martedì 29 aprile 2014

"Oi pleistoi kakoi" (La maggioranza è cattiva)


Tra i Sette Sapienti dell’antichità, ecco che ci si presenta, con l’immancabile barba rigogliosa e l’altrettanto indefettibile cipiglio severo, Biante.

Perché mi sia venuto lo schiribizzo di parlarne, è presto detto.

Biante, il buon Biante, aveva capito tutto, con circa 2600 anni d’anticipo, della politica, della storia, della fiumana del progresso. Quando, infatti, gli venne chiesto di dar sfoggio di sapienza con l’incidere, sul frontone del tempio dell’oracolo a Delfi, un motto, la frase più importante del suo pensiero lui, senza esitazione alcuna, così scrisse: OI PLESTOI KAKOI (la maggioranza è cattiva).

Una frase che probabilmente lasciò di stucco gli stessi Sapienti.

<Ma come, – avrà pensato Chilone (o Talete, a seconda delle versioni), un altro dei Sette Savi che già aveva provveduto all’incisione della sua, di frase – io scrivo un motto di una profondità esagerata (“Conosci te stesso”), e questo se ne viene con un’affermazione che più scontata non si può?>

Ebbene, nessuno dei contemporanei (alla faccia dei Sapienti!) né, v’è da giurarlo, alcuno di noi ha capito fino in fondo la portata rivoluzionaria dell’ OI PLESTOI KAKOI.

Io, dal basso della mia mediocrità, c’ho pensato l’altro giorno e sono giunto a siffatta conclusione.

Campo dell’esperimento: la politica.

Fateci caso: ogni movimento, ogni partito, ogni moto rivoluzionario, appena sorge e per un certo periodo di tempo (quando è ancora  “a base ristretta” e fino a quando non diventa “di massa”), il più delle volte, contiene la parte migliore di quell’idea, di quel cambiamento che si vuole portare nel consesso sociale. Non appena, però, ci si ingrandisce, allorquando il vertice originario incomincia necessariamente a lievitare, ecco che gli ideali di partenza iniziano ad annacquarsi, la dirittura morale ad allentarsi, il credo politico a subire il fascino del compromesso.

Esempio pratico.

Con la “svolta della Bolognina” del 1989 che diede il via allo scioglimento del P.C.I., ad esempio, il segretario Occhetto, e più tardi il suo sostituto Massimo D’Alema, giustificarono la trasmigrazione nel P.D.S. con la necessità di acquisire una “vocazione maggioritaria”, di abbandonare, insomma, quell’ “angolino (sterile) da perfettini” che era stato il Partito per buona parte della sua storia (anche nei momenti di massimo splendore, infatti, c’era sempre la D.C. ad essere primo partito nel Paese).

Tutto vero, tutto giusto. Come infatti andare contro l’ovvietà che in un Paese democratico, per vincere e quindi per imporre la propria visione delle cose, è necessario diventare maggioranza?

Ecco, la maggioranza. E siamo di nuovo al punto di partenza.

Sulla scorta di questa ossessione maggioritaria, si è passati, nell’arco di quasi trent’anni, al P.D.S., poi al P.D., ancora ai D.S., e infine al P.D..

In questa lunga, e per certi aspetti deprimente cavalcata, si è conquistata la fatidica vocazione maggioritaria. Su questo, non ci piove. Peccato, però, che si sono a tal punto intorbidati gli ideali di partenza, così annichilite le magnifiche sorti e progressive, che il P.D. altro non è, ormai, che un partito similare della vecchia Democrazia Cristiana.

E che significa questo (qualcuno potrebbe saggiamente obiettare), che per conservare la purezza dei propri ideali ci si deve condannare ad essere insignificanti? Che, per restare coerenti con le proprie idee, non si potrà mai raggiungere quella maggioranza che sola consente di governare?

Bella obiezione! Il Sapiente Biante, tetragono alle sirene del potere, direbbe di sì, che è proprio così perchè nel momento in cui si diventa maggioranza, la negatività inizia ad insinuarsi non solo nel corpo del movimento ma, probabilmente, anche nel suo modus operandi.
 
E fin qui, ci siamo.
 
Il guaio, però, è che anch’io, che continuo a vedere il mondo a modo mio, a votare per i partiti che è già un successo se superano la soglia di sbarramento, che quando il mio pensiero inizia ad essere condiviso da troppe persone mi chiedo “in che cosa ho sbagliato?”; ecco, la iattura, dicevo, è che anch’io, uomo del terzo millennio, temo di pensarla proprio come Biante. Domani mi taglio la barba. Domani mi devo assolutamente tagliare la barba.

 

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