C'è un cadavere abbandonato nel Bioparco, il giardino zoologico della capitale. Ora, detta così la cosa, il ritrovamento sarebbe pur sempre da annoverare nella casistica in cui può incappare un funzionario di polizia. Se però il cadavere è quello di un uomo nudo decollato, la cui testa viene prima mangiata e poi vomitata dall'anaconda del rettilario, per il commissario Giovanni Buonvino si mette davvero male: il funzionario, infatti, è erpetofobico e, in quanto tale, prova un terrore atavico per qualsiasi tipologia di rettile.
Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi. (Italo Calvino)
venerdì 25 ottobre 2024
"C'è un cadavere al Bioparco", di Walter Veltroni (Feltrinelli-Marsilio)
C'è un cadavere abbandonato nel Bioparco, il giardino zoologico della capitale. Ora, detta così la cosa, il ritrovamento sarebbe pur sempre da annoverare nella casistica in cui può incappare un funzionario di polizia. Se però il cadavere è quello di un uomo nudo decollato, la cui testa viene prima mangiata e poi vomitata dall'anaconda del rettilario, per il commissario Giovanni Buonvino si mette davvero male: il funzionario, infatti, è erpetofobico e, in quanto tale, prova un terrore atavico per qualsiasi tipologia di rettile.
mercoledì 26 agosto 2020
"Il cane giallo", Georges Simenon
Siamo in pieno inverno. L’orologio si prepara a battere le 11. Un uomo, evidentemente brillo, esce dall’Hotel de l’Almiral. Sente l’esigenza di accendersi l’ultimo sigaro. Le folate di vento, però, puntualmente gli spengono un fiammifero dopo l’altro. L’unica è trovare riparo in un portoncino. All’improvviso, il fumatore vacilla, ed è già disteso con la testa nel rigagnolo fangoso. Unico testimone, a parte il doganiere che assiste alla scena da lontano, un cane giallo.
Pane per i denti per l’arguto Maigret.
L’indagine ha come fulcro l’Hotel de l’Almiral con il suo gruppetto di avventori abituali: il viceconsole di Danimarca Le Pommeret, il dottor Michoux, il giornalista Jean Servieres. Al netto delle professioni e delle cariche più o meno altisonanti, i frequentatori dell’Hotel de l’Almiral appartengono alla genia dei perdigiorno convinti di poter fare il bello e il cattivo tempo a Concarneau.
Quando fa ingresso per la prima volta all’hotel, Maigret scorge il cane giallo accucciato ai piedi di Emma, la cameriera del locale, impigliata nelle meschinerie che spesso ingannano l’attesa del grande amore.
Maigret, nei pochi giorni di permanenza, assisterà, nell’ordine, a un tentativo di avvelenamento, a una scomparsa che si rivelerà una messinscena, a un altro avvelenamento, stavolta riuscito.
Sullo sfondo, le ire del sindaco alla ricerca di un colpevole “purchè sia”, la masnada di giornalisti che affollano le sale dell’Hotel de l’Almiral per informare dell’ultimo colpo di scena, la popolazione di Concarneau atterrita per quell’atmosfera mortifera che sembra aleggiare sulla città.
L’apparizione di un energumeno che ha le stimmate del colpevole, di una mamma pronta a fornire l’alibi al figlio, saranno ulteriori nodi, loro malgrado, della matassa che il buon Maigret saprà dipanare. E tutto ciò, facendo ricorso a quella sua metodologia di lavoro così poco ortodossa, fondata com’è sull’intuizione piuttosto che sulla deduzione.
“Arrivando qui,”- spiega sornione al giovane ispettore Leroy che rimane spiazzato dal suo modo di fare – “mi sono trovato davanti a una faccia che mi è piaciuta e non l’ho più mollata”.
Il compassato Maigret, ancora una volta, sembra prendersi gioco di tutti gli investigatori “scientifici” in grado di poter incastrare il colpevole con la sola disamina dell’usura del vestito che indossano.
Il giallo è risolto, facendo ricorso anche a una copertura che consente all’ “umano” Maigret di risarcire un amore per troppo tempo, e con troppa malvagità, avversato.
giovedì 25 giugno 2020
La bambola che si taglia la pancia
Sì, la sensazione è proprio quella della bambina che sta per tagliarsi quel sovrappiù di pancia.
L’autore di quest’opera di street art è il corrosivo inSerra. È inutile che cerchiate di appioppare un volto all’artista. In pratica, nessuno sa chi sia. Per lui, parlano le opere, diffuse soprattutto nel salernitano.
L’ultima a far discutere, è stato il Gesù crocifisso a un hastag: manco a dirlo, immediatamente censurata.
La prima volta che ho posato lo sguardo sulla bambina del porticciolo, sono rimasto spiazzato: possibile che una mocciosetta possa già rifiutare il suo corpo? E restavo a guardarla mentre, conoscendo lo stile provocatorio e di denuncia di inSerra, riflettevo sulla nostra società in grado fin dall’infanzia di inculcare modelli.
E sì perché quelle forbici aperte sulla pancia della bambina interrogano spietatamente ognuno di noi. Ci mettono di fronte all’impresa titanica, vissuta giorno per giorno, di discostarci quanto meno possibile da tutto ciò che è regolare. La diversità, anche quando si concreta in un arricchimento, fa paura, diventa un fardello da immolare sull’altare della nostra serenità.
Si sta bene quando si è in sintonia con l’esteriorità del mondo, allorché si rientra nei parametri di ciò che è consueto.
Il “monstrum” latino era sia la diversità che incute repellenza (Polifemo) sia la differenza che cova il prodigioso (la pianta nata dal cadavere di Polidoro le cui foglioline, strappate da Enea, gocciolavano sangue).
In italiano, quando si parla di “mostro”, si allude quasi esclusivamente a qualcuno, a qualcosa a tal punto diverso dall’ordinario, da risultare inaccettabile per i nostri canoni. Proprio come, a ben vedere, il grasso di cui si vuole disfare la bambina di inSerra.
Del miracoloso, non c’è rimasto praticamente niente.
Il diverso, in soldoni, presuppone un volo troppo ardito per le nostre comode ali di cera.
martedì 9 giugno 2020
"Non so", di Lorenzo Licalzi
Ci sono dei libri che, in situazioni normali, non compreresti. Poi ti soffermi a leggere la quarta di copertina color Tex Willer, e scopri che tu e il protagonista avete in comune un’esperienza che merita approfondimenti. E così, senza nemmeno accorgertene, il libro di Lorenzo Licalzi diventa il tuo nuovo compagno di viaggio.
Mario Dominici, fin dalla fanciullezza vissuta in periferia, “sa di non sapere”. E di questo “non so” si fa scudo per approcciarsi alla vita.
Io faccio parte di quella percentuale minima di italiani che ai sondaggi risponde non so.
Michel, il suo amichetto immaginario, lui sì che sa come si affronta la realtà. E tutta la vicenda di Mario, dalle angheria infertegli dal disadattato Solinas (a volte ritornano!) fino al riconquistato rapporto con il piccolo Leonardo, può essere vista come la necessità, lui eterno Willy il Coyote, di acciuffare finalmente l’inafferrabile Beep Beep.
Dall’amore per la musica dell’adolescenza che lo porta a lavorare e a dormire in radio, alla necessità del viaggio on the road anche nelle condizioni più estreme.
E come non parlare, poi, dell’amore della sua vita, quella Giulia che, pur partendo da un retroterra socio-culturale assai distante dal suo, si spoglia delle sue sovrastrutture fino a rivelarsi l’incastro perfetto per l’immaturo Mario? Senza contare, infine, l’improvvisa paternità che costringerà il protagonista a fare finalmente i conti con la sua vera natura e a imporgli un corso accelerato di crescita. È un percorso iniziatico, il suo, che non potrà fare a meno delle cadute che il tragitto porta inevitabilmente con sé: il viaggio in Giappone per mettersi alla prova e osare di più rispetto al comodo posto in banca confezionatogli dal suocero. Ma qui, ecco apparire la conturbante e mistica Naoko che sembra uscita pari pari da un libro di Murakami e che probabilmente sarà decisiva per salvare la vita di Giulia.
Sarà vero che in un’altra vita è stata l’anima gemella di Mario?
Alla fine, tra la voglia di dare una sorellina a Leonardo, la ripresa di quel viaggio rimandato alla soglia delle responsabilità e un lavoro che è finalmente confacente alla passione del protagonista, Giulia e Mario sono, ora sì, consapevoli dell’indispensabilità dell’una per l’altro.
E il “non so” di Mario, da autentica indecisione, si trasformerà in un’invincibile arma politica (basterebbe questo per creare scompensi inimmaginabili alla cosiddetta società capitalistica avanzata).
Un libro giovane e fresco, questo di Licalzi, che incuriosisce e crea complicità tra scrittore e lettore; a tal punto da poterne trarre un film (i tempi cinematografici ci sono tutti) anche meno leggero di quelli che, di solito, vengono ispirati da opere del genere.
martedì 26 maggio 2020
"Regalo di nozze", di Andrea Vitali
Eccolo qui, Ercole Correnti. Ha ventinove anni, e tra qualche giorno pronuncerà il fatidico sì.
Frattanto s'affretta a raggiungere mamma Assunta per la consueta cena. Oddio, a esser sinceri, più che attratto dal desco non propriamente da gourmet (“sua madre ai fornelli non ci sapeva fare”), Ercole vuole arrivare in tempo per celebrare, come si conviene, la sua ultima domenica da scapolo.
Sul lungolago, però, all’improvviso una visione: una 600 bianca precisa’ntifica a quella di suo padre Amedeo. A un tempo, la prima e unica autovettura acquistata da suo padre e la prima e l’ultima che lo zio Pinuccio aveva guidato.
Già, lo zio Pinuccio!
Aveva trentott’anni ma ne dimostrava al massimo trenta. Cacciaballe impunito soprattutto “quando aveva sottomano qualche donna da circuire”, arbiter elegantiarum (“per me l’eleganza è tutto”), quella sera di vent’anni addietro se ne uscì con la proposta monstre: mentre la famiglia era impegnata nel rituale (“rito coordinato, quasi che dietro ci fosse una regia”) del gettare gli avanzi ai gatti del quartiere, infatti, dall’angolo delle proposte indicibili sgaiattolò fuori un:«Perché domani non ce ne andiamo a fare una bella gita al mare?»
Dopo un attimo di sconcerto, tra lo scuotere della testa della mamma “come per scacciar via delle mosche” e le braccia allargate del papà, il «sì» entusiasta del raggiante Ercole ebbe la meglio.
Anche lui avrebbe visto finalmente il mare.
La 600 bianca, dopo mille giri a vuoto, qualche conato di vomito del piccolo Ercole e le imprecazioni post strada immancabilmente sbagliata, porta la famiglia Correnti a destinazione. Manco il tempo di godere, trafelati e spossati, di quell’enorme distesa d’acqua, che una foto scattata solo per finta riporta Ercole, Amedeo, Assunta e Pinuccio nei circuiti delle piccole manie di provincia.
Una mancanza, fulminea, inaspettata (“Allo zio Pinuccio non bastò passare tutta la notte in veglia per comprendere che…era davvero morto”). Il tempo per elaborare il lutto, e la decisione inaspettata di sposarsi: "era giunta l’ora di mettere la testa a posto."
La 600 bianca, ancora lei, che assume le vesti del regalo di nozze per lo zio Pinuccio, ex “nato gagà”. Eppure le acque del lago, a volte, sanno essere davvero voraci. Una curva, un fuoripista, e le gesta dello zio Pinuccio vengono consegnate, armi e bagagli, alla leggenda di Bellano.
Di fronte alla mamma, alla vigilia del suo matrimonio, Ercole Correnti aggiunge l’ultimo tassello alle mirabilia dello zio Pinuccio: la leggendaria gita al mare di vent’anni addietro era stata architettata e posta in essere per sfuggire a un altro, di matrimonio; stavolta e per sempre, avvolto nelle nebbie dell’irrimediabilità. E purtuttavia, senza rancore, come dimostra quella foto che adesso Ercole si trova a rigirarsi, sorridente, tra le mani.
“Di fronte a uno che sa raccontare, che ha la felicità del racconto, ti senti grato” (A. Camilleri)