principi a diventare grevio, pronto ad attaccare turilla a ogni minima occasione?
E con le botte di malinconia che, a questa altizza, puntualmente ti fanno addiventare mutanghero e solitario più del solito, come la mettiamo?
Eppure, anche sopra il cocuzzolo della montagna, ti scanti come un picciliddro di scinniri nelle  profondità dell'abisso umano.
Ne Meglio lo scuro, un parrino di quelli regolari, con abito nivuro e crocifisso, ti viene a scassare i cabasisi (come dice il detto, Salvù? Ah, sì: A monaci e parrini, sintitici a missa e stuccatici li rini) con una storia di cent'anni narrè coperta dal segreto del confessionale.
Ma tu, caro Montalbano, ci sciali, nevvero, a parlare con vecchiareddri che macari s'arricordano il prezzo del burro nel 1912 e si sono scordati, invece, come si chiamano?!
Adesso che ci sei, però, ora che ancora una volta sei arrinisciuto ad addrumare la luce nel buio fitto del mistero...non ti prioccupare, Salvo mio, meglio lasciare lo scuro del sonno e della memoria.
Cosa fatta, capo ha.

sabato 3 febbraio 2018

"La doppia vita dei numeri", Erri De Luca

Erri De Luca, irretito da due commedie di Eduardo (Le voci di dentro e Ditegli sempre di sì)  dalle quali "nessun napoletano può prescindere", si cimenta pure lui nel teatro

Si apre il sipario.
Siamo a Napoli dove ogni rituale è un'esibizione, il posto in cui perfino sulle navi borboniche veniva ordinato di "fare ammuina."
Un fratello, alter ego dello scrittore, che guarda disincantato dalla finestra la piedigrotta allestita per il capodanno.
La sorella, caparbia tessitrice di atmosfere, che costringe il fratello a fare pace con la sua napoletanità.
Al centro della tavola una tombola che, come per incantamento, prende vita.
Ci sono due giocatori per quattro cartelle ciascuno: due per il fratello che ne prende in consegna altre due per il padre; due per la sorella, che si sente in dovere di "guardarne" altrettante per la mamma.
E sì, perché la tombola è il contrario del sogno. Nella tombola si estrae dal panariello il numero che non deve cristallizzare un fatto, come nel sogno.
Nossignore, nella tombola avviene l'incontrario: è il numero che sollecita il racconto, che impetra di essere messo in contatto con tutti gli altri numeri, fino a dare vita a un carosello di fattarielli: la trama e l'ordito, cioè, di un intreccio magico capace di evocare presenze.
Mamma e papà, questi fantasmi!
È un dialogo surreale tra due universi (quello dei vivi e quello dei trapassati) che grazie alla doppia vita dei numeri, quella intrinseca e quella del rimando, arrivano a sfiorarsi e, per un attimo solo, a sovrapporsi e a condizionarsi a vicenda.
Dall'album di famiglia riemerge la pernacchia di papà, "arma contundente che si punta contro qualcuno". Manco il tempo di cimentarvisi, che ecco spuntare il capitone di mammà che puntualmente, ogni vigilia di capodanno, viene perso per casa fino a ricomparire sotto la cesta dei panni.
Ci siamo quasi, mancano due minuti alla mezzanotte.
<Tombola!> Mamma e papà hanno fatto tombola con lo stesso numero.
Fuori si scatena l'inferno. Adesso lo scrittore può osare.
<Quando vengo a stare con voi?>
Mamma con il sorriso, papà corrucciato, si trovano ancora una volta d'accordo:<Presto.>
Chi è nato a Napoli sa che la domanda è lecita ma anche che, una volta ottenutane risposta, il colloquio s'interrompe, la dimensione ritorna a essere unica, ogni canale si prosciuga nella banalità del reale.
Visione, una distanza ci divide.
Fuori esplode la poesia di Napoli.
Lo scrittore, adesso sì, si rasserena.
Può finalmente riaccogliere quella napoletanità dalla quale, suo malgrado, non può prescindere.
E il due ridiventa uno, il doppio definitivamente unico.