venerdì 9 marzo 2018

Se una notte d'inverno uno scrutatore




Eppure avrei dovuto intuirlo.
La mala parata allestiva il suo teatrino di cattivi auspici sul pollo strafocato da Gerardo il venerdì sera. Già, proprio il mio venerdì di passione.
Solo adesso, però, mi ricordo degli auspicia pullaria e del quattro tondo tondo rimediato al ginnasio per avermeli scordati.
Gli auspici che si prendono osservando il modo di mangiare dei gallinacei...
Allora come ora (e avrei dovuto ben capirlo, cazzo!), è proprio il modo di mangiare dei polli che rivela scenari.
Poco importa se, in questo marzo del duemiladiciotto, il mangiare da monitorare per trarre vaticinii non è quello dei polli ma di chi se li mangia, 'sti fetenti di pollastri: occorre avere la mente pronta a raccordare le diverse epoche storiche.
<Non puoi dirmi di no. Lo sai che ho bisogno di questi duecento euro. La provvidenza ("cazzi suoi no, eh?") ha fatto dare forfait al presidente nominato. Ora, in sostituzione, ci sto io. E senza il tuo prezioso aiuto...>
Una lama di luce qui, alla bocca dello stomaco, fa rivivere ustioni: cinque anni fa, segretario del presidente di seggio incarnato (ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?) dalla figura dinoccolata di Gerardo Saggese. 
Una catastrofe.
Urlo, strepito, m'invento missioni da portare a termine di persona pirsonalmente.
La foto del figlio a suo carico tra l'appendice del portafogli e il palmo della mano, e capitolo ignominiosamente.
Sabato pomeriggio, giorno di allestimento del seggio.
Il luogo naturale dell'acqua, parafrasando il vecchio Aristotele, diventa la superficie della terra.
Una pietra, franata dal costone roccioso e imboscata sotto il pelo del fiume che scende verso Salerno, per poco non mi distrugge il sottopancia dell'auto.
Io, segretario del presidente, che dovrei coadiuvare una carica almeno consapevole del suo ruolo, intuisco che sono fottuto: quattro scrutatori, com'è di norma, assegnati alla sezione 124: un ragazzo con il braccio, quello buono, ingessato e perciò impossibilitato a scrivere. 
La donna cannone il cui diabete le impedisce di mettere a fuoco tutto lo scritto più piccolo del carattere 14. 
Il Casapound di turno che si catapulta a fare l'unica cosa che sa fare (!): scrivere, su due fogli protocolli, il genere "mascho" e "femina" degli elettori. 
Infine una ragazzina filiforme che, non appena vede più di tre persone che aspettano pazientemente il loro turno, si sente montare l'ansia e deve correre in bagno.
Torno a casa alle 20,15. Appena il tempo di sintonizzarmi su sky sport per la partita del mio Napoli, che mi ritrovo a imprecare contro la sconfitta che potrebbe costarci il campionato.
Alle sette meno un quarto della domenica mattina, sono al seggio. I bisogni del figlio del presidente m'impongono di offrire la colazione (caffè e cornetto) a tutta la squadra di giovani valorosi.
Voto nella sezione che mi ospita per ottimizzare i tempi. Sempre per lo stesso motivo, non salgo nemmeno a casa per mangiare.
Registro gli elettori con l'annotazione, a tempi alternati, in entrambi i registri. 
Compilo tutte le cartuscelle, rigorosamente in duplice copia. 
Tengo testa alle contestazione dei rappresentatnti di lista. 
Assegno e riporto i voti.
A un certo punto, una lacrima s'impicca per la disperazione.
Probabilmente questi 148 € di compenso per il mio tribolato ufficio di segretario, finiranno nella tasca di qualche strizzacervelli: la mia straziante approssimazione, soprattutto nella compilazione finale dei registri ("Che si vuole da me? Che madonna  di conteggio devo riportare, e dove?"), ha aperto una breccia almeno pari a quella di porta Pia nella mia autostima.
Come se non bastasse, Potere al Popolo ha accocchiato poco più dell'uno per cento dei consensi.
"Ma perchè - mi ritrovo a chiedermi alle 7 del giorno dopo, con l'allucinazione che fatica a riconoscermi qui, comatoso, in macchina - per passare la merce sul lettore ottico della cassa del supermercato, mi devo fare un corso con conseguente attestato e invece per decidere il futuro politico del mio Paese, posso tranquillamente non saper fare una beata minchia?"
Lo specchietto retrovisore mi rimanda il saluto riconoscente del Presidente. Incapace, come tutto il resto.

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