martedì 26 agosto 2014

La secchiata virale

Eccoci dal ritorno dalle ferie.
<Parla per te, testa di mammalucco, che io sto ancora qui a sollazzarmi l'ombelico in riva al mare!>
<Mmh...> deglutizione di conato di rabbia.
A uno così vorrei far notare (Calma e gesso): a) che anche se ancora in ferie, la mente, ammesso ne abbia in dotazione una, anche di bradipo aterosclerotico, non dovrebbe sforzarsi troppo a riandare al lavoro col vedere la faccia via via più incazzata del gestore del lido; b) che "Verrà un giorno..." - mi sorprendo a profetizzare con l'indice ammonitorio.
Ebbene, dicevo, rieccoci di nuovo saldamente ancorati sulla nave ormai in preda al cuoco di bordo.
La lista delle vivande che ha soppiantato bellamente la rotta prevede, al primo posto, l'ice bucket challenge.
Dopo essermi atteggiato a fine dicitore anglofono (quello che fingo d'essere e non sono), osservo sul punto: le secchiate d'acqua per beneficenza...eh, di questo si tratta. Chest'è, né più né meno.
Quando capirò dove nasce il bisogno di complicarci terminologicamente la vita con l'aggravante, per il caso specifico, dell'ennesima prova di sottomissione alla perfida Albione (oddio, mi scopro sciovinista!), capirò forse anche le mode del momento. Già, proprio di moda si tratta, per quanto riguarda l'ice etc. etc (ah, il latino!).
Dicevo che questa voglia irrefrenabile di buttarsi secchi di acqua gelata in testa (a condizione imprescindibile  di essere rigorosamente ripresi, fotografati, postati...insomma, eternati tecnologicamente) nasce ad inizio agosto. Il primo a sottoporvisi è stato una ex promessa del baseball americano, tale Pete Frates, 29 anni, malato di Sla. L'obiettivo, assolutamente meritorio, è quello, per l'appunto, di raccogliere fondi per la ricerca su questa terribile malattia.
Bene. Quando lo scopo è cosa buona e giusta...! Certo, qualcuno potrebbe obiettare che anche il fine degli americani (quello di avviare a conclusione la Seconda Guerra Mondiale) era cosa buona e giusta quando armarono l'Enola Gay con la bomba atomica ma...non stiamo qui a sottilizzare!
Dunque iniziativa bella, costruttiva, edificante
All'inizio circoscritta a qualcosa come i proverbiali venticinque lettori del Manzoni, poi estesasi anche ai volti noti. E più l'iniziativa cresceva, più i soldi donati aumentavano.
Cosa fatta, capo ha.
Niente di tutto questo (sigh!).
Dopo la partecipazione sincera di chi non aveva bisogno di farsi pubblicità, ecco la disperata salita sul carro mediatico di giocolieri, saltimbanchi, prestidigitatori di cui manco l'archivio di YouTube conserva più memoria.  E ognuno di loro eccolo nominare, in ossequio ad una strategia mediatica pianificata fin nei minimi dettagli, un'altra selva di malati cronici di popolarità. Con l'aggravante che molti di questi, ormai lontani da ere geologiche dal Jet Set catodico, non hanno nemmeno un euro da poter donare (gli ultimi li hanno spesi in qualche clinica psichiatrica alla ricerca disperata del proprio io).
Poco male. Almeno abbiamo concesso l'oro un'altra, forse l'ultima occasione (fino a nuovo tormentone virale) di riaffacciarsi alla ribalta.
Infine c'è il personaggio colto, refrattario ad ogni tendenza modaiola, che fa un video (!) per spiegare che lui no, lui non si sottoporrà al gioco puerile delle secchiate ma che, comunque sensibile come e più degli altri al problema Sla, provvederà a vergare di suo pugno un assegno per la nobile causa.
"Fermati qui".
Lo vedo, sempre nel video, far cenno a qualcuno.
"Fermati qui, ti dico!"
Il qualcuno di cui sopra gli porta un assegno ("Te l'avevo detto di fermarti, bestia che non sei altro!") che lui firma a beneficio di telecamera e di cui, non appena il primo piano è assicurato, mostra orgoglioso l'importo.
Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. (Dal Vangelo secondo Matteo 6,1-6.16-18).
E questa è la storia della degenerazione di un fenomeno ab origine edificante.
E pensare che c'è chi non sceglie di buttarsi l'acqua gelata in testa e pur tuttavia ci cade, con tutto il corpo quindi, nell'acqua...salata, stavolta.
Non c'è, in questo caso, nessun fine meritorio da poter immortalare, postare, riprendere. C'è solo l'ennesima morte da documentare con fastidio.
Ma questa...è un'altra storia.
Buon rientro.
 

 

 
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/politica/frase-24554>

sabato 23 agosto 2014

"L'isola di Arturo" di E. Morante

A distanza quasi di vent'anni, ho voluto riprendere in mano un libro che mi aveva lasciato, in prima lettura, delle sensazioni acerbe.
Inizio a rileggerlo, e le prime pagine sembrano premiare la mia scelta; e ciò sebbene fin dall'inizio ci si imbatta in errori (cosa che non riesco a spiegarmi in una scrittrice inspirata come la Morante) che appaiono essere troppi e troppo gravi per giustificarli con l'assolutoria perifrasi "errori di stampa".
In un primo momento, mi riesco a immedesimare con Arturo Gerace, padrone dell'Isola e purtuttavia anima sola.
Salpato, ormai, oltre le promettenti acque della riva, la disillusione: l'annichilente déjà-vu.
Mi figuro, da qui in avanti, il solito romanzo sdolcinato del figliuol incompreso. Genere, quest'ultimo, ovviamente a me inviso.
Contrariato ("ho riletto un libro per il quale una prima lettura era più che sufficiente!"), continuo, imperterrito e in ogni caso speranzoso, a leggere.
Quando la navigazione è ormai in mare aperto, ecco apparire l'amico del padre di Arturo e, d'incanto, i germi di una prolissa noia si mutano in un accattivante inizio della fine.
La mia adolescenza, per fortuna mai del tutto abbandonatami, l'avverto (ri)prendere il largo da me nel momento stesso in cui Arturo, ormai sul vapore che lo porterà sulle rive di una maturità piena, prega il balio Silvestro di avvisarlo quando finalmente il ventre caldo delle sue estati interminabili sarà inghiottito definitivamente dal mare. Solo in presenza di quell'assenza, infatti, potrà bagnarsi nelle acque di una maturità necessariamente lontana (per sempre?) dall'isola, la sua isola: quella, per l'appunto, di Arturo Gerace.
"Non si descrivono situazioni ma solo passaggi" (Montaigne).
 
 

lunedì 18 agosto 2014

Il Bambin Gesù e le spiagge libere


Steso sul lettino sotto il cono d'ombra dell'ombrellone, prendo sonno. Il rivolo di saliva, appena accennato perché comunque rispettoso della visuale altrui, mi trascina in un sogno ai limiti dell'eresia.
Siamo ai giorni nostri. Da lontano, due persone abbigliate in maniera ridicola, si avvicinano alla mia visuale. Mi oltrepassano bellamente, quasi non mi vedessero.
L'uomo, che dalla dolcezza con cui guarda la donna al suo fianco presumo ne sia il marito, chiede qualcosa al gestore del Lido Marinella. Ricevutane una risposta evidentemente non soddisfacente, invita la moglie a riprendere il viaggio.
Ad un tiro di schioppo dal primo lido, il viandante si rivolge al parcheggiatore del secondo lido. Gli chiede qualcosa. Dopo aver ascoltato la risposta scocciata dell'omino delle macchine, con una dolcezza d'altri tempi, invita la consorte a fare un ulteriore sforzo, riprendendo il cammino.
Incuriosito, decido di seguirli. Mi affianco praticamente a loro e sfrutto il fatto che sembrano non vedermi.
Stavolta sono alla giusta distanza per sentire quello che stanno chiedendo a quest'altro personaggio.
<Buon uomo, potreste indicarmi dove si trova una spiaggia libera?>
<Come? Ahe, capo: spiagge libere, non ce n'è....se vuoi farti un bagno garbato e sistemato, puoi venire al nostro lido. Paghi la discesa e...>
<...Scimunito, perché non glielo dici che c'è la spiaggia della pineta a cinquanta metri da qui? Non vedi che la signora è incinta?>
<Ahó, ma perché non ti fai i cazzi tuoi?>
Il marito, soddisfatto di aver saputo che lì vicino possono finalmente trovare quello che hanno invano cercato fin lì, amorevolmente invita la moglie gravida a seguirlo.
Eccoli qui. Si guardano intorno.
<Maria, - chiede, scettico, Giuseppe - ma sei proprio sicura che l'Angelo del Signore ti ha predetto di partorire sulla spiaggia pubblica?>
<Sì, mi ricordo benissimo. Solo che... - e così dicendo, guarda perplessa la sporcizia che regna sovrana sulla sabbia.>
<Mari', sai che ti dico? Sarò pure il padre putativo, ma 'a creatura, in questo schifo, col rischio di fargli buscare una vagonata di malattie, non la faccio nascere. Vieni, jamm, fatti persuasa: andiamo al lido. Tanto, sempre alla riva del mare nasce, no?!>
Mi sveglio all'improvviso. Mi asciugo il rivoletto di saliva e guardo a terra: tutto pulito.
Sposto allora lo sguardo appena oltre il reticolato dagli ombrelloni variopinti, e vedo i resti della bestia umana.
Triste, cerco di riprendere sonno.
 

 

lunedì 11 agosto 2014

Il me medesimo del web


Ora, sia chiaro: non è che scopro la pietra filosofale se affermo che il web ha imparato a conoscerci. Come? Dalle ricerche e, più in generale, dalla navigazione che ogni giorno, più volte al giorno, intraprendiamo sui suoi procellosi mari.
A chi, infatti, non è mai capitato di voler risparmiare sulla polizza auto rivolgendosi ad uno dei tanti siti strombazzati da giornali e tv? No? Delle due, l'una: o state bene a soldi oppure viaggiate col tagliandino farlocco.
Nel caso invece, come me, non vi troviate in nessuna delle due condizioni di cui sopra, è facile sperimentare, qualora vi registraste su uno dei motori di ricerca specializzati nel settore, quello che si innescherebbe nella vostra casella di posta elettronica.
In soldoni, il web registrerà, saecula saeculorum, la scadenza della polizza che si preoccuperà di ricordare ogni anno (o ogni semestre, se semestrale), esattamente a partire da 10 gg. prima e fino al dì stesso dell'evento, con l'invio una solertissima mail. Ma vi è di più: siccome quando vi siete registrati avete inevitabilmente inserito anche il tipo di automobile che possedete e l'anno di immatricolazione, da quel momento in poi siete "attenzionati" (sempre tramite mail), oltre che dalla casa automobilistica "vostra" che vi allerta non appena si paventa soltanto l'uscita del modello successivo, anche da quelle più svariate e improbabili che vi propongono di trasferire il vostro deretano dallo scassone di macchina che guidate attualmente all'automobile avveniristica che potreste guidare se solo vi decideste a dar retta alla mail.
Senza considerare, poi, gli immancabili "effetti collaterali" alla vostra innocente, iniziale ricerca di un prezzo più conveniente per la polizza. A che mi riferisco? Basti pensare alle mail che vi ricordano, prima della scadenza del secondo anno e fino al giorno stesso dell'evento (sigh!), l'appuntamento con l'immancabile revisione che sarebbe un delitto non fare al centro "TaldeiTali".
Potrei continuare (gli "effetti collaterali" sono milioni di milioni), ma mi fermo qui.
Data questa premessa, immaginiamo (gioco estivo?), per un attimo, di perdere la memoria.
E' noto a tutti che, chi non ricorda il presente, deve mettersi alla ricerca del tempo perduto; in altri termini, deve sintonizzarsi con le requenze del suo passato.
Immaginiamo ancora di essere in vacanza su un'isola deserta e di avere solo un computer e una connessione internet a disposizione (non troppo deserta, quindi); mettiamo, infine, che nostro figlio, per un'incredibile botta di culo (francesismo), abbia azzeccato un post-it sul monitor con l'indicazione della nostra e-mail corredata  da rispettiva password.
Ebbene, che faremmo?
Ma sì, mi assumo la responsabilità (c'ho le spalle abbastanza larghe): che farei io stesso?
Dopo essere entrato nel mio "regno altro", cercherei di farmi un'idea su chi io fossi veramente. Come? Ovvio, spulciando le mail che mi sono arrivate.
Al netto delle mail "da" e "a" persone fisiche con cui evidentemente ho qualche rapporto, mi soffermo su quelle automatiche che t'invia il sistema negli orari più disparati (sarà per questo che sono automatiche?).
Ordunque, dando credito solo a queste ultime, il me medesimo alla cui ricerca sono spasmodicamente proteso, risulterebbe corredato dalle seguenti caratteristiche:
1) Operatore del diritto  (numerose newsletter "legali" lo attestano) poco convinto e/o scoglionato, visto il numero di mail di concorsi e "offro lavoro" in miriadi di branche che stanno al diritto come la cipolla sta all'aglio nell'insalata di pomodori;
2) studente perennemente fuori corso che lo si invoglia a ogni pie' sospinto a darsi una mossa per concludere 'sto benedetto percorso di studi;
3) desideroso di apprendere l'inglese, in considerazione dei vari corsi on-line che mi si propongono;
4) alla continua ricerca di serate cool, sulla scorta di frequenti mail su eventi esclusivi per il fine settimana;
5) decisamente impotente (ebbene sì!), tenuto conto delle vagonate di viagra e pillole con analoghe funzioni che mi vengono propinate un giorno sì e l'altro pure.
E potrei continuare al punto da avere un puzzle della mia personalità pressoché completo.
Ora, a parte le cantonate che prenderei su me stesso se fossi costretto ad affidarmi al solo vaticinio delle mail automatiche, vi è da dire anche che, per altri versi, riuscirei veramente a conoscere delle caratteristiche salienti del mio essere.
Raggiunto lo scopo, la curiosità si sposterebbe sul capire come faccia, il web, a venire in possesso di queste notizie e, soprattutto, se abbiamo la certezza assoluta che siffatti dati sensibili non vengano portati a conoscenza di terzi. Nella sciagurata ipotesi questo avvenisse, infatti, e se, in particolare, questo terzo avesse dalla sua anche una considerevole potenza economica, mi sa che ci sarebbero molti motivi di preoccupazione.
Ma questo è un interrogativo troppo impegnativo da porsi nella settimana di ferragosto.
Buone vacanze!


martedì 5 agosto 2014

Rimpianto al di là dell'angolo


In queste sere d'estate, quando cammino sull'asfalto intento a scrollarsi di dosso i demoni dell'afa del pomeriggio, mi accade di pensarci fin troppo spesso.
Basta sguinzagliare lo sguardo lungo i pendii delle montagne grigie, per sentirmi assalito ancora una volta dalla identica curiosità: chissà cosa ci sarà dall'altra parte?! Chissà cosa staranno facendo gli altri in quell'altro mondo che prescinde dalla mia presenza?! 
Ho parlato di curiosità ma forse, questo utilizzato, non è il sostantivo giusto. E già perché, almeno per sentimento diffuso, si è curiosi di qualcosa che si ipotizza bello, avvincente. Dell'elemento negativo, invece,  più che curiosi, si è intimoriti.
Il timore, infatti, contrariamente alla paura, lascia lo spazio per "andare a vedere", sia pure con una predisposizione d'animo che presagisce qualcosa di spiacevole; e pur tuttavia, però, ci si sente in animo di dis-velare, di squarciare quel velo che c'impedisce la comprensione.
Quindi, tornando a me, non curiosità ma, a ben pensarci, nemmeno timore perché, se è vero che immaginare l'alterità non mi rende felice, è altrettanto vero che non mi spinge a ipotizzare scenari foschi.
Rimpianto, questo è il termine giusto.
Beninteso, un rimpianto sgangherato, senza senso.
Come altrimenti definire, infatti, cotal sentimento riferito a qualcosa di cui non potrò mai venirne a capo definitivamente? E sì perché, se pure giungessi lì dietro, dove il mio occhio, in questo momento, può solo immaginare un mondo, sicuramente troverai un altro angolo che m'impedirebbe di vedere dall'altra parte che succede. E una volta superatolo per un incantamento prodigioso, ce ne sarebbe un altro, e poi un altro, e un altro ancora, di angolo, che sempre rimarrebbe estraneo alla mia vista fino all'infinito. Già, l'infinito.  
...quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
E quasi come il Poeta, al cospetto di questa impotenza, per poco il cor  non si spaura.
Purtuttavia mi rianimo subito al pensare come questo mio stesso rimpianto, magari arricchito di sfumature diverse,  sia alla base del continuo bisogno dell'uomo di conoscere, di andare oltre le comode pantofole del già visto.
Pazienza poi se,  per seguir virtute e canoscenza, corriamo il rischio che  qualche dio invidioso, per punirci della nostra hybris, si comporti con noi come fece con il grande Ulisse. (Tre volte il fé girar con tutte l’acque;

a la quarta levar la poppa in suso

e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.)
 

 
Se questa pena è il prezzo da pagare per non tradire il nostro essere più genuino e profondo, allora, e solo allora, il naufragar m'è dolce in questo mare.  


 

domenica 27 luglio 2014

La cultura del sospetto


Un ristorantino in riva al mare da fare impallidire la casa a Marinella di Montalbano.
E' la prima volta che ci vengo.
Ci sono arrivato come piace a me: sbagliando strada, confondendo una traversa con un'altra, confidando sul punto di riferimento a destra che si trova, invece, irrimediabilmente dalla parte opposta.
Tant'è, il posto è assai piacevole e per il momento mi basta.
Ordino uno spaghetto a vongole.
Un cameriere segaligno e severo, dopo aver trafficato per un po' in cucina tra ordinazioni varie e improperi coloriti dello chef, porta sul mio tavolo affamato la pietanza.
Su un trespolo alquanto distante da me, un televisore acceso che si affanna a trasmettere immagini.
Alla mia destra, il mare. Alla mia sinistra, un casermone di cemento e ferro per un immaginifico popolo di vacanzieri dozzinali.
Mentre annuso il piatto, come ancora mi ostino a fare, alla ricerca di una genuinità che dovrebbe pur scaturire da quello che mangio, l'occhio cade sull'odiato apparecchio.
Le immagini che irradia la televisione sono quelle di Vincenzo Nibali che domina i Pirenei.
Dopo aver buttato giù una forchettata di spaghetti, mi scopro a sorridere amaramente.
L'ultima volta ci ero cascato con Pantanì, come lo chiamavano i francesi.
Io a trepidare, a soffrire per il Pirata, e poi venire a conoscenza della brutta faccenda del doping: una delusione che mi fa ancora male al solo pensarci.
E ora un altro italiano che trionfa al Tour. Già, e chi mi dice a me che anche 'sto ragazzo dalla faccia pulita, dal sorriso genuino...genuino un paio di balle! 'ste vongole sembrano di plastica tanto sono gommose. E poi, troppo olio. Carluccio, il mio amico chef, mi ha sempre invitato a diffidare da chi fa uso eccessivo di condimento perché "al novantanovevirgolanovepercentoperiodico, lo fa per dare un tono all'altrimenti anonimo, se non di pessima qualità, piatto."
Che poi, pure l'olio! Proprio ieri i Nas hanno smascherato una mega frode alimentare di oli riciclati  venduti come extravergine.
Alzo la testa dal piatto. Mi è passato l'appetito.
Dietro di me si sono sedute due persone di cui una, per sua espressa ammissione, è il costruttore del casermone di cui sopra. Mi volto a guardarlo: chissà quante tangenti avrà pagato per aggiudicarsi l'appalto!
Mi sta montando la rabbia. Una rabbia sorda, apparentemente senza motivo.
Entra un ragazzo sordomuto. Mi guarda anche con una certa dignità prima di poggiare sul tavolo l'oggettino cinese e il cartellino giallo che attesta il suo handicap.
Mi metto le mani nella tasca posteriore dei jeans. Estraggo il portafoglio...un momento! Lo rimetto di nuovo dentro e decido di guardarmi attorno.
Non si sa mai, tra camerieri troppo secchi per infondere fiducia e imprenditori troppo ricchi per non far sorgere qualche sospetto.
Decido, dopo un'ultima perlustrazione visiva, che l'operazione può essere fatta abbastanza tranquillamente. Apro il portafogli e prendo due euro. Li soppeso in attesa del ragazzo che sta iniziando le operazioni di ritiro.
Ma che fa, sorride? Ma chi ha un handicap non deve necessariamente essere triste?
Mi riguardo intorno. Ripongo il portafogli nella tasca.
Quando finalmente il truffatore sta per giungere al mio tavolo, mi alzo e vado in bagno.
La rabbia, ora, mi provoca un violentissimo mal di testa.
Mi guardo allo specchio, torvo.
Il mal di testa potrebbe anche passarmi (adesso lo so) se acconsentissi a dirmi quello che penso da una vita.
Esco fuori dal bagno. Pago il conto. Entro in macchina e metto in moto: preferisco farmi scoppiare la testa piuttosto che ammettere che anch'io, come tutti, sono figlio della cultura del sospetto che ha generato il mio (anche il mio!) dio: Sua Maestà, il Denaro! 


lunedì 21 luglio 2014

Gambe, stantuffi inesauribili


Un mattina come tante, troppe, nell'ultimo periodo. La noia, quel senso di occasione sprecata ancora una volta, che si sveglia appena un minuto prima della tua stanchezza.
Il solito sbuffare che fischietta il motivo di un ulteriore giorno perso.
Qualcuno, al posto mio, affiderebbe lo spleen di questa mattina a qualche divinità affinché possa squarciarne il velo. Io, semplicemente, mi metto in borsa l'abusato maalox.
Una curva, un manifesto di morte che svogliatamente riconosco diverso. Mi fermo.
Lo stronzo dietro di me mi manda a fanculo e mi sorpassa. Io capisco che teoricamente sarei capace anche di farlo a pezzetti, e il pensiero (orrore!) delle sue membra disseminate per casa, mi fa affiorare un ghigno truce sulle labbra.
Faccio retromarcia. Quel nome e cognome rivestito di caratteri indifferenti appena un attimo prima mi aggredisce alla gola. Il respiro si smorza fino a dare fondo alla riserva di ossigeno.
Mi aggrappo all'omonimia. E nel ritornare in vita, la morte è più cruda: 55 anni. Non avevo mai riflettuto su quanto l'età possa essere "identificativa".
Rimango fermo lì, davanti al palo di cemento su cui si stende la carta gelatinosa troppo piccola per contenere i ricordi che mi legano a lui.
La settimana scorsa l'ho visto, a questo punto, per l'ultima volta.
Da lontano, malgrado avesse il casco protettivo e gli occhiali, l'ho riconosciuto. E come fare a non riconoscere chi è stata la causa del mio abbandono dell'attività agonistica? Troppo forte con quelle gambe che di umano avevano solo la conformazione. Troppo inarrivabile sulle vette più impervie dei sentieri d'alta montagna.
Prima di dargliela definitivamente vinta, comprai una bici ultraleggera. Consapevole di un gap incolmabile a parità di condizione, provai la carta del disperato.
Sulla salita, dopo avermi concesso un leggero vantaggio, diede energia alle gambe, stantuffi inesauribili alimentati da un discendente di Efesto in persona. Non ci fu più storia. Il solito sorriso che si faceva beffe dello sforzo fisico, ed era di nuovo lì, sul cocuzzolo della montagna, a certificare la sua indiscutibile superiorità.
So che era caduto circa un anno fa dalla bici e che si era fatto davvero male. Era stato fermo cinque mesi. A causa di questo riposo forzato (questa era la sua versione a cui solo io potevo credere senza batter ciglio), aveva avuto un ictus. Il suo raffinatissimo motore, insomma, era andato in panne; e non solo quello. Si era separato dalla moglie. Aveva perso il lavoro. Gli era morta la madre, l'unica persona che davvero amava quell'essere (Umano, troppo umano!) impastato di sudore e gambe portate allo spasmo.
Alcuni amici, anche su consiglio del medico, lo avevano esortato ad abbandonare la bici. Io, conoscendolo, mi guardai bene dal proporgli un'eresia del genere.
La settimana scorsa, a detta di Ugo, il Dr. Foscari gli ha fatto la domanda che avrebbe voluto salvargli la vita:"Ma che fai, vuoi morire sulla bicicletta?"
Chi era lì, mi hanno raccontato, ha visto una luce improvvisamente esplosa nei suoi occhi.
Alle sedici del pomeriggio del venti luglio di quest'anno, l'hanno trovato morto in groppa ad una salita.
Dicono che il suo viso era contratto in una smorfia strana, quasi un sorriso.
Le sue mani, tenaci nella risposta postuma al medico curante, non ne volevano sapere di staccarsi dal manubrio della sua malandata Legnano.