Visualizzazione post con etichetta letteratura. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta letteratura. Mostra tutti i post

giovedì 26 giugno 2025

"Un nome da torero" di Luis Sepulveda (trad. Ilide Carmignani), ed. Ugo Guanda

     


    "Juan Belmonte", ed è proprio quando non puoi evitare di presentarti a qualcuno, che ti senti immancabilmente chiedere: "Come il famoso torero?". A parte la tigna, però, del torero non hai praticamente nulla. E lo sai bene, Juan Belmonte. 

    Vivi ad Amburgo, esiliato dal tuo Cile, eppure ogni marco che guadagni (da buttafuori di un locale equivoco, da ex guerrigliero che cerca ancora di capirci qualcosa nel tritacarne dell'ipercapitalismo), lo invii a chi si prende cura di Veronica, l'amore desaparecido riapparso miracolosamente da una discarica di San Bernando; i miracoli, però, a volte riescono solo a metà. Le torture patite sono state troppo, e troppo accanite, al punto da privare Veronica della parola e della voglia di vivere.

    Qualcuno di influente, però, ti racconta una storia alla quale tu devi necessariamente prendere parte: è la vicenda di due amici che, ai tempi del nazismo, intercettano le restanti monete d'oro della Collezione della Mezzaluna Errante. Fanno parte dei tanti tesori trafugati dal Terzo Reich agli ebrei. 

    I due amici capiscono che quella è la loro occasione per darsi una seconda possibilità. 

    C'è chi è costretto a restare, e viene subito intercettato e punito prima dai nazisti e poi dai soldati della Germania dell'Est, e chi riesce a portare le monete in salvo; guarda caso proprio in quel Cile, precisamente nella Terra del Fuoco, che ti aspetta come un destino a cui non si può sfuggire.

    Juan Belmonte, è il momento di sintonizzarsi sulle frequenze di una normalità ostentata, ma che nasconde ancora tutti gli orrori della dittatura. 

    Il ritorno è tra ex compagni e contro gli stessi tizi che, sia pure nella diversa divisa indossata per l'occasione, perpetrano uguali soprusi. 

    L'unica è portarsi via le monete restanti, allontanarli dal tuo Cile come una maledizione che continua a estorcere vite. 

    Sono state ben nascoste dal compagno di una vita, sotto le lamiere scintillanti al sole di una terra che non riesce ancora a trovare pace.

    Juan Belmonte, che fai ancora lì impalato all'angolo della strada? Veronica è nella casa di fronte, si tratta solo di attraversarla, questa strada, e chiederti, per l'ultima volta, "perchè abbiamo tanta paura di guardare in faccia alla vita, noi che abbiamo visto le auree scintille della morte?"


giovedì 19 giugno 2025

"Vita e destino", di Vasilij Grossman (trad. Claudia Zanghetti), Adelphi editore

     


    Questo monumentale romanzo di Grossman (ebreo russo ben presto deluso dal regime comunista), ambientato nell'Unione Sovietica durante la battaglia di Stalingrado (1942-43) contro la Germania nazista, è un'opera "dalla culla alla tomba": nelle sue mille e più pagine, infatti, le diverse esistenze dei personaggi affrontano tutte le tematiche che costellano l'esistenza umana: dal dramma bellico in cui l'Armata Rossa combatte la guerra non tanto contro un Paese nemico, quanto contro la barbarie del Terzo Reich (tra gli altri, i personaggi della casa 6/1); alle prese di posizione ostinate, come quella del professore Strum Viktor Pavlovicfisico e membro dell'Accademia delle Scienze, che si oppone alla volontà del Partito di subordinare l'empiricità della scienza all'ideologia imperante.

    Come non accennare poi all'Amore, scandagliato in tutte le sue infinite sfaccettature? C'è quello altro e "illegittimo" proprio del professor Strum per la moglie di un collega; c'è l'altro incommensurabile e inconsolabile di Ljudmila Nikolaevna per il figlio Tolja; vi è, infine, quello combattuto di Zenja tra il colonnello Novikov e l'ortodosso Krymov che pure verrà rinchiuso nella famigerata Lubyanka.

    Grossman affronta il tema della Politica, mettendo in risalto il ruolo egemone di Stalin, non di rado raffigurato come un despota volubile e terribile (il gran burattinaio di tutta l'Unione Sovietica). Lo sguardo, poi, dello scrittore "eretico" (il Comitato esaminatore, fin dal dicembre 1960, giudica il romanzo "anti-sovietico" e lo sequestra assieme alle "carte carbone, agli appunti, alle copie e persino ai nastri delle macchine da scrivere"), si sofferma, con pagine di una liricità e di una profondità sconvolgente, sui forni crematori e sulle disperate condizioni di tutti i prigionieri, di qualsiasi nazionalità essi siano.

    E qui mi fermo, proprio perchè da scrivere ci sarebbe ancora tanto. Troppo. 

    La verità è che provare ad abozzare una recensione appena sufficiente di "Vita e destino", è praticamente impossibile, tanti sono i personaggi e gli argomenti trattati; ma sempre con una scrittura limpida e con la vena ispirata del narratore di razza.

    È un'opera, il romanzo di Grossman, da leggere e da rileggere (a dispetto delle sue quasi mille e duecento pagine) e in cui cercare conforto specie in tempi come questi, dove il senso si è smarrito e l'umanità agonizza nelle pastoie di un mondo impazzito.

giovedì 29 maggio 2025

"Episodi della vita del generale Giuseppe Avezzana", di Giuseppina Romano, Dea edizioni

   


      Leggendo quest'opera, una congerie di riflessioni, e della più disparata natura, si incolonnano pronte a essere sviscerate: una relativa al rapporto che s'intuisce assai tenero tra l'invitto Generale e la sua nipotina, la scrittrice Giuseppina Romano che, appena diciassettenne, ha raccolto questi episodi dalla viva voce del nonno; l'altra, attinente all'integrità morale e allo spirito di sacrificio propri dell'Avezzana la cui figura solo un'epoca fertile e feconda di spiriti magni (suo coetanei e amici sono personaggi del calibro di Garibaldi, Mazzini, etc.), ha potuto relegare in secondo piano ("eroe in penombra"); ulteriori riflessioni meritano la generosità e l'abnegazione per l'ideale (la Patria libera) di Giuseppe Avezzana di tanti altri protagonisti che, col senno di poi, commuove davvero in questi tempi grami in cui l'interesse personale la fa da padrona.

    Come non lasciarsi stupire, infine, da una vita, quella del Generale, a tal punto ricca di avvenimenti (e che avvenimenti!), da "riempire" almeno una mezza dozzina di vite "normali"? Proprio per evitare smarrimenti e smottamenti lungo un'esistenza così complessa, preziosa è la guida di Floriana Basso (l'autrice della prefazione) che riesce, con l'essenzialità del tratto sicuro e mai banale, a non farci perdere la rotta nel mare procelloso della vita del Nostro.

    In via esemplificativa e non esaustiva, troviamo l'Avezzana giovanetto già protagonista nella prima campagna di Napoleone (1812-1813). Subito dopo è nella sua Torino, mentre combatte lo "straniero invasor" nei moti del 1821. Giunge quindi in Spagna, sempre schierato a difesa degli ideali liberali. Da qui, vi è l'approdo in Messico e addirittura la fondazione delle città di Tampico (1829). Lo ritroviamo a New York dove sposa la sua prima moglie Mary (in seguito deceduta per una rovinosa caduta da un'altezza considerevole; convolerà a seconde nozze con la cognata più piccola, anch'essa scomparsa prematuramente) che gli donerà una nidiata di figlioletti.

    Il richiamo della derelitta Patria però, è più forte degli affetti, pur monopolizzanti, della famiglia. 

    Parte per l'Italia, ed è già a Genova schierato a sua difesa; quella stessa Genova che sarà costretto ad abbandonare, non prima di averne ringraziato la popolazione con un toccante commiato.

    Un'altra meta italiana lo aspetta: Roma e la sua repubblica, in cui ricoprirà la carica di Ministro della guerra e della difesa. E soprattutto nell'Urbe si solidifica il rapporto di stima e amicizia con Giuseppe Garibaldi; lo stesso Garibaldi che, allorquando da deputato nel 1879 gli fu offerta una corona di lauro per l'anniversario del 30 aprile 1849, la respinse inviandola proprio al nostro Giuseppe Avezzana. 

    Con l' "Eroe dei due mondi", il Generale partecipa alla battaglia del Volturno.

    Schierato alla Sinistra del Parlamento, viene nominato deputato in ben cinque legislature, rappresentando anche il collegio di Capaccio. Una delle sue figlie, Felicita, sposerà il commendatore Francesco La Francesca (che ha ospitato Garibaldi nel suo palazzo di Eboli).

    Il lascito del Generale Giuseppe Avezzana alle future generazioni è uno sprone a battersi sempre, oltre che per la Patria, per gli ideali ancora in grado, malgrado continuamente corrosi da una retorica d'accatto, di giustificare un'esistenza. E in queste memorie, narrate dalla Romano con la musicalità e la ricchezza proprie dell'italiano di fine Ottocento, ne è ben presente l'eco.

giovedì 22 maggio 2025

"Il mondo alla fine del mondo", di Luis Sepulveda (trad. I. Carmignani), Guanda editore

    

    Il Nishin Maru, una nave officina giapponese comandata dal capitanoTanifuji, risulta ufficialmente demolita a Timor. Perchè allora, da un'agenzia giornalistica legata a Greenpeace, arriva un dispaccio che ne attesta la presenza in acque magellaniche? E soprattutto, cosa c'è dietro la denuncia del capitano Tanifuji riguardo alla perdita di ben diciotto uomini dell'equipaggio, oltre a un numero imprecisato di feriti, e a gravi danni riportati dall'imbarcazione?
Il protagonista del romanzo, un giornalista cileno esule dal suo Paese, intuisce che dietro la vicenda del Nishin Maru c'è un retroterra che pur gli appartiene: l'atmosfera dei mari australi che fin da giovanetto, ammaliato dalle atmosfere del Moby Dick di Melville, ha avuto moto di vivere a bordo di una baleniera. 
    Caso vuole che anche adesso, pur lontano dagli approdi dell'adolescenza, si imbatte nelle balene; più precisamente, nella loro caccia indiscriminata da parte proprio del Nishin Maru e del suo equipaggio.
    Grazie al prezioso aiuto della corrispondente Sarita, il Nostro riesce a raccogliere molti elementi utili all'indagine. Ben presto, però, capisce che se vuole davvero impedire la mattanza dei grossi cetacei, deve fare i conti col proprio passato; deve, in altri termini, riappropiarsi delle suggestioni del suo mondo. A bordo di un aereo, allora, torna alle latitudini che gli sono proprie. Qui il capitano Nilssen, a bordo dell'intrepido Finisterre, l'attende per mostrargli un evento che ha dell'incredibile. E sì, perchè ci sono accadimenti che anche le parole più esatte, non hanno il potere di rappresentare in maniera fedele e appropriata.
    Il giornalista cileno, dopo aver toccato le profondità dell'aberrazione relativa alla caccia alle balene (dal risucchio delle acque con tubi che aspirano ogni forma di vita nell'oceano, alle accecanti luci di un elicottero che servono ad attirare i cetacei poco prima di falcidiarli con scariche di mitra), viene portato sul luogo della rivelazione. Una volta qui, è pronto per il racconto prodigioso del capitano Nilssen: la scialuppa del pantugruelico Pedro Chico, socio e sodale del capitano, decideva di opporsi in qualche modo alla mattanza delle balene Calderon da parte del Nishin Maru; da sola, contro lo strapotere della nave officina giapponese. 
    L'Intelligenza delle creature, il loro spirito di giustizia che sa sempre da che parte schierarsi (a fianco dei deboli e degli uomini di buona volontà, contro i prevaricatori e i distruttori della Natura), sentono che è il momento di stabilire connessioni: "obbedendo a un richiamo che nessun altro uomo ha mai sentito in mare, un richiamo così acuto che lacerava i timpani, trenta, cinquanta, cento, una miriade di balene e di delfini nuotarono rapidi fin quasi a toccare la costa, per poi far ritorno ancora più velocemente e sbattere la testa contro la nave". Di contro, la scialuppa di Pedro non solo viene salvaguardata dalle balene, ma addirittura spinta fino al Finisterre, in salvo.
    C'è un "umano" sentire tra gli uomini e la Natura che, anche quando viene rinnegato proprio dall'uomo (usurpatore di accezioni positive!), raffiora travolgente e impetuoso. Almeno lì, nelle distanze incommensurabili del "mondo alla fine del mondo".
      

giovedì 1 maggio 2025

"I cento talleri di Kant", di Pietro Emanuele, Adriano Salani editore

   


     La filosofia, si sa, è un sapere che va scandagliato, approfondito per ogni autore e per ciascun argomento. Eppure, massimamente in questo tempo parcellizzato, si può partire da alcuni esempi (cinquanta ne sceglie Pietro Emanuele) che, partendo dal paradosso di Zenone sulla tartaruga e Achille (che infiniti lutti addusse ai liceali), approda a un altro infinito, quello della Biblioteca di Babele di borgesiana memoria "la quale comprende tutti i libri che sono stati scritti sinora e quelli che potenzialmente sono in grado di essere scritti in qualsiasi tempo".

    Il percorso del filosofo siciliano è ovviamente progressivo: nella prima parte, ci sono altri exempla come l'Encomio di Elena di Gorgia da Lentini, il c.d. "dilemma del coccodrillo" corredato dall'immancabile patema d'animo del papà (me lo restituisce o no il mio figliolo?), il celeberrimo asino di Buridano e il Paracelso cinquecentesco, principe dei maghi, con il suo odio contro i mercanti nemici, a suo dire, del benessere e dell'economia.

    Nella seconda parte del libro, Emanuele ci intrattiene, tra l'altro, con il Dio orologiaio creatore dell'armonia universale di Leibniz e con la statua "sensibile" di Condillac

    Per ridicolarizzare i sognatori della Metafisica poi, ecco il riferimento ai cento talleri di Kant di cui una cosa è sognare di averli in tasca, tutt'altra è il trovarseli materialmente in saccoccia. E dove lo mettiamo il teschio di Amleto che impauriva Hegel (l'essere dello spirito è un osso)?

    La parte terza prende le mosse dall'uomo che scivola e cade di Bergson per poi intrattenersi sulle scarpe sudate della contadina di Heidegger (l'angoscia che, checchè ne dirà poi Croce, penetra addirittura nella suola delle scarpe). C'è spazio pure per l'altra faccia della Luna e per la teoria della verificazione di Moritz Schlick oltrechè per l'arto fantasma che irradia una diabolica percezione di presenza di Maurice Merleau-Ponty.

    Questo, e tanto altro, è presente nel libro edificante di Pietro Emanuele che attraverso gli esempi, scorciatoie per giungere ai concetti senza troppa fatica, squaderna davanti ai nostri occhi un flusso di sapere in cui è una goduria immergersi (sia pure solo per i pochi secondi di cinquanta esempi).

giovedì 3 aprile 2025

"Garibaldi", di Denis Mack Smith (Mondadori)

    


    Quello che ermerge da questo libro, è il ritratto a tutto tondo di un essere "stra-ordinario". 

    Garibaldi marinaio innanzitutto, ma anche uomo dalle mille risorse e dai cento mestieri. Sempre a fianco (non di rado troppo ingenuamente) dell'ennesima parte di mondo implorante libertà e indipendenza, dal piccolo Rio Grande contro l'impero brasiliano, passando per l'Uruguay contro il generale argentino Rosas. E sì perchè per il nostro Peppino non c'è confine che tenga: qualsiasi lembo di terra che cerchi libertà, troverà, se lo vorrà, la sua spada pronta a difenderlo. E se anche la sua prediletta patria, alla quale ha immolato l'intera vita, dovesse sopprimere l'anelito di giustizia di un altro popolo, ebbene Garibaldi non avrebbe alcun dubbio: si schiererebbe addirittura contro il suo Paese, quasi senza battere ciglio.

    Quest'opera ben documentata, ci mostra Garibaldi intimamente repubblicano che, pur di "fare l'Italia", è pronto a sposare la causa sabauda. E il rapporto con Vittorio Emanuele, tranne che nell'ultimo periodo in cui il Nostro si sentirà tradito un po' da tutti (mai dal "proletariato" e dagli oppressi, però), sarà imperniato su una non scontata fiducia reciproca. D'altronde, uno come Garibaldi disposto anche a farsi usare (più o meno coscientemente) pur di raggiungere l'unità nazionale, fa estremamente comodo: se si vince, è merito del re; in caso di sconfitta, la colpa è di quell'estremista del nizzardo.

    Manco a dirlo, i rapporti con Camillo Benso Conte di Cavour sono ben più problematici: troppo distanti e incompatibili i caratteri tra i due uomini, così come estremamente diversi i sentimenti che li animano. Da una parte le sottigliezze e gli arzigogolii della politica, dall'altra le irruenze e le generosità dell'uomo del popolo. Per sottacere i rapporti con l'algido Mazzini, passati da un'entusiastica ammirazione a una sopportazione assai difficile.

    Poco tattico, indisciplinato, mediocre stratega, ma quando si tratta di puntare sulla velocità e sull'intuizione che esala dalla polvere dei campi (di battaglia), allorchè occorre virare sulla guerriglia anzichè sulle truppe schierate; e ancora, nell'attimo stesso in cui si è irrimediabilmente in minoranza e tutto sembra drammaticamente votato alla sconfitta, allora Garibaldi dà il meglio di sè, capace di vincere le battaglie anche prostrato dall'artrite che non gli dà requie.

    Idolatrato dalle folle, specie quelle più derelitte (ma non solo: si pensi all'accoglienza in Inghilterra da parte di oltre 500.000 persone), santificato già in vita (si specano le preghiere a Garibaldi e il numero di bambini che gli vengono protesi affinchè lui li battezzi), anticlericale convinto (propugnatore di una nuova religione), il Nostro non perde occasione anche di mostrarsi agricoltore: quando le vicende politiche lo disgustano (la qual cosa accade assai di frequente), ci sarà sempre la sua ostinata Caprera ad accoglierlo.

    Verso la fine dei suoi anni, Garibaldi, dopo essersi preso il gusto di accorrere a difesa della Francia ("ma di tutti i generali francesi Garibaldi è il solo che non sia stato sconfitto" - Victor Hugo), matura una concezione dittariale fintanto che la nazione non sarà di nuovo pronta per la repubblica. E come un dittatore dell'antica Roma allestisce la pira funebre, lì a Caprera. 

    Ancora una volta, però, la politica degli intrallazzi ha bisogno di capitalizzare il fenomeno Garibaldi: niente pira e funerali in pompa magna, a dispetto delle ultime volontà del Nostro.

    Di una genorosità estrema, disinteressato (tutte le testimonianze, pure dei suoi più acerrimi avversari, concordano sulla sua incorruttibilità), di una fibra assai forte che gli permetteva di resistere alle condizioni più estreme, Garibaldi ha da sempre popolato il mio immaginario. Dopo aver letto anche quest'opera sull'eroe nazionale, ancor di più.

    

giovedì 27 marzo 2025

"Io sono l'abisso", di Donato Carrisi, Tea edizioni

    



    Le acque limacciose del lago sono una presenza costante e inquietante in questa storia.
    C'è chi, come la "cacciatrice di mosche", ci ha provato ad allontanarsene, ma il richiamo torbido delle acque lacustri non tollera distanze; c'è poi la leggenda che vuole confinati nei suoi abissi furgoni portavalori con tutto il carico di soldi e di agenti vittime di rapina; infine, c'è un braccio "singolare" che viene ripescato dal lago e una ragazzina, appena adolescente, che cerca nelle sue lusinghe (mortifere) requie da un presente annichilente. A questo proposito, "L'uomo che pulisce", ostaggio di un passato squallido che lo segnerà (anche fisicamente) per tutta la vita, inaspettatamente decide che non può starsene a guardare. Lui che ha imparato a nuotare nella piscina fetida in cui la mamma l'ha spinto dopo avergli bucato i braccioli, porta in salvo la ragazzina.
    Improvvisamente, l' uomo che pulisce" rinuncia alla sua invisibilità. Perchè?
    Cosa penserà di questo cambiamento l'alter ego Micky che se ne sta dietro ogni porta verde della sua esistenza, pronto ancora a tiranneggiarlo e a punirlo? E ciò fin da quando, da piccolo, ha stretto la testa dell' "uomo che pulisce" in una morsa e gli ha lasciato due cicatrici sul capo a mo' di cerniere. 
    E la volta in cui Micky, sempre lui, gli ha maciullato ogni dente per ciascun sbaglio commesso, perchè la mamma Vera non si è ribellata, perchè non ha protetto il suo piccolino che in futuro avrebbe pulito? E se l' "uomo che pulisce" se lo porta ancora dietro, Micky, fino a sdoppiarsi in due personalità diverse e, per certi versi, antitetiche?
    Micky, però, gli fa comodo. È lui che gli impone periodicamente di mettersi in azione. E così dopo che, attraverso l'esame dei rifiuti, l' "uomo che pulisce" analizza le abitudini dell'attenzionata di turno (tutte bionde, di un'età vicina a quella di Vera), lascia la scena a Micky. 
    La "cacciatrice di mosche" ha già fiutato la pista. Intuisce, ancora prima di sapere, che dietro le sparizioni di alcune donne c'è un abisso (l'abisso!) di perversione e di abbandono. Ma lei, con il cuore straziato da Diego dietro le sbarre e il fantasma di Valentina sventrata sul letto degli avi, è l'unica in grado di arrivarci fino in fondo, in quell'abisso. E di provare, assieme alla tormentata Pamela, a evitare che possa inghiottire l'ennesima vita.
Per far questo, però, la "cacciatrice di mosche" dev'essere disposta a rivivere l'esperienza traumatizzante del male del mondo. Almeno fino a quando ci sarà l'ennesimo bambino a cui sarà negata ogni infanzia; l'ennesimo bambino a cui sarà permesso di diventare, nello stesso momento e nella stessa anima, "l'uomo che pulisce" e Micky, lo strumento e la mente della perversione. In definitiva, si sa: la mamma può amare, e solitamente lo fa. Ma non appena si discosta da questo sentimento assorbente, le è preclusa qualsiasi indifferenza, ogni sentimento neutro.
    Una mamma o ama o odia. Non c'è alternativa che tenga.
    Poche volte mi sono imbattuto in un libro che mi ha lasciato un senso di angoscia dalla prima all'ultima pagina come questo. Ma è un'angoscia lucida, propria delle grandi opere scandaglio di una realtà altra. Disperante. Eppur presente.

giovedì 20 febbraio 2025

"L'ipotesi del male", di Donato Carrisi, TEA edizioni

   


     Nel Limbo, la stanza 13 dell'obitorio di Stato, c'è il girone dei passi perduti dietro a un corpo improvvisamente scomparso.

    Dopo l'inquietante vicenda de Il Suggeritore, l'agente Mila Vasquez si è rintanata proprio nel Limbo, alla ricerca di una via di fuga dai propri demoni; presenze oscure e inquietanti, queste ultime, sempre pronte a esigere il contributo di tagli e lacerazioni che possano certificare la natura altra di Mila (Tu sei sua. Tu gli appartieni...).

    Eppure là fuori per il mondo, gli scomparsi sembrano essere ritornati; stavolta, però, per rimettere in qualche modo le cose al loro posto, secondo una logica del tutto singolare.

    Come un annichilente gioco dell'oca, si riparte dal Signore della Buonanotte, il regista occulto di una serie di sparizioni che si sono verificate negli anni addietro. E i punti di contatto tra gli scomparsi (condizioni di vita difficili, il sonnifero onnipresente un attimo prima di ogni "evaporazione", la camera 317 dell'Ambrus Hotel) sembrano riemergere dalle secche di un passato che troppo presto si è voluto dimenticare; anche, e forse soprattutto, da parte delle forze dell'ordine.

    Perchè?

    Frattanto la telecamera nascosta nella cameretta di Alice, se da un lato infonde a Mila un senso di sicurezza, dall'altro la interroga continuamente sulla sua corrotta maternità. E ci sono delle inadeguatezze che fanno avvertire il loro peso anche sulle indagini che l'agente sta portando avanti: che madre sarei se non conoscessi il nome della bambola preferita di mia figlia?

    Per l'appunto.

   Dopo l'ennesimo ritorno di persone inghiottite dal passato e risputate nell'attualità, Mila capisce di aver bisogno di lui: dell'agente Simon Berish, il reietto della polizia, che possiede le capacità e il bagaglio di esperienze giusto per dare un senso agli ultimi, onirici avvenimenti; e soprattutto per svelare chi si celi dietro il Signore della Buonanotte, o Kaiurus che dir si voglia.

    Per scoprirlo, occorrerà scendere negli inferi di una realtà parallela dove nulla è come sembra. E soprattutto, in una dimensione in cui sintonizzarsi sulle ataviche frequenze dell'ipotesi del male: il male compiuto per giungere a un bene che, a sua volta, genera inevitabilmente un altro male. Fino alla fine dei tempi e a una problematica redenzione. 

   

 



venerdì 7 febbraio 2025

"Il pittore di battaglie", di Arturo Pèrez-Reverte, Tropea edizioni (trad. R. Bovaia)

    


     In una torre di guardia abbarbicata sulla scogliera del Mediterraneo, l'ex fotoreporter di guerra Falques decide di averne abbastanza. Nonostante i trent'anni di professione sempre in prima linea, tra messe a fuoco, velocità di otturazione e diaframma, la fotografia non è in grado di dire più niente.

     Le "agghiaccianti simmetrie" degli scenari di guerra, da quelle dell'antichità fino a quelle dei giorni nostri, parlano un linguaggio che  l'obiettivo (necessariamente parziale) della macchina fotografica non riesce a cogliere nè a decifrare. Falques, allora, ricorre alla pittura: un affresco circolare lungo tutte le pareti della torre, in cui rappresentare il metodo e le nascoste nervature di ogni conflitto, di ciascun cataclisma.

    Chi l'ha detto, infatti, che le battaglie sono governate dal caos?
    Ritiratosi in una edificante solitudine, l'ex fotoreporter dipinge anche per dare consistenza agli spettri che hanno incrociato la sua esistenza. Tra i tanti, quello di Olvido Ferrara, la donna che un giorno ha deciso di seguirlo, lasciandosi dietro una vita di agi e di passerelle; la parte bella della sua anima che Falques, in una foto che non ha mai pubblicato, ha immortolato un secondo dopo l'esplosione della mina. Avrebbe forse potuto salvarla, ma Olvido ormai era già inesorabilmente lontana da lui. Come e perchè sopravviverle, sapendola magari felice con un altro?
    Dalle nebbie del passato riemerge Ivo Markovic. L'ex militare croato, la cui immagine in ritirata è stata catturata dall'obiettivo famelico di Falques, è venuto fin sulla torre per vedere, per capire, ma soprattutto per vendicarsi: con quella sua foto finita sui giornali, il pittore di battaglie gli ha indirettamente rovinato la vita; quella stessa vita che dopo la vicenda familiare occorsagli, ha investito unicamente nella sua ricerca. 
    Frattanto, l'inquietante affresco continua a impegnare le giornate di Falques, intervallate dalle discussioni e dal confronto con l'ospite inatteso. Eppure l'ex fotoreporter capisce, anche attraverso le riflessioni di Markovic, che non occorre affannarsi oltre: non c'è infatti, bisogno, di dipingere tutte le pareti della torre, perchè il senso della precarietà umana, le proiezioni e gli stilemi di ogni tragedia del mondo, sono già racchiusi nel lavoro portato avanti da Falques.
    Passano i giorni e Markovic si fa persuaso di una indiscutibile verità: non si può togliere il fio a chi è sostanzialmente un sopravvissuto.
    A Falques non resta altro, allora, che piazzarsi la moneta di Caronte  sotto la lingua, e nuotare verso la fine che gli è stata già assegnata.
    Dell'affresco, già crepato, si conserverà quello che il tempo deciderà di conservare.
    Quando (...) il lettore chiude il libro, si ritrova diverso, con il cuore gonfio, ma forse più pronto a vivere con intensità i suoi pochi minuti, ad attraversare con dignità l'indifferenza dell'Universo che lo circonda. (Bruno Arpaia, Il Sole 24 Ore)

mercoledì 23 ottobre 2024

"Delitto alla Scala", di Franco Pulcini (ed. La Biblioteca di Repubblica-L'Espresso)



    L'Arianna di Claudio Monteverdi, la prima tragedia musicale della storia, è stata ritrovata. Ed è proprio quest'opera, notoriamente iettatoria, che ci si appresta a eseguire alla Prima della Scala, la famigerata serata mondana del 7 dicembre.

    La direzione è affidata al maestro Oscar Marni, garanzia di sicuro successo.

    Eppure le perplessità sull'originalità dell'opera, impregnata di refusi e di "tranelli" musicali, si fanno sempre più forti. Ciononostante il carrozzone del Teatro alla Scala (che lo scrittore Franco Pulcini conosce benissimo per averci lavorato come direttore editoriale), è ben avviato: Iris Guetta, la conturbante e misteriosa Arianna dell'opera, scalda l'ugola che ne dovrà eternare la fama; Olimpio Ferri, il colto e "impossibile" direttore artistico, vigila affinchè la struttura sia ben oliata per la Prima; il maestro De Masi si cimenta con successo nel mondare il testo dagli elementi spuri. Tutto bene, quindi, se non fosse che un mese prima del 7 dicembre, il direttore Oscar Marni viene ucciso. Sul terrazzo del teatro. Un colpo alla nuca. Due dita tagliate, il mignolo e l'indice, infilato l'uno nell'orecchio destro, l'altro nel sinistro.

    A indagare è il commissario Abdul Calì, lombardo (molto) d'adozione. Ora, se la prevalenza degli aspetti somatici magrebini sugli italici non è stata mai troppo notata nella sua Sicilia, qui, a Milano...

    Per gentile concessione della direzione, gli viene assegnata, con il compito di guidarlo nei meandri del teatro, la giovane Viola che gli diventerà ben presto preziosa: sarà proprio grazie a lei che il commissario Calì riuscirà a orientarsi in quel ginepraio di invidie, pettegolezzi, tradimenti e rivalità di cui è ricco il mondo dell'opera. Poi, certo, ci sarebbe l'attrazione tra due anime complementari...ma questo è un altro discorso.

    Il giorno della Prima si avvicina e occorre un colpo di reni per assicurare l'assassino alla giustizia.

    Dopo l'iniziale pista passionale (le dita nelle orecchie, conficcate dalla parte mozzata, non starebbero a simboleggiare le corna?) e quella economica (i soldi in ballo sono tanti, per tutto il caravanserraglio di figuri che si affannano attorno alla preziosa opera musicale), la chiave viene trovata nel movente professionale.

    La grande musica, si sa, affraterna i popoli ma può, all'occorrenza, anche esacerbare gli animi al punto da spingerli a commettere delitti efferati. Bisogna maneggiarla con cura, la musica. Il rischio è quello che, per sublimarla, la si rovini irrimediabilmente. Proprio com'è successo al Fetonte del timpano del Teatro alla Scala, che per sancire la sua nascita divina (figlio di Elio), ha guidato maldestramente il carro del Sole fino a mettere a repentaglio la vita sulla terra.