sabato 14 dicembre 2019

Amazon, la vicina e la gatta

È la quarta, indebita citofonata di questa settimana. E sì perché la fretta dell’omino delle consegne è sempre troppa: due, tre secondi non si possono perdere per leggere il nominativo giusto cui citofonare.

Ci sono due pulsanti, uno sopra e l’altro sotto, e tanto vale schiacciarli entrambi contemporaneamente: il destinatario della consegna verrà comunque a ritirare il pacco.

Poco importa che quel destinatario non sarò mai io ma unicamente la mia vicina di casa.

Sempre lo stesso siparietto. La doppia citofonata imperiosa. Lo sguardo allarmato all’orologio da parte del corriere un secondo dopo il «c’è un pacco per la signora…». La sua mano libera che tamburella spazientita sulle grate del cancello. L’attimo di sollievo quando la cliente si appalesa. Il risolino tra il soddisfatto e il bramoso di possesso della vicina di casa. Il lancio del pacco con contestuale penna per firmare la ricevuta. Una smorfia di disapprovazione non appena la firma richiede più di due secondi per essere apposta. Il zompo dell’omino nel furgone vecchio quanto il crucco. La partenza a razzo. Il fumo zavorrato dalle particelle inquinanti.

Altro giro, altra corsa, necessariamente in ritardo sulla tabella di marcia del consumismo.

Stavolta, però, il rituale ha subito una spiacevole variante.

Nella foga di scappare via incontro all’ennesimo bisogno compulsivo d’acquisto, il furgone si è trovato a tu per tu con la colonia di gatti del condominio.

L’Inps (così soprannominato perché fin da piccolo ha sempre avuto qualche acciacco), Ipazia (gatta nera che richiama le fiamme del rogo sul quale fu immolata la brillante, omonima matematica) e gli altri felini della combriccola, hanno schivato il furgone alienato.

Amazzone, che poi è la micia preferita dalla mia vicina, pure, ma mentre si cimentava in un triplo avvitamento per scansare il copertone invasato, è finita contro una ringhiera, procurandosi qualche leggera ammaccatura.

Mi sono precipitato a prestarle soccorso.

Quando ho spiegato alla mia vicina che Amazzone era stata vittima di…Amazon, mi ha giurato che non avrebbe fatto più acquisti on-line.

Proprio oggi, però, a distanza di un paio di settimane dall’incidente che ha coinvolto la sua amata gattina, un altro omino delle consegne ha ripreso a schiacciare entrambi i pulsanti del citofono, ovviamente all’unisono.

Amazon ha sconfitto, nell’ordine: le imprecazioni del papà della mia vicina contro gli acquisti on-line che gli avrebbero fatto chiudere bottega; la sua partecipazione ai venerdì del Friday For Future che, tra l’altro, imporrebbero una limitazione negli spostamenti delle merci; la paura che, dopo la povera Amazzone, qualche altro gatto potesse essere asfaltato dalle ruote del cabinato delle consegne.

Amazon omnia vincit.

 

 

sabato 7 dicembre 2019

Preziose terre rare


Diciassette metalli, diciassette fottutissimi metalli.

Fino a un centinaio d’anni fa, erano praticamente sconosciuti. Poi la loro scoperta e

un nome atto a qualificarli: «terre rare».

«Terre», perché così si chiamavano, nel XVIII e XIX secolo, i minerali che non

potevano essere modificati dalle fonti di calore; «rare», per la bassa concentrazione

(normalmente meno del 5%) dei loro depositi.

Perché mi è venuto lo schiribizzo di parlare di questi minerali dai nomi impossibili

(scandio, lantanio, ittrio, praseodimio, etc.)? Semplice, perché oggi è praticamente

impossibile che un componente tecnologico nei campi più disparati (cellulari, computer,

cavi di fibra ottica, energia nucleare, aerospazio e difesa, acciaio,

automobili elettriche) non sia costituito da una percentuale più o meno importante di

terre rare.

Per capire meglio la pervasività di questi metalli, portiamo l’esempio dell’automobile:

ebbene, le dozzine di motori elettrici di un’auto tipica, i suoi diffusori audio, i suoi

sensori elettrici, il convertitore catalitico, i fosfori degli schermi ottici, il parabrezza,

gli specchi, le lenti e gli altri componenti di vetro, perfino la benzina o il gasolio

(raffinati con catalizzatori di cracking con lantanio e cerio) contengono o sono trattati

con preziosissime terre rare.

Tutto bene (da qualcosa, il nostro sistema produttivo deve pur dipendere, non vi

pare?) se non fosse che le terre rare sono estraibili solo con manovre altamente

inquinanti e che oltre il 90% delle terre rare utilizzate nel mondo provengono dalla

Cina. In soldoni ciò significa, nell’ordine: a) che stante la fame insaziabile della nostra

società di prodotti soprattutto hi-tech composti da questi metalli, l’inquinamento da

estrazione aumenterà sempre di più; b) che se le terre rare vengono estratte

praticamente in un solo Paese (Cina), presto o tardi il mondo si troverà a dipendere,

economicamente e non solo, da quel Paese.

Ma vi è di più. Si conoscono bene le condizioni di lavoro degli uomini e dei bambini

che ogni giorno estraggono, schiacciati in cunicoli scuri e nauseabondi, i minerali

indispensabili per il display touch del nostro cellulare; quello stesso cellulare che così

frequentemente cambiamo, irretiti dalle novità del mercato e dai diktat rapsodici del

consumismo.

A guardarli bene, questi uomini e bambini non sono altro che schiavi, pedine di un

sistema congegnato per raggiungere due obiettivi: il benessere del consumatore e il

profitto dell’impresa.

Si tratta, citando il sempre (troppo) attuale Marx, di un «esercito di riserva»:

manodopera, cioè, facilmente sostituibile anche per la scarsa specializzazione di cui è

connaturata; lavoratori, quindi, condannati allo sfruttamento più bieco e a una

miseria insopportabile, come lo è sempre quella che permane nonostante la fatica

profusa.

Triplice ordine di problemi, in conclusione: geopolitico (con il monopolio di Pechino

nella estrazione delle terre rare), ambientale e delle condizioni di lavoro: questo è il

portato dei diciassette metalli, per altri versi, importantissimo.

Soluzioni? Tornando al cellulare, basterebbe avere il coraggio di capire che

quell’insignificante graffio sul display non ci obbliga a comprare un telefonino nuovo.

Comportamento rivoluzionario, questo, nel presente monopolizzato dal Black Friday

perenne.