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giovedì 27 marzo 2025

"Io sono l'abisso", di Donato Carrisi, Tea edizioni

    



    Le acque limacciose del lago sono una presenza costante e inquietante in questa storia.
    C'è chi, come la "cacciatrice di mosche", ci ha provato ad allontanarsene, ma il richiamo torbido delle acque lacustri non tollera distanze; c'è poi la leggenda che vuole confinati nei suoi abissi furgoni portavalori con tutto il carico di soldi e di agenti vittime di rapina; infine, c'è un braccio "singolare" che viene ripescato dal lago e una ragazzina, appena adolescente, che cerca nelle sue lusinghe (mortifere) requie da un presente annichilente. A questo proposito, "L'uomo che pulisce", ostaggio di un passato squallido che lo segnerà (anche fisicamente) per tutta la vita, inaspettatamente decide che non può starsene a guardare. Lui che ha imparato a nuotare nella piscina fetida in cui la mamma l'ha spinto dopo avergli bucato i braccioli, porta in salvo la ragazzina.
    Improvvisamente, l' uomo che pulisce" rinuncia alla sua invisibilità. Perchè?
    Cosa penserà di questo cambiamento l'alter ego Micky che se ne sta dietro ogni porta verde della sua esistenza, pronto ancora a tiranneggiarlo e a punirlo? E ciò fin da quando, da piccolo, ha stretto la testa dell' "uomo che pulisce" in una morsa e gli ha lasciato due cicatrici sul capo a mo' di cerniere. 
    E la volta in cui Micky, sempre lui, gli ha maciullato ogni dente per ciascun sbaglio commesso, perchè la mamma Vera non si è ribellata, perchè non ha protetto il suo piccolino che in futuro avrebbe pulito? E se l' "uomo che pulisce" se lo porta ancora dietro, Micky, fino a sdoppiarsi in due personalità diverse e, per certi versi, antitetiche?
    Micky, però, gli fa comodo. È lui che gli impone periodicamente di mettersi in azione. E così dopo che, attraverso l'esame dei rifiuti, l' "uomo che pulisce" analizza le abitudini dell'attenzionata di turno (tutte bionde, di un'età vicina a quella di Vera), lascia la scena a Micky. 
    La "cacciatrice di mosche" ha già fiutato la pista. Intuisce, ancora prima di sapere, che dietro le sparizioni di alcune donne c'è un abisso (l'abisso!) di perversione e di abbandono. Ma lei, con il cuore straziato da Diego dietro le sbarre e il fantasma di Valentina sventrata sul letto degli avi, è l'unica in grado di arrivarci fino in fondo, in quell'abisso. E di provare, assieme alla tormentata Pamela, a evitare che possa inghiottire l'ennesima vita.
Per far questo, però, la "cacciatrice di mosche" dev'essere disposta a rivivere l'esperienza traumatizzante del male del mondo. Almeno fino a quando ci sarà l'ennesimo bambino a cui sarà negata ogni infanzia; l'ennesimo bambino a cui sarà permesso di diventare, nello stesso momento e nella stessa anima, "l'uomo che pulisce" e Micky, lo strumento e la mente della perversione. In definitiva, si sa: la mamma può amare, e solitamente lo fa. Ma non appena si discosta da questo sentimento assorbente, le è preclusa qualsiasi indifferenza, ogni sentimento neutro.
    Una mamma o ama o odia. Non c'è alternativa che tenga.
    Poche volte mi sono imbattuto in un libro che mi ha lasciato un senso di angoscia dalla prima all'ultima pagina come questo. Ma è un'angoscia lucida, propria delle grandi opere scandaglio di una realtà altra. Disperante. Eppur presente.

giovedì 13 marzo 2025

"Sua Eccellenza perde un pezzo", di Andrea Vitali (Garzanti edizioni)

    


    Soave Inticchi, segretario del sindacato dei panettieri di Como, vuole organizzare una gita in battello in quel di Bellano. L'occasione è la celebrazione dell'anniversario della fondazione di Roma.

    Manco a dirlo, basta quest'evento, apparentemente insignificante, a innescare una serie di dinamiche dagli esiti spiazzanti.

    Procediamo con ordine: Gualtiero Scaccola (e in seguito anche suo fratello Venerando), ribellandosi all'insegnamento paterno impartito a forza di calci nel culo, esce finalmente dalla sua panetteria e si getta "nel gomitolo di strade" del paese. E per la prima volta i suoi sensi vengono accesi dalla esternalità in fiore. A sublimazione di questa esperienza sconvolgente, s'imbatte alfine nella Garbati Venturina, e quindi nelle lusinghe dell'amore.

    Il podestà Mongatti capisce che la gita dei panettieri, se ben organizzata, può lavare l'onta di una Bellano tiepida, se non indifferente, alle suggestioni fasciste. E ciò almeno agli occhi del Federale Gariboldo Funicolati, personalità di spicco prontamente invitata all'evento.

    Il maresciallo Ernesto Maccadò, tra una giornata in famiglia sul lago necessariamente rimandata (per la felicità della signora Maristella) e la preoccupazione (più o meno fondata) per gli ormoni del carabiniere Beola, si trova ben presto a presenziare alla cerimonia e a rifiutare categoricamente la sua opera e quella dei suoi uomini: e sì perchè, passi il servizio d'ordine necessario a rintuzzare eventuali intemperanze della folla, ma la ricerca prima e la consegna poi addirittura di una dentiera...ebbene, questo proprio no.    

    E già, il cavallo di Troia che sconvolge i piani un po' di tutti, e addirittura fa calare un velo di pesantissimo silenzio su quella giornata che avrebbe dovuto essere memorabile, è proprio la protesi dentaria dell'impettito Federale.

    A sgaiattolare via dalla bocca di Sua Eccellenza, è sgaiattolata, non ci sono dubbi. L'hanno vista tutti, e soprattutto tutti hanno potuto verificare la bocca a culo di gaddrina del Federale ormai edentulo. Ma, ed è qui il mistero, dove sarà caduta? E soprattutto, chi l'ha trovata? E se il Federale dà ordine di rintracciarla a tutti i costi e sua moglie, invece, si raccomanda di non consegnarla anche qualora venisse ritrovata?

    La mattina, d'altronde, era iniziata col piede sbagliato: quello destro del podestà che, mentre si dirigeva alla messa grande con signora al seguito (preziosa, quest'ultima, con la lettura della Primula Rossa), aveva pestato una generosa merda. Eppure sarebbe bastato andarci con l'altro piede, quello sinistro nella cacca, per meritarsi una fortuna che avrebbe dato un corso diverso agli eventi.

    Poco male: Bellano, con la breva che accarezza le frange del lago, ancora una volta si fa incubatore fatato di una miriade di piccole, edificanti storie; prontamente raccolte, manco a dirlo, dalla magistrale penna di Andrea Vitali.

    "Abbiamo smesso di contare le volte in cui Andrea Vitali ha centrato il bersaglio incatenando il lettore ai suoi personaggi" (Bruno Gambarotta-La Stampa)

    

giovedì 20 febbraio 2025

"L'ipotesi del male", di Donato Carrisi, TEA edizioni

   


     Nel Limbo, la stanza 13 dell'obitorio di Stato, c'è il girone dei passi perduti dietro a un corpo improvvisamente scomparso.

    Dopo l'inquietante vicenda de Il Suggeritore, l'agente Mila Vasquez si è rintanata proprio nel Limbo, alla ricerca di una via di fuga dai propri demoni; presenze oscure e inquietanti, queste ultime, sempre pronte a esigere il contributo di tagli e lacerazioni che possano certificare la natura altra di Mila (Tu sei sua. Tu gli appartieni...).

    Eppure là fuori per il mondo, gli scomparsi sembrano essere ritornati; stavolta, però, per rimettere in qualche modo le cose al loro posto, secondo una logica del tutto singolare.

    Come un annichilente gioco dell'oca, si riparte dal Signore della Buonanotte, il regista occulto di una serie di sparizioni che si sono verificate negli anni addietro. E i punti di contatto tra gli scomparsi (condizioni di vita difficili, il sonnifero onnipresente un attimo prima di ogni "evaporazione", la camera 317 dell'Ambrus Hotel) sembrano riemergere dalle secche di un passato che troppo presto si è voluto dimenticare; anche, e forse soprattutto, da parte delle forze dell'ordine.

    Perchè?

    Frattanto la telecamera nascosta nella cameretta di Alice, se da un lato infonde a Mila un senso di sicurezza, dall'altro la interroga continuamente sulla sua corrotta maternità. E ci sono delle inadeguatezze che fanno avvertire il loro peso anche sulle indagini che l'agente sta portando avanti: che madre sarei se non conoscessi il nome della bambola preferita di mia figlia?

    Per l'appunto.

   Dopo l'ennesimo ritorno di persone inghiottite dal passato e risputate nell'attualità, Mila capisce di aver bisogno di lui: dell'agente Simon Berish, il reietto della polizia, che possiede le capacità e il bagaglio di esperienze giusto per dare un senso agli ultimi, onirici avvenimenti; e soprattutto per svelare chi si celi dietro il Signore della Buonanotte, o Kaiurus che dir si voglia.

    Per scoprirlo, occorrerà scendere negli inferi di una realtà parallela dove nulla è come sembra. E soprattutto, in una dimensione in cui sintonizzarsi sulle ataviche frequenze dell'ipotesi del male: il male compiuto per giungere a un bene che, a sua volta, genera inevitabilmente un altro male. Fino alla fine dei tempi e a una problematica redenzione. 

   

 



giovedì 23 gennaio 2025

"Oscura e celeste", di Marco Malvaldi, Giunti editore

     


      Firenze, 1631. Il sagace Galileo Galilei, ormai giunto a un'età non più verde e con la vista che continua a perdere colpi, è in attesa di veder pubblicato il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Opera, quest'ultima, scritta in volgare per raggiungere il maggior numero di persone possibile: la scoperta che è il Sole al centro dell'universo e non la boria "aristotelica" del Santo Uffizio, deve avere vasta eco.

    La peste che dilaga sconsiglia gli spostamenti e lo scienziato ne approfitta: riesce a ottenere di stampare il Dialogo in città anzichè a Roma eludendo, così, i cavillosi controlli dell'Inquisizione. C'è un solo problema. Poichè la sua scrittura è alquanto incomprensibile, vi è la necessità di far ricopiare l'opera, prima di portarla dal tipografo, da persona fidata e soprattutto con una grafia aggraziata. E chi meglio di suor Maria Celeste, al secolo Virginia Galilei (sua figlia), potrebbe assolvere al compito? Certamente non suor Arcangela, l'altra figlia di Galileo parimenti rinchiusa nel convento di San Matteo in Arcetri, che a differenza della sorella e collega, ha preso i voti senza averne punto voglia.

    Eppure sul convento di San Matteo circolano voci poco edificanti che ci mettono un "biz" ad arrivare alle orecchie del Granduca Ferdinando: alcune sorelle, il cui lume resta acceso troppo a lungo durante la notte, "riceverebbero", i conti del convento, già miseri di per sè, non si riuscirebbero a far quadrare, e via di questo passo; fino a quando, del tutto inopinatamente, ci scappa il morto: suor Agnese, assai versata nelle scienze e di un'intelligenza fuor del comune, cade da una finestra. Caduta accidentale, suicidio od omicidio ad opera di qualcuno che l'ha spinta perchè è andata troppo oltre? E se sì, troppo oltre in quale campo?

    Il Granduca ci vuole vedere chiaro. Investe così Niccolò Cini, canonico della Chiesa metropolitana di Firenze e discepolo di Galilei, dell'ingrato compito di far luce sulla morte della suora. Manco a dirlo, lo scienziato-filosofo accompagnerà il canonico nei suoi interrogatori e, soprattutto, sarà lui che grazie all'acume e a una perspicacia proverbiali, scoprirà colpevole e movente. Perchè...come la luna ha una parte oscura, allo stesso modo l'animo umano ha degli abissi inesplorati di cupidigia e invidia difficilmente eguagliabili.

    Torna in azione il lungimirante Galilei di Marco Malvaldi, contornato da alcune figure (una per tutte, la domestica Piera..."la relazione di Galileo con la Piera era semplice: gli era impossibile stare senza la Piera, gli era impossibile stare con la Piera") di una vivacità spassosa.

giovedì 5 dicembre 2024

"Angeli e demoni" di Dan Brown (trad. A. Biavasco e V. Guani), Oscar Mondandori



Lo scienzato del CERN Leonardo Vetra assieme a sua figlia Vittoria, fanno una scoperta sensazionale: la leggendaria antimateria, con una capacità distruttiva ben superiore a quella dell'energia nucleare, può essere riprodotta in laboratorio. Eppure, nonostante le ricerche e gli esperimenti siano stati condotti nel più assoluto riserbo (nemmeno l'algido direttore del CERN, Maximilian Kohler, ne è a conoscenza), qualcuno sa: della scoperta e, soprattutto, dell'esistenza di duecentocinquanta milligrammi di campione di antimateria. E questo qualcuno ha bisogno in fretta di sfruttare questa scoperta rivoluzionaria. D'altronde, nel momento in cui è stato rimosso dal CERN, il cilindro di antimateria ha iniziato le sue ventiquattro ore di viaggio senza ritorno verso il nulla.

Una pista da seguire c'è: Leonardo Vetra viene trovato morto privato del bulbo oculare e, soprattutto, con una scritta a fuoco vivo stampata sul petto: Illuminati.

Possibile che la setta degli Illuminati sia tornata in auge dopo un oblio di parecchi secoli? E perchè gli adepti della scienza sempre in guerra contro i dogmi della Chiesa e i suoi officianti, avrebbero avuto interesse a uccidere barbaramente uno scienzato e a impossessarsi della particella di antimateria?

Frattanto a Roma, in seguito alla morte del Papa (morto di morte naturale?), si sta per riunire il conclave investito dell'elezione del nuovo pontefice. E i quattro maggiori papabili, non si presentano all'appuntamento. 

Sono scomparsi.

Robert Langdon viene incaricato dal direttore del CERN di trovare una spiegazione all'uccisione dello scienzato. E soprattutto a capire perchè il cilindro è stato sottratto dal laboratorio e dove si trovi adesso.

Lo studioso di simbologia e Vittoria, allora, sulle orme di alcuni grandi illuminati (Galileo Galilei e Gian Lorenzo Bernini su tutti), seguono delle tracce per risolvere il mistero. Come i sassolini di Pollicino disseminati da una mano mefistofelica lungo il percorso, le indagini di Robert e della scienziata s'imbattono nelle ripetute macabre uccisioni proprio dei quattro cardinali assenti dal conclave: sul corpo di ognuno di loro, un ambigramma, rispettivamente della Terra, dell'Aria, del Fuoco e dell'Acqua (i quattro antichi elementi della Scienza) e una morte in sintonia, per modalità e per luogo in cui avvengono le esecuzioni, proprio con ciascun antico elemento.

Ormai non ci sono dubbi: la particella di antimateria è tra le mura del Vaticano, lì da qualche parte. Che fare? Evacuare la città? E il conclave? 

Il camerlengo Ventresca capisce che quello che sta succedendo è qualcosa di troppo grande per la riservatezza consueta in cui sono avvolte le faccende vaticane. Attraverso l'aiuto di due intrepidi giornalisti, allora, lancia la sua sfida agli Illuminati in mondovisione.

Tra dritte contenute in testi custoditi nella Biblioteca del Vaticano, gli "Altari della Scienza" pronti a sacrificare i quattro cardinali, l'antico "Cammino dell'illuminazione" che ancora è percorribile nonostante gli inevitabili cambiamenti urbanistici della città, Robert e Vittoria troveranno la quadra.

A capo di questo folle e sanguinoso piano, ci sarà proprio l'uomo che s'immola per salvare la cristianità e la città di Roma. 

In un continuo susseguirsi di colpi di scena, dove ogni Verità verrà messa in discussione per poi assurgere a nuova Verità da demolire, l'esplosione dell'antimateria farà luce. E non solo nei cieli sopra Città del Vaticano.

 

mercoledì 23 ottobre 2024

"Delitto alla Scala", di Franco Pulcini (ed. La Biblioteca di Repubblica-L'Espresso)



L'Arianna di Claudio Monteverdi, la prima tragedia musicale della storia, è stata ritrovata. Ed è proprio quest'opera, notoriamente iettatoria, che ci si appresta a eseguire alla Prima della Scala, la famigerata serata mondana del 7 dicembre.

La direzione è affidata al maestro Oscar Marni, garanzia di sicuro successo.

Eppure le perplessità sull'originalità dell'opera, impregnata di refusi e di "tranelli" musicali, si fanno sempre più forti. Ciononostante il carrozzone del Teatro alla Scala (che lo scrittore Franco Pulcini conosce benissimo per averci lavorato come direttore editoriale), è ben avviato: Iris Guetta, la conturbante e misteriosa Arianna dell'opera, scalda l'ugola che ne dovrà eternare la fama; Olimpio Ferri, il colto e "impossibile" direttore artistico, vigila affinchè la struttura sia ben oliata per la Prima; il maestro De Masi si cimenta con successo nel mondare il testo dagli elementi spuri. Tutto bene, quindi, se non fosse che un mese prima del 7 dicembre, il direttore Oscar Marni viene ucciso. Sul terrazzo del teatro. Un colpo alla nuca. Due dita tagliate, il mignolo e l'indice, infilato l'uno nell'orecchio destro, l'altro nel sinistro.

A indagare è il commissario Abdul Calì, lombardo (molto) d'adozione. Ora, se la prevalenza degli aspetti somatici magrebini sugli italici non è stata mai troppo notata nella sua Sicilia, qui, a Milano...

Per gentile concessione della direzione, gli viene assegnata, con il compito di guidarlo nei meandri del teatro, la giovane Viola che gli diventerà ben presto preziosa: sarà proprio grazie a lei che il commissario Calì riuscirà a orientarsi in quel ginepraio di invidie, pettegolezzi, tradimenti e rivalità di cui è ricco il mondo dell'opera. Poi, certo, ci sarebbe l'attrazione tra due anime complementari...ma questo è un altro discorso.

Il giorno della Prima si avvicina e occorre un colpo di reni per assicurare l'assassino alla giustizia.

Dopo l'iniziale pista passionale (le dita nelle orecchie, conficcate dalla parte mozzata, non starebbero a simboleggiare le corna?) e quella economica (i soldi in ballo sono tanti, per tutto il caravanserraglio di figuri che si affannano attorno alla preziosa opera musicale), la chiave viene trovata nel movente professionale.

La grande musica, si sa, affraterna i popoli ma può, all'occorrenza, anche esacerbare gli animi al punto da spingerli a commettere delitti efferati. Bisogna maneggiarla con cura, la musica. Il rischio è quello che, per sublimarla, la si rovini irrimediabilmente. Proprio com'è successo al Fetonte del timpano del Teatro alla Scala, che per sancire la sua nascita divina (figlio di Elio), ha guidato maldestramente il carro del Sole fino a mettere a repentaglio la vita sulla terra.

mercoledì 7 dicembre 2022

Bellano a due passi da Vigata

 


Bellano, comune (reale) della provincia di Lecco, sponda orientale del lago di Como, profondo Nord.
Vigata, città (immaginaria) che si sfalda nel mare, sicuramente sicula, estremo Sud.
Come dire alfa e omega, il bianco e il nero. Eppure…eppure due scrittori si sono messi di buzzo buono e hanno costruito un ponte tra queste due località geograficamente agli antipodi. Con esiti, vedremo, sorprendenti.
Del maestro Camilleri, manco a parlarne. Per precetto biblico infatti, guai a nominare il nome di Dio invano, si sa.
Per quanto riguarda Andrea Vitali invece, parliamone, e anche tanto: medico condotto proprio a Bellano, per ironia della sorte si accorge ben presto di saper scrivere, e pure bene. Prima, però, di animare i polpastrelli e disperdere inchiostro su carta alla come viene viene, capisce che deve mettersi in ascolto. Di chi? O bella, dei mille e passa mutuati che ogni giorno, tra una ricetta medica e un dolorino che proprio non ne vuole sapere di passare, affollano il suo ambulatorio.
Sono voci del popolino, pettogolezzi delle comari, “non detti” di prevosti e confessionali, la placenta feconda che nutre la sua arte. A Bellano quindi, così come nella celeberrima Vigata.
Anche nella cittadina lecchese il movimento delle onde (del lago, beninteso, ma sempre di elemento acquoso si tratta) sembra cullare le ansie, i ritrovamenti e gli smarrimenti del popolino che si azzuffa, si fronteggia, si perdona, puntualmente invischiato in un sorriso di pregevole fattura.
Pure a Bellano le forze dell’ordine, nella fattispecie i carabinieri, spesso la fanno da padrona: certo, qui non c’è il baffuto commissario Montalbano (ben presto divenuto, nella trasposizione cinematografica, più o meno glabro e praticamente calvo) ma c’è il prolifico maresciallo Ernesto Maccadò, coadiuvato dal brigadiere Efisio Mannu e dall’appuntato Misfatti: sottoposti, questi ultimi, che proprio non si possono soffrire.
Financo i giorni torridi sembrano irradiare, pur alle opposte latitudini, zaffate di calore similari che tramortiscono i sensi. Simili, ok, ma non al punto da annullare le differenze tra i due scrittori che pur ci sono. Per esempio tra il vigatese pressochè inventato dal Maestro e l’italiano, per quanto spesso contaminato da una divertita territorialità, comunque ordinario; nella diversa concezione delle cose sacre, laddove per Camilleri la religione ha sempre un retrogusto di ipocrisia e negatività (“Monaci e parrini/sentici la missa/e stòccaci li rini”) mentre per il buon Vitali la Chiesa, con le sue ineffabili perpetue e i suoi risoluti parroci, fornisce spunti molto spesso costruttivi e decisivi per le varie vicende che si dipanano.
Un’altra differenza importante è che le storie dello scrittore lombardo sono ambientate esclusivamente negli anni '20 e '30  del secolo scorso (in pieno fascismo, quindi, che il buon Vitali non manca di scimmiottare).
Poi, a voler spaccare il capello in quattro, ci sarebbero i riferimenti letterari per il genio di Porto Empedocle e la frequente terminologia medica adoperata nelle pagine del Vitali; come anche la simpaticissima fissa di quest’ultimo per nomi del tutto desueti.
Per concludere, leggendo il Vitali, molto spesso mi trovo catapultato in quelle atmosfere fatte di piccole delazioni, di frasi smozzicate, di pettegolezzi alla buona, tipiche di un substrato meridionale.
Ma non è che, sotto sotto, il bellanese Andrea Vitali abbia qualche ascendenza terrona? E in effetti, se si pensa che il brigadiere Maccadò è calabrese mentre il Mannu e il Misfatti sono rispettivamente sardo e siciliano…
Com’è che stiano le cose tra Bellano e Vigata e i due Andrea (altra coincidenza!), che meraviglia le insolite corrispondenze della letteratura di qualità!

 

Il librivendolo pazzo di Polla

 


Ci sono diversi modi per incoraggiare la lettura, specie nei bambini. Lo si può fare scrivendo storie con accuratezza e onestà intellettuale; ma anche pubblicando libri ben scritti a prescindere dalla fama dello scrittore di turno, troppo spesso acquisita per altri meriti. Ci sarebbero poi le politiche messe in campo dai diversi livelli istituzionali (?), così come il ruolo imprenscindibile dei maestri e degli insegnanti. Poi ci sono i librai che, indipendenti o “griffati”, non si limitano a impilare libri nelle scansie, ma li cullano gelosamente in attesa del giusto destinatario.

Alla fine della catena o all’inzio, fate un po’ come vi pare, c’è…un pazzo. Sì, proprio così, un mentecatto che, inchiavardato nella sua “Ex libris cafè” di Polla, a distanza quindi siderale dagli snodi letterari che contano, non perde giorno che non se ne inventi una per raggiungere lo scopo: portare libri in ogni casa, alleggerire gli occhi (soprattutto dei bambini) dallo sproposito del display per affidarli agli svolazzi della carta stampata.

Pazzo sì, dieci, cento, mille volte pazzo, senz’ombra di dubbio.

Come altrimenti definire un librivendolo che, tra l’altro, ha ideato “Il libro sospeso” (2002) di Polla, Caggiano e Pertosa, il “Salva alberi” (2004), i “Viaggi con l’autore” (dal 2015 al 2017) sulle autolinee Curcio (più di trenta scrittori hanno presentato la loro opera on the road e sono stati ben 1760 i volumi donati ai passeggeri)?

Ancora qualche dubbio sulla follia che irradia dalle sinapsi del tizio in questione? E se vi dicessi che è stato l’inventore e il promotore della campagna “Non rifiutiamoci”? Di che si tratta? Semplice: per ogni bottiglia consegnata presso la sua libreria, in cambio un libro. A fronte di 8 quintali di alluminio e 8 di plastica, così, sono stati consegnati ben 5000 libri sospesi.

Nel 2019 l’iniziativa “Non Rifiutiamoci” è stata sostenuta da Enel  Green Power e, quest’anno, da Flavio Insinna con il suo libro “Il gatto del papa”, Rai Libri.

Ora, come ogni folle che si rispetti, da Astolfo che va sulla Luna a ricercare il Senno perduto all’hidalgo Don Chisciotte della Mancia che parte lancia in resta contro i mulini a vento, anche il Nostro non conosce limiti: la promozione della lettura senza se e senza ma sì, ma anche la tutela dell’ambiente.

Ah, per perorare oltremodo la tesi incontrovertibile della sua demenza irrecuperabile, ci sarebbero pure il “Miscellanea Mundi”, gioco letterario scritto dai bambini per i bambini, e il “Diario Non Rifiutiamoci” dove s’unisce l’utilità di un’agenda all’attenzione verso i pensieri dei bambini, puntualmente riportati in calce alle sue pagine.

Adesso che vi ho convinto circa lo squilibrio mentale del soggetto in epigrafe, posso rivelarvi anche il nome: signori e signore, ecco a voi Michele Gentile da Polla.

E poiché la pazzia è un affare contagioso specie per menti deboli, eccomi bello e infettato. Pur consapevole di non poter mai ammantarmi dello stigma esteriore della eccentricità di Michele (cascata ribelle di capelli ricci), mi propongo di aiutarlo a realizzare il suo ultimo deragliamento: la presentazione del “Diario Non Rifiutiamoci” – Rupe mutevole edizioni, anche nella città capoluogo.

Seduti a sorseggiare un caffè nell a sua “Ex Libris Cafè”, non perdiamo tempo: lui impugna il piffero “fabuloso” e io scimmiotto alla meno peggio la danza-richiamo:

Amanti della lettura di Salerno, e solo per questo incontrovertibilmente fuori di melone, unitevi a noi nella prossima, imminente presentazione del “Diario Non Rifiutiamoci” perché…"Insieme abbiamo attraversato la paura dell'impossibile, con una bottiglia, una lattina e un libro, e il mondo ci ha applauditi, elogiati, celebrati e premiati. Questo diario, con le voci di chi ha voluto condividerne il sogno, è la promessa di continuare a starvi vicino, a lottare insieme per un futuro migliore, c'è ancora tanto cammino da fare e tanti bambini da abbracciare... e regalargli un libro!" (Michele Gentile).

“Il pazzo è un sognatore sveglio”, Immanuel Kant.

 

giovedì 4 marzo 2021

L'ingegnera che sapeva scrivere

 


«No, Vince’, non è proprio possibile. Io domattina, la prima cosa che faccio, è chiederglielo.»

Il “domattina” per telefono è diventato l’“oggi” dell’udienza.

Provo a dissuaderlo per l’ultima volta, ripetendogli come non ci sia scritto da nessuna parte che un ingegnere non possa saper scrivere bene in italiano.

«Ancora, Vince’? Da che mondo è mondo,» - precisa uno stizzito Gaetano - «gli ingegneri, i chimici…sì, insomma, tutti i tecnici, fanno a cazzotti con la grammatica e la sintassi un giorno sì e l’altro e l’altro pure; a meno che…Ingegnere, mi scusi» - il tecnico in questione, nonostante la mascherina che le lascia una fisiologica zona d’ombra sul volto, si rivela di una conturbante avvenenza.

«…» - deglutisce Gaetano, provando ad approntare una qualche difesa a quella che mi appare fin da subito come “un cavallo, un gatto, un'ondata di mare nordico al sole”.

«Ingegnera, prego. Mi dica, avvocato.»

La baldanza di un minuto prima del mio amico-collega si aggroviglia, smarrendosi, nei riccioli neri dell’ingenera.

«No, mi chiedevo…e anche l’avvocato, qui…» - pavido, m’affretto a far oscillare il capo a destra e a sinistra come il miglior pendolo svizzero - «se lei non avesse frequentato il liceo classico prima della laurea in ingegneria. Sa, scrive davvero bene, e quindi…»

L’ingegnera ci guarda entrambi, e il suo sguardo è un sudario che depone sul nostro viso il calco della più becera banalità.

«No, non solo non ho frequentato il classico ma, e qui prevengo la vostra» - provo a dissociarmi dal mio amico, ma ormai non c’è più verso di farlo - «seconda domanda, nemmeno il liceo scientifico. Mi sono diplomata in un umile istituto tecnico per geometri.»

Gaetano la guarda sorpreso, ancora pensando di averle chiesto qualcosa che avrebbe dovuto lusingarla.

L’ingegnera, dal canto suo, guarda l’orologio. Capisce che ha una decina di minuti a disposizione prima che il giudice chiami la nostra causa. Li reputa sufficienti: «Dovete sapere» - ci spiega sorridendo - «che la separazione tra la cultura tecnico-scientifica e quella umanistica viene fatta risalire alla fine degli anni ’50 ad opera dello scrittore inglese Snow. Da quel momento in poi, in molti, in troppi di noi, si radica la convinzione… per farla breve,» - e qui ci guarda sinceramente persuasa dalla necessità di semplificare il discorso acciocché anche noi possiamo capire - «che i tecnici non sappiano scrivere e che gli “umanisti”, di converso, siano inabili al calcolo, alle misurazioni, etc. Eppure Primo Levi, che pur essendo un chimico, è stato definito unanimemente come il miglior scrittore di scienza di ogni tempo, ha parlato di un “crepaccio assurdo” con riferimento alla separazione tra la cultura scientifica e quella letteraria. Anzi, lo stesso Levi scrive che “l’arte di separare, pesare e distinguere” è essenziale per l’esercizio della scrittura. D’altronde, ancora Lui, e qui cito a memoria…» - temo, dall’ostilità con cui mi guarda Gaetano mentre l’ingegnera parla in maniera sempre più appassionata, che sospetti una mia “intelligenza col nemico” (l’avrei preavvertita circa la sua domanda sul classico?) - «“non la conoscevano (la distinzione tra cultura scientifica e quella tecnica) Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani, né i fisici esitanti sull’orlo dell’inconoscibile.”»

È il nostro turno. Gaetano, parte convenuta, davanti al giudice s’impappina su una cifra figlia di una divisione per nulla difficile.

«Avvocato,» - lo richiama il giudice, dopo essersi fatto un rapido calcolo mentale - «12500, vorrà dire.»

E prima che Gaetano possa accorgersi dell’errore e rettificare: «Signor Giudice,» - s’intromette l’ingegnera provocatoriamente comprensiva - «li scusi: purtroppo, entrambi hanno frequentato il classico.»

 

 

mercoledì 26 agosto 2020

"Il cane giallo", Georges Simenon

 


Siamo in pieno inverno. L’orologio si prepara a battere le 11. Un uomo, evidentemente brillo, esce dall’Hotel de l’Almiral. Sente l’esigenza di accendersi l’ultimo sigaro. Le folate di vento, però, puntualmente gli spengono un fiammifero dopo l’altro. L’unica è trovare riparo in un portoncino. All’improvviso, il fumatore vacilla, ed è già disteso con la testa nel rigagnolo fangoso. Unico testimone, a parte il doganiere che assiste alla scena da lontano, un cane giallo.

Pane per i denti per l’arguto Maigret.

L’indagine ha come fulcro l’Hotel de l’Almiral con il suo gruppetto di avventori abituali: il viceconsole di Danimarca Le Pommeret, il dottor Michoux, il giornalista Jean Servieres. Al netto delle professioni e delle cariche più o meno altisonanti, i frequentatori dell’Hotel de l’Almiral appartengono alla genia dei perdigiorno convinti di poter fare il bello e il cattivo tempo a Concarneau.

Quando fa ingresso per la prima volta all’hotel, Maigret scorge il cane giallo accucciato ai piedi di Emma, la cameriera del locale,  impigliata nelle meschinerie che spesso ingannano l’attesa del grande amore.

Maigret, nei pochi giorni di permanenza, assisterà, nell’ordine, a un tentativo di avvelenamento, a una scomparsa che si rivelerà una messinscena, a un altro avvelenamento, stavolta riuscito.

Sullo sfondo, le ire del sindaco alla ricerca di un colpevole “purchè sia”, la masnada di giornalisti che affollano le sale dell’Hotel de l’Almiral per informare dell’ultimo colpo di scena, la popolazione di Concarneau atterrita per quell’atmosfera mortifera che sembra aleggiare sulla città.

L’apparizione di un energumeno che ha le stimmate del colpevole, di una mamma pronta a fornire l’alibi al figlio, saranno ulteriori nodi, loro malgrado, della matassa che il buon Maigret saprà dipanare. E tutto ciò, facendo ricorso a quella sua metodologia di lavoro così poco ortodossa, fondata com’è sull’intuizione piuttosto che sulla deduzione.

“Arrivando qui,”- spiega sornione al giovane ispettore Leroy che rimane spiazzato dal suo modo di fare – “mi sono trovato davanti a una faccia che mi è piaciuta e non l’ho più mollata”.

Il compassato Maigret, ancora una volta, sembra prendersi gioco di tutti gli investigatori “scientifici” in grado di poter incastrare il colpevole con la sola disamina dell’usura del vestito che indossano.

Il giallo è risolto, facendo ricorso anche a una copertura che consente all’ “umano” Maigret di risarcire un amore per troppo tempo, e con troppa malvagità, avversato.