giovedì 19 marzo 2015

Mi sono rotto il cazzo: fenomenologia di una ribellione

Mi sono rotto il cazzo. Ci sono delle espressioni, delle parole, che se tenute imprigionate nella cavità pavida e benpensante della laringe, a lungo andare ti ustionano il cervello. E  allora diventa imperativo morale scaraventarle fuori, sputarle nel campo insanguinato dall’ennesimo sacrificio. E mi sono rotto il cazzo proprio perché, ad essere sgozzato, è il futuro. Il mio…ma anche il tuo, il nostro.

Expo, Mose, Mafia Capitale; per limitarci al solo 2014. Adesso, l’inchiesta che vede indagato Ercole Incalza, il gran boiardo di Stato, sopravvissuto a 7 governi e a 14 inchieste.

Anche ora,  le fanfare mediatiche a recitare all’unisono che “bisogna che la giustizia faccia il suo corso”, che “il Ministro Lupi non è indagato”, che “il rolex da 10000 euro e rotti regalato al figlio del Ministro è un innocuo cadeau”, che “bisogna essere garantisti…”.

Tu, deputato da diecimila euro al mese, che accavalli con classe la gamba che ti è servita tante volte a genufletterti davanti al padrone di turno, di’ le stesse cose a Marco, che dopo la laurea in medicina con il massimo dei voti, un master costato il TFR di Giandomenico, adesso lava i piatti in un pub londinese in attesa dell’elemosina di una chiamata. Oppure parla con Marika, il cui unico sogno era quello di sposare Rocco e di avere dei figli…“almeno tre”, mi dice adesso tra le lacrime, mentre si ritrova con una prece tra le dita generata dal tumore che “costava troppo combatterlo efficacemente”.

Io, per Marco, per Marika, mi sono rotto il cazzo. Mi sono rotto il cazzo di rivolgermi, per tutelare i miei diritti, a un avvocato che è figlio di un avvocato il cui nonno, principe del foro di Salerno, “è l’avvocato che ha donato un’intera aula all’Ordine”.

Mi sono rotto il cazzo di guardare impotente la scala sociale che non lascia neppure affacciare, all’interno del gabbiotto in cemento armato irrimediabilmente fermo e inaccessibile, l’occhio del figlio dell’operaio destinato anche lui a sognare di calce e malta cementizia.

E ancora mi sono rotto il cazzo per Assunta che, nello stesso momento della sua elezione a presidente del circolo Culturambiente si è sentita in dovere, lei che si è esposta con l’equipaggio di Greenpeace alle ire dell’ennesima petroliera, a rifiutare la promozione perché suo nonno è imputato per abuso edilizio.

La politica, il denaro, la società ci hanno costruito un luna park di eterna gioventù, un paese delle meraviglie per cerebrolesi in cui ci fanno credere di avere tutto, ma dove manca la dignità di un lavoro, la prospettiva di una famiglia che possa essere davvero nostra.

Mi sono a tal punto rotto il cazzo, che cerco cittadinanza altra: non ce la faccio più a giustificare l’ultimo posto in Europa dell’Italia in tema di corruzione con le glorie che furono. Pur riconoscendone la grandezza imperitura infatti, non mi bastano più Dante, Galilei, Garibaldi a sopperire alla cronica mancanza di un esempio di vita che sia uno. Non riesco più ad ancorare la mia italianità alle mirabili opere d’arte disseminate lungo il Belpaese (che sicuramente, visto il degrado in cui vengono lasciate, si trasferirebbero in massa in Germania o in un altro Paese del nord Europa).

Mi sono rotto il cazzo delle Grandi Opere che, lungi dall’apportare benefici alla collettività, si rivelano sempre un’ennesima occasione di guadagno per i soliti noti. E pazienza (dal loro punto di vista), se per sfamare i ventri sfondati di questa o quell’altra cricca, si compie un altro scempio ambientale, magari trapanando una montagna per costruire un’autostrada laddove insiste già una strada sottoutilizzata che copre la stessa tratta. E pazienza ancora (sempre dal loro punto di vista), se per mettere su un carrozzone che vorrebbe insegnarci come mangiare a un paio di tiri di schioppo dalla Terra dei Fuochi e uno solo dalle mele insufflate con pesticidi di ogni genere, si espropriano terreni coltivati biologicamente o comunque campi che non torneranno più come prima.

La pazienza loro, non alberga in me. Io, come ripeto e mi piace farlo, mi sono rotto il cazzo. Foss’anche solo perché, per colpa di molte, troppe persone, ho dovuto scrivere ‘sto pezzo ricorrendo a un linguaggio che non avrei forse mai utilizzato, o almeno non con questa frequenza, in contesti ufficiali come questo.

D’altronde, essendo senza dubbio indegno di odiare l’indifferenza di Gramsci, non potendo ricorrere al magnifico Io me ne fotto di Peppino Impastato; e ancora finanche lontano dal Vaffanculo intonato di Masini io, più umilmente, ma non senza partecipazione, urlo il mio, e spero anche vostro, "mi sono rotto il cazzo".

 

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