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giovedì 26 giugno 2025

"Un nome da torero" di Luis Sepulveda (trad. Ilide Carmignani), ed. Ugo Guanda

     


    "Juan Belmonte", ed è proprio quando non puoi evitare di presentarti a qualcuno, che ti senti immancabilmente chiedere: "Come il famoso torero?". A parte la tigna, però, del torero non hai praticamente nulla. E lo sai bene, Juan Belmonte. 

    Vivi ad Amburgo, esiliato dal tuo Cile, eppure ogni marco che guadagni (da buttafuori di un locale equivoco, da ex guerrigliero che cerca ancora di capirci qualcosa nel tritacarne dell'ipercapitalismo), lo invii a chi si prende cura di Veronica, l'amore desaparecido riapparso miracolosamente da una discarica di San Bernando; i miracoli, però, a volte riescono solo a metà. Le torture patite sono state troppo, e troppo accanite, al punto da privare Veronica della parola e della voglia di vivere.

    Qualcuno di influente, però, ti racconta una storia alla quale tu devi necessariamente prendere parte: è la vicenda di due amici che, ai tempi del nazismo, intercettano le restanti monete d'oro della Collezione della Mezzaluna Errante. Fanno parte dei tanti tesori trafugati dal Terzo Reich agli ebrei. 

    I due amici capiscono che quella è la loro occasione per darsi una seconda possibilità. 

    C'è chi è costretto a restare, e viene subito intercettato e punito prima dai nazisti e poi dai soldati della Germania dell'Est, e chi riesce a portare le monete in salvo; guarda caso proprio in quel Cile, precisamente nella Terra del Fuoco, che ti aspetta come un destino a cui non si può sfuggire.

    Juan Belmonte, è il momento di sintonizzarsi sulle frequenze di una normalità ostentata, ma che nasconde ancora tutti gli orrori della dittatura. 

    Il ritorno è tra ex compagni e contro gli stessi tizi che, sia pure nella diversa divisa indossata per l'occasione, perpetrano uguali soprusi. 

    L'unica è portarsi via le monete restanti, allontanarli dal tuo Cile come una maledizione che continua a estorcere vite. 

    Sono state ben nascoste dal compagno di una vita, sotto le lamiere scintillanti al sole di una terra che non riesce ancora a trovare pace.

    Juan Belmonte, che fai ancora lì impalato all'angolo della strada? Veronica è nella casa di fronte, si tratta solo di attraversarla, questa strada, e chiederti, per l'ultima volta, "perchè abbiamo tanta paura di guardare in faccia alla vita, noi che abbiamo visto le auree scintille della morte?"


giovedì 5 giugno 2025

"Le rose di Atacama". di Luis Sepulveda (trad. Illide Carmignani"), Guanda editore

     


    Tutto prende le mosse dalla visita del compianto scrittore al campo di concentramento di Bergen Belsen, in Germania. In un angolo del campo, dove si innalzavano gli infami forni crematori, c'è una scritta: "Io sono stato qui, e nessuno racconterà la mia storia". 

    Luis Sepulveda intuisce che l'unico modo per contendere all'oblio le tante storie del mondo, massimamente di quelle degli emarginati, degli sconfitti, è la parola. Da qui prende le mosse questo libro che racchiude ben trentaquattro racconti di "storie marginali", come opportunamente le definisce l'autore: quella delle rose di Atacama del titolo, le fragilissime rosa rosso sangue che fioriscono una volta all'anno, sebbene stiano sempre lì sotto la terra salata, e che a mezzogiorno saranno già state calcinate dal sole. C'è poi quel "tal Lucas" (la clandestinità non si può permettere il lusso di un cognome) a cui, quando gli si chiede:« Perchè vuoi salvare il bosco?» risponde senza scomporsi «Perchè bisogna farlo. Perchè sennò?».

    Come non menzionare, tra i tanti personaggi del libro, Mister Simpah e il suo cimitero di barche in demolizione? 

    Manco il tempo di commuoversi per l'ecatombe dei tanti natanti che fa capolino, tra le pagine, il volto arcigno del pirata dell'Elba, al secolo Klaus Stortebecker, che vuole essere decapitato in piedi a patto che "per ogni mio passo dopo che la mia testa ha toccato terra, si salvi uno dei miei uomini": ne riuscirà a salvare ben dodici, di suoi uomini, prima di stramazzare al suolo.

    C'è spazio anche per i cavatori di Pietrasanta: "quando ti troverai davanti una statua scolpita in marmo di Carrara, pensa ai cavatori e ai marmisti di Pietrasanta. Pensa a loro e saluta quel dignitoso anonimato".

     Allorché Sepulveda ne ha d'avanzo di persone, ecco stagliarsi la figura di Fernando, il cane venuto un giorno assieme al suo padrone poi morto (Fernando?), divenuto ben presto il beniamino della città di Resistencia.

    La tentazione di ritornare all'umano, però, è troppo forte: via libera allora alla bruna e alla bionda, le due magnifiche compagne che nonostante le indicibili torture subite nella famigerata Villa Grimaldi ("luogo che si iscrive nella topomomastica universale dell'orrore e dell'infamia"), hanno vinto la morte: "quei corpi che parlano d'amore conservano l'amore di tutti i caduti".

    Non poteva mancare, infine, il tema del sogno ispirato a Salgari e il cielo dell'aldilà in cui troneggia il papa Hemingway.

    Ci sarebbe tanto altro, in questo libro agile e denso allo stesso tempo, ma mi piace chiudere con la parola "compa" (compagno), "parola secca e succosa allo stesso tempo, parola dura e tenera", che è presenza costante nei racconti di Luis Sepulveda.