giovedì 13 marzo 2014

Le sopracciglia ad ali di gabbiano e il generale di Archiloco

Ieri sera, a letto, mentre ancora maledici il terzo dito che non ne vuole sapere di pigiare, con cipiglio fiero (cazzo, c'è scritto "ff" ovverossia fortissimo!), il tasto che viene dopo la pausa, t'imbatti in un programma. Per l'esattezza (figurati se si ha il tempo di seguirlo tutto, un programma!), in uno spezzone di trasmissione.
Vedi un giovane in costume adamitico, steso su un lettino, che risponde alle domande di un divertito Enrico Lucci.
Sissignore, sei su "Le iene".
Alzi un po' il volume per capire chi stia "coglionando", con l'aria "paracula" di quello che s'accinge a raccogliere il Verbo sulle Dodici Tavole, il sagace giornalista; soprattutto, ovviamente, il perché.
All'inizio cerchi il giusto compromesso tra l'esigenza di ascoltare le parole dell'illuminato relatore e l'audio basso per evitare di svegliare tuo fratello che dorme già il sonno dei giusti.
Quando le tue sinapsi, però, lambiscono di senso le spiegazioni insensate del giovinastro televisivo, te ne fotti una beata minchia di tuo fratello e del sonno.
Alzi la voce, dopo aver pescato il telecomando in bocca al gatto raggomitolato sotto il piumone.
"Ogni settimana sto al centro estetico. Ho pure il numero privato del titolare così non faccio alcuna fila..."
Poi, sul lettino del centro estetico, se ne corca un altro, di valente orgoglio della gioventù italiota.
"Odio i peli, anche quelli della barba perché mi danno un senso di sporcizia...per non parlare di quelli dietro la schiena...mi sento un perdente solo a immaginarli..."
Ritorna sullo schermo l'adamo di prima.
"Mi sento fuori luogo, incapace di farmi accettare quando non ho le sopracciglia aggiustate...proprio così, ad ala di gabbiano".    
Spegni la tv.
Ti metti sotto le coperte.
Passa un minuto. Ti rizzi ad angolo retto in mezzo al letto.
Con la mente in trance, ti alzi finalmente.
Stai talmente "flashato" che nemmeno l'immancabile sfracellamento del mignolo contro lo stipite riesce a farti fare il presentat-arm! a qualche santo, neanche a qualcuno, meschino, "di contorno".
Torni a letto impugnando un foglio di scottex. Lo schiacci sulla collottola di un sorpreso Pedro. Lo afferri (sempre con lo scottex) e lo lanci via da te.
"Tutto 'sto sfaccimma di pelo che permea (questa è la prova che non ci stai con le cervella, altrimenti col cazzo che ti veniva 'sto verbo) la mia esistenza , vuoi vedere che è per questo che mi sento fuori luogo, incapace di farmi accettare, fondamentalmente perdente?
Poi cadi, come corpo morto cade, in un sonno piombigno.
Nel sogno, la vittoria del generale di Archiloco.
 
Non amo un generale alto, che sta a gambe larghe,
fiero dei suoi riccioli e ben rasato.
Uno basso ne voglio, con le gambe storte,
ma ben saldo sui piedi, e pieno di coraggio
 
Fanculo le ali, il gabbiano e quel ricchione di adamo.

venerdì 21 febbraio 2014

Fabio Fobìa


<Gesù, Gesù, ma questo è caduto con la capa per terra!>

Ci voltiamo tutti a guardarlo, curiosi di conoscere l’ennesimo motivo di preoccupazione di Fabio.

Per Fobìa ( mai anagramma fu più azzeccato! ), ogni giorno porta in dote una serie di grattacapi più o meno reali. E già perché, se per un infausto motivo la giornata si presentasse senza noie, ebbene, in questo preciso momento, interverrebbe l’immaginazione a sopperire alla grave mancanza.

Malgrado la naturale tendenza alla tragedia però, questa volta la sua preoccupazione avrebbe un serio fondamento. Ed infatti, il rosso vivo della maglietta di Che Guevara sbandierato sotto il truce grugno dei camerati della Destra Sociale affastellati in corteo, senz’ombra di dubbio costituirebbe una concreta istigazione al nostro scotennamento. Ma il timore viene meno nel momento in cui, ad indossarlo, è il mitico Dante detto, per l’appunto, “il Che”.

Cos’è l’autorevolezza? Basta conoscere Dante per averne piena cognizione.

Ora, quand’uno parla di autorevolezza, saggezza con riferimento a un tizio, si è subito portati a raffigurarsi il soggetto in questione come uno dei quei vecchi druidi con la barba lunga un chilometro, zellosi, seriosi, perennemente in meditazione. Per intenderci, alla maniera di Nestore, re di Pilo, vecchissimo ( si narra che avesse all’incirca trecento anni sul groppone quando si decise a tirar le cuoia ) combattente acheo nella leggendaria guerra contro Troia. Insomma, come se queste virtù si degnassero di appartenere ai soli possessori della carta d’argento!

L’autorevolezza di Dante invece è sfiziosa proprio perché figlia di quelle mille, mastodontiche e contraddittorie intemperanze adolescenziali che la rendono continuamente disponibile ad essere messa in discussione da noi ragazzi del gruppo; gli stessi ragazzi della comitiva che però, nei momenti di una qualche importanza, siamo pronti ad ascoltare i preziosi consigli del nostro compagno.

In buona sostanza, se l’Auctoritas si dovesse incarnare nel corpo di un mortale, sceglierebbe senz’ombra di dubbio il suo. Un esempio? L’ultima versione di latino della prima liceo.

Sebbene quella prova fosse decisiva per molti di noi lui, tomo tomo, cacchio cacchio, che cosa mai ti fece? Ebbe l’ardire di arricchire la traduzione scontata dell’espressione tacitiana “fingunt e credunt” ( fingono e credono, appunto ), nientepopodimeno che con codesta blasfema aggiunta: ( trad. libera, in omaggio alla nostra cultura campana:se la cantano e se la suonano ).

Mai parentesi fu più rivoluzionaria!

E come succede a tutti i ribelli in uno stato di polizia, quello del professor Cozzolina poi rasenta il regime, il nostro eroe fu impiccato all’albero dell’esame a settembre perenne e il suo cadavere gettato in pasto all’imperituro odio del succitato docente.

Ma un evento straordinario, si sa, assai difficilmente si limita a partorire un solo effetto:nel caso di specie difatti, questo gesto temerario, oltre a cristallizzarsi nella classica pigliata ‘ncopp’ a ll’uocchie del sobillatore in questione da parte del collerico Cozzolina, trovò ospitalità nei margini assai larghi e slabbrati del fattariello che da quel momento in poi prese ad aleggiare, presenza strabordante e pervasiva, in tutti i corridoi, le aule, gli anfratti più reconditi del Liceo Ginnasio Torquato Tasso.

giovedì 20 febbraio 2014

Lo sfogo di un Avvocato con la Cravatta


È uno sfogo di cui mi pentirò tra un minuto. E sì perché io sono un “Avvocato con la Cravatta” e agli “Avvocati con la Cravatta” non è consentito lamentarsi. Già, la cravatta!

Come se questo accessorio fosse la prova inoppugnabile della raggiunta agiatezza.

In uno dei film cult di Luciano De Crescenzo "Così parlò Bellavista", nel celeberrimo sketch "la mezz'ora", il fratello saggio rimprovera il più piccolo, un affranto Cannavale, di aver dilapidato tutte le proprietà che i genitori gli hanno lasciato. Il tutto, anche in nome della 124 spider che, a detta dello scapestrato rampollo, non gli consente di abbassarsi a lavorare da fattorino, "manco - e questo è il commento caustico del fratello "inserito"- se la centoventiquattro spider fosse un titolo di studio!". Già, il titolo di studio!

Mi sono laureato in Giurisprudenza. Non mi piaceva molto. Avrei voluto fare lettere classiche o, per converso, avendo già qualche anno di pianoforte (rectius pianola, "perché il pianoforte costa troppo e non abbiamo spazio") alle spalle, avrei voluto diplomarmi al conservatorio. Ma si sa, di latino e greco così come di virtuosismi acustici, non si mangia.

“Con Giurisprudenza, male che vada, troverò il placido posto in banca che mi permetterà di condurre una vita normale", ovverosia di raggiungere l' aurea mediocritas a cui ho sempre aspirato.

E quindi, sotto con gli esami. C'ho messo, per una serie di motivi, troppo tempo per laurearmi; questa è la mia colpa, lo so, sebbene abbia, nel frattempo, prestato il servizio militare, lavorato part-time all'università stessa, etc., etc..

Forse, però, il vero fattore di rallentamento è stato studiare qualcosa che non mi entusiasmava mentre continuavo a divorare libri (di narrativa) su libri, la mia vera passione.

Fiat laurea! Mi sottopongo, zittendo la mia dignità "comunista" che qualche "maestro" (!) o dominus (!!) mi (ciononostante) rinfacciava, alla schiavitù del praticantato.

In due anni, ho cambiato due avvocati…alla ricerca della libertà? Macché, cercando di sottomettermi a un titolare di studio appena meno schiavista del precedente.

Poi il giuramento e l'esame di avvocato. Eh, qui sono stato proprio bravo. Bravissimo. Eccelso...nel copiare con stile, nell'inserire qualche perifrasi latina ad hoc, nel far fruttare la mia ossessione per la punteggiatura.

Così si supera, addirittura in prima battuta, l’esame di avvocato.

Con il titolo in tasca, finalmente l’emancipazione. Mi si aprivano davanti agli occhi le sterminate praterie della dignità da lavoro. Già, la dignità da lavoro!

Una collaborazione con un avvocato che pagava benissimo. Seicento euro al mese per circa 120 km alla mattina (se andava bene), con la mia punto bianca di 10 e passa anni, per le udienze nei fori più sperduti della Provincia di Salerno. Alle 15, poi, ripresa dell’auto per la stazione bus di Salerno; pullman per Napoli;  metropolitana per lo studio legale. Finalmente, l’arrivo in loco.

Prima cosa, spegnere il cell., perché non si poteva sottrarre tempo alla produzione (da fabbrica cinese) delle comparse e atti vari che occorreva garantire. Infine, dopo una claustrofobica giornata, si aspettava la metropolitana, si riprendeva il pullman per Salerno, ci si rimetteva in macchina e si arrivava, per le 22-22 e 30, a casa.

Vitaccia, ok, ma dopo poco più di cinque mesi sono riuscito ad arrivare, tra lo stupore di molti miei colleghi che non ammetterebbero mai, dall’alto delle loro Cravatte, che non svolgono altro lavoro che “fare le vasche” per il corso con la paghetta di papà, ad arrivare a  1000,00 euro al mese.

Nel frattempo la gloriosa Punto, dopo aver ingollato, negli ultimi cinque mesi di vita, più chilometri che da quando è stata fabbricata, mi ha lasciato a piedi. A nulla è valso il rimedio, altre volte salvifico, della bottiglietta d’acqua da versare nello sfinito radiatore ogni 50/60 km. E allora, che fare?

Compro la fatidica macchina. A 300 euro al mese per 5 anni. ‘Na cazzata, d’accordo, ma tanto ne guadagnavo 1000 e avevo capito che solo di mia volontà sarei potuto uscire da quella fabbri…pardon….da quello studio.

E poi, la colpa imperdonabile. La seconda, nell’ordine:dopo un mese di ricerche su “Subito.it”, compro un pianoforte. Di terza mano. Riverniciato e rimarcato.

Finisce il lavoro. Non si sa come, non si sa perché.

Grazie all’aiuto della mia famiglia, apro uno studio legale in un locale fittato

Nel frattempo, scrivo un libro di narrativa che riesce anche ad avere qualche successo, solo di pubblico, ovviamente, perché le case editrici importanti sono in tutt’altre faccende affaccendate (pubblicare l’ennesimo libro di ricette della starlette di turno o le memorie dell’ultimo politico che si ritira, novello Cincinnato, a vita privata dopo l’ennesima mazzetta intascata). 

Lavoro tanto, guadagno pressocchè nullo. Ma…bisogna farsi conoscere, bisogna fare la gavetta.

Dopo tre anni da “Avvocato con la Cravatta”, ho lasciato versamenti IVA arretrati, bolli auto che non ce l’ho fatta a pagare. Adesso c’ho l’iscrizione alla Cassa che non pagherò. Già, anche la cassa!

Eppure sono cresciuto con la convinzione che le tasse debbano sempre e comunque essere pagate. Quando, però, si è costretti, dopo aver tagliato su tutto (sabati in comitiva perché l’uscita in gruppo costa troppo, acquisto degli agognati libri, partitella a calcetto settimanale “perché 5 euro sono pur sempre 5 euro”!) a scegliere se sopravvivere o pagare le tasse…fate un po’ Voi!

Proprio adesso ho finito di scrivere una lettera su una materia alquanto complessa che mi è costata 2 ore di ricerca. Ho chiesto 60 euro e me ne sono stati dati 30 da un tizio che, con la stessa somma datami, non ce l’avrebbe fatta manco a tagliarsi i capelli dal suo coiffeur dei personaggi da sabato sera

La dignità mi ruggisce nell’animo. Dovrei mandarlo a fanculo. Cazzo, la stima di me stesso m’impone di schiaffargliele in faccia, ‘ste sfaccimme di 30 euro.

Un pensiero estemporaneo mi attraversa il cervello: la pizza con la mia bella, che “avanza” ancora due regali, per onomastico e compleanno, e che già sa, dall’alto della sua sconfinata comprensione, che non riceverà mai.

“Vabbuò, ringrazio il dottore, e…accetto!”. A proposito, ho partecipato, io comunista allergico alla televisione, anche alle selezioni di “Affari Tuoi”….hai visto mai?

E dopo il fatal gesto dell’appropriazione di 30 in luogo di 60, un pezzo della mia dignità, l’ennesimo, mi rimprovererà per la prossima nottata insonne. Già, la dignità!

Che dignità può avere uno che è condannato per il titolo ad essere benestante, ma che fa 1 km in più a piedi per trovare ancora, in quel bar all’angolo, il caffè a 60 centesimi?

Lo so che sarò scomunicato da tutta la genia degli “Avvocati con la Cravatta”.

Ma non ho più nulla da perdere. Non un presente né, e mi auguro fortemente di sbagliare, un futuro.

Sono rimasto da solo, con un pianoforte scordato, un’auto da pagare, un libro pubblicato e uno da pubblicare.

Mi dimetto, mio malgrado,dalla categoria degli “Avvocati con la Cravatta” perché solo adesso, grazie agli affetti che mi ritrovo e al mio io più vero, mi accorgo che la cravatta, per davvero, non l’ho mai portata.  

P.S. Ho 37 anni appena compiuti ma…non Vi azzardate minimamente a considerami giovane. Dietro l’apparente lusinga della gioventù infatti, si cela l’alibi e/o la giustificazione (a seconda dei punti di vista) del nostro destino di fallimenti. Voglio essere quello che sono. Un uomo di 37 anni che appena dieci anni fa avrebbe avuto un lavoro a prescindere dalla Cravatta, una famiglia tutta sua e un pianoforte finalmente accordato. E, chissà, un libro una volta per tutte pubblicato dalla Feltrinelli.

 

 

 

martedì 11 febbraio 2014

Supequacc!


<Guarda, vedi qua! Non si capisce niente:munnezza a destra, munnezza a sinistra…viviamo nell’epoca della munnezza, non ci stanno santi! Tra un poco, accanto ai segnali stradali, dovranno mettere i segnali della spazzatura:obbligo di munnezza a destra, divieto di sosta per la munnezza…>

<Al nord, è tutto un’altra cosa, caro Giacchino. Quando sono stato a Milano, addirittura ho visto le guardie che facevano la multa a quelli che buttavano le carte per terra.>

<Eh, ma voi non sapete niente! Ieri sera, al primo canale…a quel programma dove ci stanno il padre e pure il figlio…>

<…e lo Spirito santo, mastro Giuà! Si chiama Supequacc!>

<Eh, proprio quello lì! In tutti i modi, facevano vedere che a Brescia hanno costruito una specie di inceneritore per la munnezza, come ce l’abbiamo pure noi qua, dalle nostre parti. Però, mentre da noi puzzano e buttano fuori aria sporca e fetente, lì invece, al Nord, addirittura ( non so come fanno! ) ci riscaldano l’acqua delle case e pure gli appartamenti! Eh, eh,eh…date retta a me, che ho fatto la campagna di Russia; i nordisti sono come gli ebrei, c’hanno la mente fina!>

<Avete capito proprio bene, mastro Giua’! Eppoi si lamentano di Bossi, della Lega….sapete che vi dico? Secondo me quello ha ragione…loro sono più cristiani di noi, non ci sta niente da fare!>

<Per me, ci vorrebbe Mussolini…tu sporchi, fai la munnezza? Olio di ricino, e così t’impari!>

<Bravo, don Peppino, avete detto proprio bene!>

Don Peppino ritira la pensione. Esce ciondolante dall’ufficio postale. Si mette una caramella rigorosamente all’anice in bocca.

Naturalmente, butta la carta per terra.

martedì 21 gennaio 2014

Ma lo scrittore?


No, ma, per dire, io ancora non ho capito come si faccia a diventare scrittore. Mi arrovello fino a perdere la proverbiale trebisonda, ma non c'è verso di raccapezzarmi.
Certo, uno mi potrebbe chiedere che cosa io intenda per scrittore. E sarebbe la domanda giusta da fare visto che, dalla notte dei tempi, per voler far parte di una categoria occorre quanto meno averne una visione di insieme, di questa categoria; anche perché, diversamente, non so fino a che punto uno possa sentirsi legittimato, con lo sguardo gemebondo e trasognante, a  sospirare: "Ah, lo scrittore!".
Ebbene, io, per scrittore, intendo un tizio che magari passi la giornata a zonzo, in una città piuttosto che in un'altra, per raccogliere sempre nuovi spunti di riflessione...beh, a pensarci bene, anche il vagabondo fa più o meno la stessa cosa.
Sì, ecco: lo scrittore è chi si sente e si dimostra protagonista e che, come indefettibile corollario di ciò, può dire tutto quello che gli pare perché il suo verbo (soprattutto quello custodito dalla scrittura) è un concentrato di ambrosia e di suggestioni paradisiache...già, me c'è già il politico di turno che si comporta alla stessa maniera.
Calma e gesso. Vediamo un po'...ci sono: per scrittore si può intendere colui che viaggia in una macchinona e che è sempre circondato da femmine sofisticate che si lasciano sedurre dall'arguzia dal suo essere personaggio...nooo, questo è il cantante impasticcato costruito dalla major discografica!
Va bene, accantoniamo per un attimo il problema dell'essere e concentriamoci sull'aspetto del fare.
Che sfaccimma, cioè, di azioni deve compiere lo scrittore per essere definito tale?
Sgomberiamo il campo da un immediato, pernicioso fraintendimento: per diventare scrittore, non necessariamente occorre scrivere bene. Sorpresi? Beh, basta guardare me.
Tutti dicono che le mie "cose" sono egregie, che la caratterizzazione dei personaggi "è la morte mia"; e non basta, perché aggiungono pure che "ho la cultura colta delle parole" (questo, a dire il vero, non è che l'abbia capito benissimo...è una cosa positiva, no?). Ciononostante, a parte qualche piccola soddisfazione editoriale, non c'è l'ho fatta a raggiungere le vette del Parnaso (la vetrina della Feltrinelli, sul corso Vittorio Emanuele); che poi, a dirla tutta, mi farei bastare anche un angolino, magari pure dietro, molto dietro, l'ultimo best seller di Fabio Volo.
Ma non divaghiamo. Quindi, dicevamo, non è condicio sine qua non, per assurgere al rango di scrittore, lo scrivere bene. Che poi, questa affermazione, oltre che dal mio lampante esempio personale (modestia, questa sconosciuta!), viene corroborata anche da quanto si legge su alcuni siti di case editrici: "non è fondamentale saper scrivere in maniera perfetta (i correttori di bozze, altrimenti, che esisterebbero a fare?) quanto, piuttosto, avere cose originali da raccontare".
Ebbene, mi è capitato di leggere storie in cui si pigliavano i classici due piccioni con una fava: far lavorare i correttori di bozze grazie a congiuntivi alla comevieneviene e, contestualmente, intessere trame così originali che nemmeno un marziano tradotto a Saturno potrebbe tessere.
Solo che, anche questa volta, c'è stato il classico buco nell'acqua.
A questo punto, solo et pensoso i più deserti campi (d'asfalto, ndr) vo mesurando a passi tardi et lenti. Mi trovo, come mi capita frequentemente, a osservare la vetrina della libreria sotto casa. Stavolta però, dominato dal demone dell'essenza dello scrittore che continua, imperterrito, a celarsi ai miei occhi pur facendomi sentire la sua pervasiva presenza, guardo quella festa di titoli con rinnovato spirito critico.
Accartoccio le palpebre, sintonizzo la mente.
Un'improvvisa illuminazione connette le mie sinapsi, anche quelle più periferiche.
Le ricette raffinate di miss Odette, Il miracolo della prestidigitazione, Il cuore con le ali appollaiato sul trespolo della mente....
Ecco chi è finalmente lo scrittore: la ragazza che tiene in mano un libercolo di un colore sommesso, che già pregusta la gioia di perdersi in quelle pagine ingrigite per la troppa lontananza dai clangori della vetrine ammiccante.
Ella, infatti, porterà quel romanzo a casa e, in groppa a qualche feconda suggestione letteraria, si nutrirà del distillato di quei caratteri di stampa, fino renderne satolla l'anima. E sarà allora che, inoltratasi nelle lussureggianti praterie dell'immaginazione, avvertirà il bisogno insopprimibile di sedersi davanti al monitor di un pc. Inumidirà i propri polpastrelli con il calore della creazione, e inizierà a scrivere.
Ecco chi è, allora, lo scrittore. E' un fervido sognatore che se ne frega del successo, delle strategie editoriali, dei soldi.
Lo scrittore è un dio di terza classe che si diverte a creare storie e a viverle come se anche quelle degli altri gli appartenessero senza dubbio.
È un affamato ghiottone di anni che non si rassegna a consumare solo quelli che sono apparecchiati sulla sua tavola, divertendosi, così, a spiluccare  anche su quella degli altri
Ordunque, sulla scorta di queste definizioni, posso tranquillamente affermare che anch'io lo sono. Anch'io sono, cioè,...un attimo che recupero lo sguardo gemebondo e trasognante...uno SCRITTORE.

giovedì 9 gennaio 2014

La miopia, ti fa bella la vita

La prima volta, è successo ventitré anni fa.
Era il tempo in cui avrei dovuto avere un rapporto quindicinale con il mio oculista. Ma si sa come vanno certe cose quando ci si inumidisce l'indice con la saliva e lo si struscia sui peli del polpaccio per dimostrare alla bella della scuola che anche noi siamo grandi! Si ha paura, in buona sostanza, di peggiorare una situazione che già di per sé è sminuente.
Insomma, proprio non volevo ammettere che, ancora un volta, le mie lenti già colpevolmente spesse, non riuscivano a focalizzare con nitidezza chi avesse bussato al citofono. E allora, puntualmente, mi ripromettevo di smettere di leggere di notte, alla fioca luce dell'abat-jour; così come di praticare quell'attività forsennata che da più parti veniva considerata deleteria per la vista.
Ora, se al primo proposito riuscivo a tenere fede cercando di recuperare nelle ore di religione, per quanto riguarda il secondo...beh, diciamo che, malgrado l'impegno profuso rafforzato financo dalla convinzione che si trattasse di pratica "sporca" e "infernale", non sono riuscito propriamente a portarlo a termine. D'altronde, provateci voi a silenziare una voce quando l'ugola ha uno sfrenato bisogno di ballare il tuca-tuca! 
Comunque stiano le cose, sta di fatto che la mia miopia la iniziai ad apprezzare proprio quel ventotto dicembre di ventitré anni fa.
Una serata di giochi natalizi qualsiasi, almeno nelle premesse e fino a quando non si decise di giocare all'immarcescibile "gioco della bottiglia".
Un giro, tre giri, cinque giri: il collo della bottiglia si ferma a filo della mia sagoma.
L'azione è il baciare.
Le mie labbra ingorde sono già su quelle turgide di Angela che sicuramente avranno il potere di fermare la bottiglia proprio su di lei.
Un giro, tre giri, cinque giri: a volte la morte si sconta vivendo.
Carla è lì ad attendere il responso della sorte beffarda.
Chi è Carla Dell'Oglio? All'epoca (non l'ho più rivista e non posso apprezzarne "gli sviluppi"), un bulldog con il fermacapelli.
I debiti di gioco, però, vanno onorati, costi quel che costi.
Marco, più avvezzo alle pratiche adolescenziali, m'invita, con il sorriso "sfottitore" ancora sulle labbra, a togliermi gli occhiali per baciare meglio.
Ormai incapace di decidere alcunché dopo il ferale responso, seguo il suo consiglio.
Miracolo! Portento!
Vedo i contorni fumosi di Carla prendere a friggere come le patatine nell'olio. E' materia cangiante prona al mio volere.
Felicemente stupito, inizio a lavorare a ritagliare il suo profilo e, con maestria degna di miglior sorte, a divellerlo dai suoi stomachevoli confini e a sostituirlo con quello della celeste Angela.
Un lavoro di mastro d'opira fina.
Il bacio, grazie alla mia immaginifica miopia, è stato, stando ben attento a non aprire gli occhi nel momento in cui infrangevo la copertura delle mie diottrie appannate, il più bello della mia vita.
Ora, a distanza di ventitré anni, divenuto più esigente, quando voglio modificare qualcosa di brutto, mi tolgo gli occhiali e inizio il lavorio di cesello.
Lenti a contatto permettendo, ovviamente.


lunedì 30 dicembre 2013

(discorso alcolico su) Il Tempo, il consumo e Ungaretti


Nella notte dei tempi, il Tempo scorreva anonimo. La Misura, difatti, non era ancora stata inventata perché sul globo terracqueo non era discesa, con le sue manie ordinatrici, la Mente. E anche quando l'uomo, custode spesso ignaro della Mente, si affacciò sul palcoscenico della vita...ebbene, anche allora, il principio vitale venne ravvisato in elementi che nulla concedevano alla Misura. E quindi, l'Acqua, l'Aria.
Il primo embrione che invece fece presagire un cambio di rotta, fu l' "apeiron" di Anassimandro. Oddio, non che prima non si fosse diviso il Tempo in frazioni più o meno lunghe; anche perché, se così non fosse, sarebbe stata, per certi versi, addirittura impossibile la vita, in special modo quella "relazionale". Ergo, la Misura, la scansione temporale è nata con l'uomo. Solo che, a quel tempo, ancora era legata, solo ed esclusivamente, al campo della necessità.
Poi venne Anassagora con il suo "Nous" (la Mente, per l'appunto) e si aprì il vaso di Pandora del tempo inteso anche come orpello; alla stregua, cioè, di porzioni di durata da sfruttare per scadenzare pure i momenti non strettamente legati al necesse est.
Cibo della Mente, infatti, non può e non deve essere solo il binario troppo spesso monotono del dovere ma anche il firticchio della passione, del passatempo, del piacere slegato dai dogmi della quotidianità.
E quindi eccoci, attraverso un volo pindarico di secoli e secoli, arrivare alla disamina, ancora seriosa, del Tempo da parte di Sant'Agostino: "Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell'anima ('distensio animi'). Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un'istante inesistente di separazione tra passato e futuro."
Poi sul proscenio della Storia ci siamo affacciati noi che abbiamo iniziato ad appioppare ad una data sì, e all'altra pure, la misura confacente al nostro animo aggiogato al demone del Consumo. Ed ecco, quindi, l'Armani per capodanno, il Lindt per l'Epifania, il Versace per San Valentino,  la 1a Classe per Pasqua, il Sony per Natale. Senza contare, ovviamente, le strenne di denominazione varia per i compleanni, gli onomastici, gli anniversari e compagnia cantando.
Tutto buono, tutto giusto. Tutto intrinsecamente commisurato e valutato sulla scorta della nostra capacità di consumo, con buona pace di Marx e sodali.
(E con questo...ih...siamo al quarto calice di Ferrari).
Come concludo...ih....?
Ah, già, ecco:tanti auguri di un megagalattico capodanno con l'unico...ih....avvertimento di non "consumare" tutto il capitale. Tra poco, infatti, tra capo e collo ci arriverà la befana, poi S. Valentino, poi....hi,hi....insomma, il Tempo chiederà il tributo di altre misurazioni a cui non possiamo per nulla al mondo sottrarci.
Felice...hi...anno nuovo!

NATALE

di Giuseppe Ungaretti



Non ho voglia

di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
Napoli, il 26 dicembre 1916