Sogno il lettore di ebook “alle porte” della mia biblioteca.
Avverto il terrore che atrofizza le sinapsi, il sudore che imperla la fronte: tutto tremendamente realistico.
E con la paura del lettore di cui sento nel cuore, prima ancora che nella testa, lo sferruzzare dei suoi megabyte che snocciolano libri su libri, mi vedo correre verso la biblioteca. Più do lena alle mie gambe, però, più mi rendo conto che il corridoio che mi separa dai miei libri sembra ormai aver scelto da che parte stare: io corro, ansante e disperato, mentre esso si perde, scuro e cospirativo, in una proiezione verso l’infinito.
E nel correre, malgrado lo sfrigolio snervante degli ebook che continuano minacciosamente a immillarsi, penso a loro, ai miei libri. Alla pagina numero dieci de I demoni di Dostoevskij in cui se ne sta allusiva una macchia, in alto a destra, testimone del cioccolato mangiato insieme ad un amico che non c’è più; al caffè dell’una di notte versato inavvertitamente su La pazienza del ragno di Camilleri per cercare un universo altro alla sfiancante procedura civile; alla foglia di edera che una mano, gemebonda e trasognante, abbandonò nella pagina trenta de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Ma poi, oltre alle mille sottolineature, alle centinaia di Vincenzo Benvenuto seguite da date disparate (vero carbonio-14 dell’evoluzione della mia personalità), mi affanno a correre per salvare dalle grinfie dell’ebook l’odore inimitabile e suggestivo dei miei libri. Quelli comprati da poco, arrembanti nel profumo ma ancora acerbi nelle suggestioni, nonché gli altri che sono nati con me, ormai smorzati nell’odore ma capaci di infiniti rimandi.
Poi, ovviamente, c’è da pensare a quegli altri libri, quelli tipo Selezione dal Reader’s Digest, troppo americani e con un’anima esasperatamente commerciale per piacermi, ma che forse salverò prima degli altri nell’illusione che, da qualche parte, conservino ancora un segno, un’impronta delle mie radici.
Le gambe diventano pesanti. La corsa, giocoforza, rallenta. Il lettore di e-book lo avverto, adesso, trionfante, disposto anche a rinunciare a quella parte di corridoio che ancora mi divide dalla biblioteca. Ed è così che mi trovo al centro della stanza, al cospetto di un’intelaiatura di radica di noce pressoché vuota. Sulle mensole incurvate dal peso dei libri che furono, c’è solo un ostinato velo di polvere che suggerisce dimensioni, posizioni dei volumi che vi regnavano incontrastati.
Il lettore di ebook, tronfio e vittorioso, occupa un piccolo, quasi anonimo spazio al centro della mensola principale.
Mi corteggia col suo design. Mi avvince con la sua tecnologia. Mi prende con la sua essenzialità.
L’epilogo del sogno mi sorprende contento. Il capitale di Marx in un supporto accattivante che mai, come succede con i libri a causa del titolo, mi farà sentire a disagio per quello che leggo e, soprattutto, per dove lo leggo. E infatti, proprio per sfruttare subito questo vantaggio, e non senza euforia per il tiro che sto giocando all’istituzione, mi metto a leggere un brano de Il capitale in una riunione alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Salerno.
Il lettore di ebook mi fa approfondire, mi porta lungo i sentieri assolati della interdisciplinarietà.
Cambio scena, l’ennesima. Mi vedo assonnato per il protrarsi della riunione e per il mal di testa che sempre mi assale quando leggo mentre gli altri parlano.
Chiudo gli occhi. Mi addormento. Mi sveglio di soprassalto.
“La foglia di edera!“, mi metto a cercare, allarmato, per terra. Poi mi rendo conto: quello che ho in mano non è il mio libro ma solo un lettore di ebook che non potrà mai perdere, magari dal display, qualcosa che porta l’impronta di qualcuno.
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