Diciamocela tutta, il Covid 19 continua a gettarci in uno stato di prostrazione profonda perché ha minato le nostre sicurezze. I progressi della ricerca, il benessere sociale, infatti, ci avevano persuasi che l’unico pericolo per la sopravvivenza dell’uomo potesse venire da un attacco esterno (guerre, terremoti, terrorismo). Questo non significa, beninteso, che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, non abbia dovuto fare i conti con qualche virus. Ricordo ancora con terrore, ad esempio, le lacrime di Pinuccio alla guida del Sì Piaggio trasportate dal vento nelle mie pupille che gli guardavano la schiena (“Sono perduto, mi ha mischiato sicuramente l’Aids!”). Eppure, dopo una prima fase irrazionale che materializzava untori a ogni angolo di strada, subentrava la consapevolezza che, evitando certi comportamenti a rischio, si era pressoché sicuri di scamparla: “Non mi drogo, non vado con gli omosessuali…a parte Giuseppina in odor di santità, non conosco altra donna, evito aghi e trasfusioni…”
Il Covid 19, invece, ci ha sorpresi nudi di fronte all’imponderabile. L’uomo occidentale, ormai relegata l’infezione pandemica a un contesto terzomondista, aveva ripreso a considerarsi arbitro unico e indiscusso della propria esistenza. Fino, appunto, alla nuova pandemia di cui, se solo avessimo avuto più memoria e maggiore senso pratico, avremmo dovuto prevederne l’arrivo e la possibilità che, una buona volta, sarebbe stata orfana del salvifico “rischio zero”. E già, perché è proprio questo il punto: al cospetto del Covid 19, non c’è sicurezza che tenga. Ognuno, per suo conto, può adottare tutte le precauzioni possibili come indossare la mascherina, limitare le uscite a quelle indispensabili, detergersi continuamente le mani, etc. Eppure, tutti questi comportamenti virtuosi, nessuno escluso, non ci garantiscono l’immunità. Basta, per capirci, soffermarci sulle mascherine. Moltissimi di noi la utilizzano male. Praticamente tutti, poi, indossano la stessa mascherina più tempo di quanto dovrebbero (4-6 ore). Quindi è sufficiente che qualcuno della nostra cerchia di contatti indispensabili la usi in maniera non ortodossa, per far andare a farsi friggere il fantomatico “rischio zero”. Se poi si passa alla detersione delle mani subito dopo aver toccato cose o superfici, la concreta impossibilità di farlo sempre, rende ancora più evidente quanto appena affermato.
All’università, il “principio di affidamento” mi aprì un mondo. Mi fece capire che malgrado tutte le cautele apprestate, ad esempio alla guida di un’automobile, per avere la “certezza” di evitare incidenti, bisogna giocoforza fare affidamento sulla uguale prudenza e rispetto del codice della strada da parte degli altri automobilisti. In altri termini, quindi, nemmeno nella vita di ogni giorno possiamo dipendere solo ed esclusivamente da noi stessi. Il che, a ben pensarci, è troppo spesso un bene.
Tornando alla nostra pandemia, dobbiamo adottare sicuramente le precauzioni prescritteci, e farlo in maniera corretta sia pure senza isterismi, ma dobbiamo anche liberarci dal cipiglio di “dalli all’untore” quando c’imbattiamo in un contagiato. A maggior ragione allorché la persona infetta sia stata, suo malgrado, solerte nel cercare di evitare ogni occasione di esposizione al virus.
Buona fortuna a tutti noi.