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giovedì 3 aprile 2025

"Garibaldi", di Denis Mack Smith (Mondadori)

    


    Quello che ermerge da questo libro, è il ritratto a tutto tondo di un essere "stra-ordinario". 

    Garibaldi marinaio innanzitutto, ma anche uomo dalle mille risorse e dai cento mestieri. Sempre a fianco (non di rado troppo ingenuamente) dell'ennesima parte di mondo implorante libertà e indipendenza, dal piccolo Rio Grande contro l'impero brasiliano, passando per l'Uruguay contro il generale argentino Rosas. E sì perchè per il nostro Peppino non c'è confine che tenga: qualsiasi lembo di terra che cerchi libertà, troverà, se lo vorrà, la sua spada pronta a difenderlo. E se anche la sua prediletta patria, alla quale ha immolato l'intera vita, dovesse sopprimere l'anelito di giustizia di un altro popolo, ebbene Garibaldi non avrebbe alcun dubbio: si schiererebbe addirittura contro il suo Paese, quasi senza battere ciglio.

    Quest'opera ben documentata, ci mostra Garibaldi intimamente repubblicano che, pur di "fare l'Italia", è pronto a sposare la causa sabauda. E il rapporto con Vittorio Emanuele, tranne che nell'ultimo periodo in cui il Nostro si sentirà tradito un po' da tutti (mai dal "proletariato" e dagli oppressi, però), sarà imperniato su una non scontata fiducia reciproca. D'altronde, uno come Garibaldi disposto anche a farsi usare (più o meno coscientemente) pur di raggiungere l'unità nazionale, fa estremamente comodo: se si vince, è merito del re; in caso di sconfitta, la colpa è di quell'estremista del nizzardo.

    Manco a dirlo, i rapporti con Camillo Benso Conte di Cavour sono ben più problematici: troppo distanti e incompatibili i caratteri tra i due uomini, così come estremamente diversi i sentimenti che li animano. Da una parte le sottigliezze e gli arzigogolii della politica, dall'altra le irruenze e le generosità dell'uomo del popolo. Per sottacere i rapporti con l'algido Mazzini, passati da un'entusiastica ammirazione a una sopportazione assai difficile.

    Poco tattico, indisciplinato, mediocre stratega, ma quando si tratta di puntare sulla velocità e sull'intuizione che esala dalla polvere dei campi (di battaglia), allorchè occorre virare sulla guerriglia anzichè sulle truppe schierate; e ancora, nell'attimo stesso in cui si è irrimediabilmente in minoranza e tutto sembra drammaticamente votato alla sconfitta, allora Garibaldi dà il meglio di sè, capace di vincere le battaglie anche prostrato dall'artrite che non gli dà requie.

    Idolatrato dalle folle, specie quelle più derelitte (ma non solo: si pensi all'accoglienza in Inghilterra da parte di oltre 500.000 persone), santificato già in vita (si specano le preghiere a Garibaldi e il numero di bambini che gli vengono protesi affinchè lui li battezzi), anticlericale convinto (propugnatore di una nuova religione), il Nostro non perde occasione anche di mostrarsi agricoltore: quando le vicende politiche lo disgustano (la qual cosa accade assai di frequente), ci sarà sempre la sua ostinata Caprera ad accoglierlo.

    Verso la fine dei suoi anni, Garibaldi, dopo essersi preso il gusto di accorrere a difesa della Francia ("ma di tutti i generali francesi Garibaldi è il solo che non sia stato sconfitto" - Victor Hugo), matura una concezione dittariale fintanto che la nazione non sarà di nuovo pronta per la repubblica. E come un dittatore dell'antica Roma allestisce la pira funebre, lì a Caprera. 

    Ancora una volta, però, la politica degli intrallazzi ha bisogno di capitalizzare il fenomeno Garibaldi: niente pira e funerali in pompa magna, a dispetto delle ultime volontà del Nostro.

    Di una genorosità estrema, disinteressato (tutte le testimonianze, pure dei suoi più acerrimi avversari, concordano sulla sua incorruttibilità), di una fibra assai forte che gli permetteva di resistere alle condizioni più estreme, Garibaldi ha da sempre popolato il mio immaginario. Dopo aver letto anche quest'opera sull'eroe nazionale, ancor di più.

    

giovedì 27 marzo 2025

"Io sono l'abisso", di Donato Carrisi, Tea edizioni

    



    Le acque limacciose del lago sono una presenza costante e inquietante in questa storia.
    C'è chi, come la "cacciatrice di mosche", ci ha provato ad allontanarsene, ma il richiamo torbido delle acque lacustri non tollera distanze; c'è poi la leggenda che vuole confinati nei suoi abissi furgoni portavalori con tutto il carico di soldi e di agenti vittime di rapina; infine, c'è un braccio "singolare" che viene ripescato dal lago e una ragazzina, appena adolescente, che cerca nelle sue lusinghe (mortifere) requie da un presente annichilente. A questo proposito, "L'uomo che pulisce", ostaggio di un passato squallido che lo segnerà (anche fisicamente) per tutta la vita, inaspettatamente decide che non può starsene a guardare. Lui che ha imparato a nuotare nella piscina fetida in cui la mamma l'ha spinto dopo avergli bucato i braccioli, porta in salvo la ragazzina.
    Improvvisamente, l' uomo che pulisce" rinuncia alla sua invisibilità. Perchè?
    Cosa penserà di questo cambiamento l'alter ego Micky che se ne sta dietro ogni porta verde della sua esistenza, pronto ancora a tiranneggiarlo e a punirlo? E ciò fin da quando, da piccolo, ha stretto la testa dell' "uomo che pulisce" in una morsa e gli ha lasciato due cicatrici sul capo a mo' di cerniere. 
    E la volta in cui Micky, sempre lui, gli ha maciullato ogni dente per ciascun sbaglio commesso, perchè la mamma Vera non si è ribellata, perchè non ha protetto il suo piccolino che in futuro avrebbe pulito? E se l' "uomo che pulisce" se lo porta ancora dietro, Micky, fino a sdoppiarsi in due personalità diverse e, per certi versi, antitetiche?
    Micky, però, gli fa comodo. È lui che gli impone periodicamente di mettersi in azione. E così dopo che, attraverso l'esame dei rifiuti, l' "uomo che pulisce" analizza le abitudini dell'attenzionata di turno (tutte bionde, di un'età vicina a quella di Vera), lascia la scena a Micky. 
    La "cacciatrice di mosche" ha già fiutato la pista. Intuisce, ancora prima di sapere, che dietro le sparizioni di alcune donne c'è un abisso (l'abisso!) di perversione e di abbandono. Ma lei, con il cuore straziato da Diego dietro le sbarre e il fantasma di Valentina sventrata sul letto degli avi, è l'unica in grado di arrivarci fino in fondo, in quell'abisso. E di provare, assieme alla tormentata Pamela, a evitare che possa inghiottire l'ennesima vita.
Per far questo, però, la "cacciatrice di mosche" dev'essere disposta a rivivere l'esperienza traumatizzante del male del mondo. Almeno fino a quando ci sarà l'ennesimo bambino a cui sarà negata ogni infanzia; l'ennesimo bambino a cui sarà permesso di diventare, nello stesso momento e nella stessa anima, "l'uomo che pulisce" e Micky, lo strumento e la mente della perversione. In definitiva, si sa: la mamma può amare, e solitamente lo fa. Ma non appena si discosta da questo sentimento assorbente, le è preclusa qualsiasi indifferenza, ogni sentimento neutro.
    Una mamma o ama o odia. Non c'è alternativa che tenga.
    Poche volte mi sono imbattuto in un libro che mi ha lasciato un senso di angoscia dalla prima all'ultima pagina come questo. Ma è un'angoscia lucida, propria delle grandi opere scandaglio di una realtà altra. Disperante. Eppur presente.

giovedì 13 marzo 2025

"Sua Eccellenza perde un pezzo", di Andrea Vitali (Garzanti edizioni)

    


    Soave Inticchi, segretario del sindacato dei panettieri di Como, vuole organizzare una gita in battello in quel di Bellano. L'occasione è la celebrazione dell'anniversario della fondazione di Roma.

    Manco a dirlo, basta quest'evento, apparentemente insignificante, a innescare una serie di dinamiche dagli esiti spiazzanti.

    Procediamo con ordine: Gualtiero Scaccola (e in seguito anche suo fratello Venerando), ribellandosi all'insegnamento paterno impartito a forza di calci nel culo, esce finalmente dalla sua panetteria e si getta "nel gomitolo di strade" del paese. E per la prima volta i suoi sensi vengono accesi dalla esternalità in fiore. A sublimazione di questa esperienza sconvolgente, s'imbatte alfine nella Garbati Venturina, e quindi nelle lusinghe dell'amore.

    Il podestà Mongatti capisce che la gita dei panettieri, se ben organizzata, può lavare l'onta di una Bellano tiepida, se non indifferente, alle suggestioni fasciste. E ciò almeno agli occhi del Federale Gariboldo Funicolati, personalità di spicco prontamente invitata all'evento.

    Il maresciallo Ernesto Maccadò, tra una giornata in famiglia sul lago necessariamente rimandata (per la felicità della signora Maristella) e la preoccupazione (più o meno fondata) per gli ormoni del carabiniere Beola, si trova ben presto a presenziare alla cerimonia e a rifiutare categoricamente la sua opera e quella dei suoi uomini: e sì perchè, passi il servizio d'ordine necessario a rintuzzare eventuali intemperanze della folla, ma la ricerca prima e la consegna poi addirittura di una dentiera...ebbene, questo proprio no.    

    E già, il cavallo di Troia che sconvolge i piani un po' di tutti, e addirittura fa calare un velo di pesantissimo silenzio su quella giornata che avrebbe dovuto essere memorabile, è proprio la protesi dentaria dell'impettito Federale.

    A sgaiattolare via dalla bocca di Sua Eccellenza, è sgaiattolata, non ci sono dubbi. L'hanno vista tutti, e soprattutto tutti hanno potuto verificare la bocca a culo di gaddrina del Federale ormai edentulo. Ma, ed è qui il mistero, dove sarà caduta? E soprattutto, chi l'ha trovata? E se il Federale dà ordine di rintracciarla a tutti i costi e sua moglie, invece, si raccomanda di non consegnarla anche qualora venisse ritrovata?

    La mattina, d'altronde, era iniziata col piede sbagliato: quello destro del podestà che, mentre si dirigeva alla messa grande con signora al seguito (preziosa, quest'ultima, con la lettura della Primula Rossa), aveva pestato una generosa merda. Eppure sarebbe bastato andarci con l'altro piede, quello sinistro nella cacca, per meritarsi una fortuna che avrebbe dato un corso diverso agli eventi.

    Poco male: Bellano, con la breva che accarezza le frange del lago, ancora una volta si fa incubatore fatato di una miriade di piccole, edificanti storie; prontamente raccolte, manco a dirlo, dalla magistrale penna di Andrea Vitali.

    "Abbiamo smesso di contare le volte in cui Andrea Vitali ha centrato il bersaglio incatenando il lettore ai suoi personaggi" (Bruno Gambarotta-La Stampa)

    

giovedì 20 febbraio 2025

"L'ipotesi del male", di Donato Carrisi, TEA edizioni

   


     Nel Limbo, la stanza 13 dell'obitorio di Stato, c'è il girone dei passi perduti dietro a un corpo improvvisamente scomparso.

    Dopo l'inquietante vicenda de Il Suggeritore, l'agente Mila Vasquez si è rintanata proprio nel Limbo, alla ricerca di una via di fuga dai propri demoni; presenze oscure e inquietanti, queste ultime, sempre pronte a esigere il contributo di tagli e lacerazioni che possano certificare la natura altra di Mila (Tu sei sua. Tu gli appartieni...).

    Eppure là fuori per il mondo, gli scomparsi sembrano essere ritornati; stavolta, però, per rimettere in qualche modo le cose al loro posto, secondo una logica del tutto singolare.

    Come un annichilente gioco dell'oca, si riparte dal Signore della Buonanotte, il regista occulto di una serie di sparizioni che si sono verificate negli anni addietro. E i punti di contatto tra gli scomparsi (condizioni di vita difficili, il sonnifero onnipresente un attimo prima di ogni "evaporazione", la camera 317 dell'Ambrus Hotel) sembrano riemergere dalle secche di un passato che troppo presto si è voluto dimenticare; anche, e forse soprattutto, da parte delle forze dell'ordine.

    Perchè?

    Frattanto la telecamera nascosta nella cameretta di Alice, se da un lato infonde a Mila un senso di sicurezza, dall'altro la interroga continuamente sulla sua corrotta maternità. E ci sono delle inadeguatezze che fanno avvertire il loro peso anche sulle indagini che l'agente sta portando avanti: che madre sarei se non conoscessi il nome della bambola preferita di mia figlia?

    Per l'appunto.

   Dopo l'ennesimo ritorno di persone inghiottite dal passato e risputate nell'attualità, Mila capisce di aver bisogno di lui: dell'agente Simon Berish, il reietto della polizia, che possiede le capacità e il bagaglio di esperienze giusto per dare un senso agli ultimi, onirici avvenimenti; e soprattutto per svelare chi si celi dietro il Signore della Buonanotte, o Kaiurus che dir si voglia.

    Per scoprirlo, occorrerà scendere negli inferi di una realtà parallela dove nulla è come sembra. E soprattutto, in una dimensione in cui sintonizzarsi sulle ataviche frequenze dell'ipotesi del male: il male compiuto per giungere a un bene che, a sua volta, genera inevitabilmente un altro male. Fino alla fine dei tempi e a una problematica redenzione. 

   

 



venerdì 7 febbraio 2025

"Il pittore di battaglie", di Arturo Pèrez-Reverte, Tropea edizioni (trad. R. Bovaia)

    


     In una torre di guardia abbarbicata sulla scogliera del Mediterraneo, l'ex fotoreporter di guerra Falques decide di averne abbastanza. Nonostante i trent'anni di professione sempre in prima linea, tra messe a fuoco, velocità di otturazione e diaframma, la fotografia non è in grado di dire più niente.

     Le "agghiaccianti simmetrie" degli scenari di guerra, da quelle dell'antichità fino a quelle dei giorni nostri, parlano un linguaggio che  l'obiettivo (necessariamente parziale) della macchina fotografica non riesce a cogliere nè a decifrare. Falques, allora, ricorre alla pittura: un affresco circolare lungo tutte le pareti della torre, in cui rappresentare il metodo e le nascoste nervature di ogni conflitto, di ciascun cataclisma.

    Chi l'ha detto, infatti, che le battaglie sono governate dal caos?
    Ritiratosi in una edificante solitudine, l'ex fotoreporter dipinge anche per dare consistenza agli spettri che hanno incrociato la sua esistenza. Tra i tanti, quello di Olvido Ferrara, la donna che un giorno ha deciso di seguirlo, lasciandosi dietro una vita di agi e di passerelle; la parte bella della sua anima che Falques, in una foto che non ha mai pubblicato, ha immortolato un secondo dopo l'esplosione della mina. Avrebbe forse potuto salvarla, ma Olvido ormai era già inesorabilmente lontana da lui. Come e perchè sopravviverle, sapendola magari felice con un altro?
    Dalle nebbie del passato riemerge Ivo Markovic. L'ex militare croato, la cui immagine in ritirata è stata catturata dall'obiettivo famelico di Falques, è venuto fin sulla torre per vedere, per capire, ma soprattutto per vendicarsi: con quella sua foto finita sui giornali, il pittore di battaglie gli ha indirettamente rovinato la vita; quella stessa vita che dopo la vicenda familiare occorsagli, ha investito unicamente nella sua ricerca. 
    Frattanto, l'inquietante affresco continua a impegnare le giornate di Falques, intervallate dalle discussioni e dal confronto con l'ospite inatteso. Eppure l'ex fotoreporter capisce, anche attraverso le riflessioni di Markovic, che non occorre affannarsi oltre: non c'è infatti, bisogno, di dipingere tutte le pareti della torre, perchè il senso della precarietà umana, le proiezioni e gli stilemi di ogni tragedia del mondo, sono già racchiusi nel lavoro portato avanti da Falques.
    Passano i giorni e Markovic si fa persuaso di una indiscutibile verità: non si può togliere il fio a chi è sostanzialmente un sopravvissuto.
    A Falques non resta altro, allora, che piazzarsi la moneta di Caronte  sotto la lingua, e nuotare verso la fine che gli è stata già assegnata.
    Dell'affresco, già crepato, si conserverà quello che il tempo deciderà di conservare.
    Quando (...) il lettore chiude il libro, si ritrova diverso, con il cuore gonfio, ma forse più pronto a vivere con intensità i suoi pochi minuti, ad attraversare con dignità l'indifferenza dell'Universo che lo circonda. (Bruno Arpaia, Il Sole 24 Ore)

giovedì 23 gennaio 2025

"Oscura e celeste", di Marco Malvaldi, Giunti editore

     


      Firenze, 1631. Il sagace Galileo Galilei, ormai giunto a un'età non più verde e con la vista che continua a perdere colpi, è in attesa di veder pubblicato il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Opera, quest'ultima, scritta in volgare per raggiungere il maggior numero di persone possibile: la scoperta che è il Sole al centro dell'universo e non la boria "aristotelica" del Santo Uffizio, deve avere vasta eco.

    La peste che dilaga sconsiglia gli spostamenti e lo scienziato ne approfitta: riesce a ottenere di stampare il Dialogo in città anzichè a Roma eludendo, così, i cavillosi controlli dell'Inquisizione. C'è un solo problema. Poichè la sua scrittura è alquanto incomprensibile, vi è la necessità di far ricopiare l'opera, prima di portarla dal tipografo, da persona fidata e soprattutto con una grafia aggraziata. E chi meglio di suor Maria Celeste, al secolo Virginia Galilei (sua figlia), potrebbe assolvere al compito? Certamente non suor Arcangela, l'altra figlia di Galileo parimenti rinchiusa nel convento di San Matteo in Arcetri, che a differenza della sorella e collega, ha preso i voti senza averne punto voglia.

    Eppure sul convento di San Matteo circolano voci poco edificanti che ci mettono un "biz" ad arrivare alle orecchie del Granduca Ferdinando: alcune sorelle, il cui lume resta acceso troppo a lungo durante la notte, "riceverebbero", i conti del convento, già miseri di per sè, non si riuscirebbero a far quadrare, e via di questo passo; fino a quando, del tutto inopinatamente, ci scappa il morto: suor Agnese, assai versata nelle scienze e di un'intelligenza fuor del comune, cade da una finestra. Caduta accidentale, suicidio od omicidio ad opera di qualcuno che l'ha spinta perchè è andata troppo oltre? E se sì, troppo oltre in quale campo?

    Il Granduca ci vuole vedere chiaro. Investe così Niccolò Cini, canonico della Chiesa metropolitana di Firenze e discepolo di Galilei, dell'ingrato compito di far luce sulla morte della suora. Manco a dirlo, lo scienziato-filosofo accompagnerà il canonico nei suoi interrogatori e, soprattutto, sarà lui che grazie all'acume e a una perspicacia proverbiali, scoprirà colpevole e movente. Perchè...come la luna ha una parte oscura, allo stesso modo l'animo umano ha degli abissi inesplorati di cupidigia e invidia difficilmente eguagliabili.

    Torna in azione il lungimirante Galilei di Marco Malvaldi, contornato da alcune figure (una per tutte, la domestica Piera..."la relazione di Galileo con la Piera era semplice: gli era impossibile stare senza la Piera, gli era impossibile stare con la Piera") di una vivacità spassosa.

giovedì 5 dicembre 2024

"Angeli e demoni" di Dan Brown (trad. A. Biavasco e V. Guani), Oscar Mondandori



Lo scienzato del CERN Leonardo Vetra assieme a sua figlia Vittoria, fanno una scoperta sensazionale: la leggendaria antimateria, con una capacità distruttiva ben superiore a quella dell'energia nucleare, può essere riprodotta in laboratorio. Eppure, nonostante le ricerche e gli esperimenti siano stati condotti nel più assoluto riserbo (nemmeno l'algido direttore del CERN, Maximilian Kohler, ne è a conoscenza), qualcuno sa: della scoperta e, soprattutto, dell'esistenza di duecentocinquanta milligrammi di campione di antimateria. E questo qualcuno ha bisogno in fretta di sfruttare questa scoperta rivoluzionaria. D'altronde, nel momento in cui è stato rimosso dal CERN, il cilindro di antimateria ha iniziato le sue ventiquattro ore di viaggio senza ritorno verso il nulla.

Una pista da seguire c'è: Leonardo Vetra viene trovato morto privato del bulbo oculare e, soprattutto, con una scritta a fuoco vivo stampata sul petto: Illuminati.

Possibile che la setta degli Illuminati sia tornata in auge dopo un oblio di parecchi secoli? E perchè gli adepti della scienza sempre in guerra contro i dogmi della Chiesa e i suoi officianti, avrebbero avuto interesse a uccidere barbaramente uno scienzato e a impossessarsi della particella di antimateria?

Frattanto a Roma, in seguito alla morte del Papa (morto di morte naturale?), si sta per riunire il conclave investito dell'elezione del nuovo pontefice. E i quattro maggiori papabili, non si presentano all'appuntamento. 

Sono scomparsi.

Robert Langdon viene incaricato dal direttore del CERN di trovare una spiegazione all'uccisione dello scienzato. E soprattutto a capire perchè il cilindro è stato sottratto dal laboratorio e dove si trovi adesso.

Lo studioso di simbologia e Vittoria, allora, sulle orme di alcuni grandi illuminati (Galileo Galilei e Gian Lorenzo Bernini su tutti), seguono delle tracce per risolvere il mistero. Come i sassolini di Pollicino disseminati da una mano mefistofelica lungo il percorso, le indagini di Robert e della scienziata s'imbattono nelle ripetute macabre uccisioni proprio dei quattro cardinali assenti dal conclave: sul corpo di ognuno di loro, un ambigramma, rispettivamente della Terra, dell'Aria, del Fuoco e dell'Acqua (i quattro antichi elementi della Scienza) e una morte in sintonia, per modalità e per luogo in cui avvengono le esecuzioni, proprio con ciascun antico elemento.

Ormai non ci sono dubbi: la particella di antimateria è tra le mura del Vaticano, lì da qualche parte. Che fare? Evacuare la città? E il conclave? 

Il camerlengo Ventresca capisce che quello che sta succedendo è qualcosa di troppo grande per la riservatezza consueta in cui sono avvolte le faccende vaticane. Attraverso l'aiuto di due intrepidi giornalisti, allora, lancia la sua sfida agli Illuminati in mondovisione.

Tra dritte contenute in testi custoditi nella Biblioteca del Vaticano, gli "Altari della Scienza" pronti a sacrificare i quattro cardinali, l'antico "Cammino dell'illuminazione" che ancora è percorribile nonostante gli inevitabili cambiamenti urbanistici della città, Robert e Vittoria troveranno la quadra.

A capo di questo folle e sanguinoso piano, ci sarà proprio l'uomo che s'immola per salvare la cristianità e la città di Roma. 

In un continuo susseguirsi di colpi di scena, dove ogni Verità verrà messa in discussione per poi assurgere a nuova Verità da demolire, l'esplosione dell'antimateria farà luce. E non solo nei cieli sopra Città del Vaticano.

 

venerdì 25 ottobre 2024

"C'è un cadavere al Bioparco", di Walter Veltroni (Feltrinelli-Marsilio)

    

    C'è un cadavere abbandonato nel Bioparco, il giardino zoologico della capitale. Ora, detta così la cosa, il ritrovamento sarebbe pur sempre da annoverare nella casistica in cui può incappare un funzionario di polizia. Se però il cadavere è quello di un uomo nudo decollato, la cui testa viene prima mangiata e poi vomitata dall'anaconda del rettilario, per il commissario Giovanni Buonvino si mette davvero male: il funzionario, infatti, è erpetofobico e, in quanto tale, prova un terrore atavico per qualsiasi tipologia di rettile.
    Ciononostante, occorre scoprire colpevole e movente. Come sempre.
   Le indagini serrate si intrecciano ai preparativi del suo matrimonio con l'agente Veronica Viganò che sarà celebrato in Campidoglio.
    Lui solo dopo che la sua Lavinia è andata via con Ludovica; lei altrettanto sola dopo che suo marito, collega, è stato ucciso dalla 'ndrangheta.
    Si sono incontrati e "si è accesa improvvisamente la luce".
  A officiare il matrimonio dei due, un preoccupatissimo Portanova che per evitare di incespicare nella sua vista ormai ridotta al lumicino, impara a memoria gli articoli del codice civile e la formula finale con la domanda agli sposi. E comunque, in caso di qualsiasi problema, c'è sempre l'agente Gozzi a venire in suo soccorso.
  Il commissario Buonvino è costretto a recarsi sul luogo del delitto e ad approfondire la tematica "rettili e affini" con, manco a dirlo, evidenti rivolgimenti di stomaco.
   L'indagine si rivela ben presto un rompicapo: la vittima è un estorsore dalle svariate personalità (e identità), ma anche una persona colta e magnetica. 
   I dirigenti del giardino zoologico, chi per un motivo chi per un altro, sembrano tutti al di sopra di ogni sospetto. Eppure, a un certo punto, proprio la mancanza (apparente) di prove aguzza l'acume del commissario Buonvino. Ed è allora che, tassello dopo tassello messo in fila con cura meticolosa, il funzionario si convince addirittura che troppe persone potrebbero aver voluto la morte di quell'uomo: come nell'Assassinio sull'Orient Express di Agatha Christie, ogni personaggio in commedia potrebbe aver collaborato con gli altri a quel raccapriccinate epilogo.
  Una persona che lavora al Bioparco, però, ha covato un odio troppo feroce per stemperarsi nel tempo che frattanto è trascorso. E, col sottofondo del Lago dei cigni fuoriuscito da uno dei tanti carillons presenti sulla scrivania...
  Il fatidico giorno è arrivato. L'emozione, anche per gli agenti del commissariato di Villa Borghese che hanno protetto quell'amore, è evidente.
  La cerimonia. 
  Portanova che immancabilmente sbaglia gli articoli del codice civile.   
  Giovanni e Veronica pregni di una felicità vera. 
 All'improvviso dei colpi. Faranno sicuramente parte dei festeggiamenti. E allora che c'entra con tutto questo il velo insanguinato e l'ultimo rantolo della sua compagna?
  Da lontano, il rombo di una motocicletta che scappa via.
  Chi è troppo felice fa invidia alle divinità.


    

mercoledì 23 ottobre 2024

"Delitto alla Scala", di Franco Pulcini (ed. La Biblioteca di Repubblica-L'Espresso)



L'Arianna di Claudio Monteverdi, la prima tragedia musicale della storia, è stata ritrovata. Ed è proprio quest'opera, notoriamente iettatoria, che ci si appresta a eseguire alla Prima della Scala, la famigerata serata mondana del 7 dicembre.

La direzione è affidata al maestro Oscar Marni, garanzia di sicuro successo.

Eppure le perplessità sull'originalità dell'opera, impregnata di refusi e di "tranelli" musicali, si fanno sempre più forti. Ciononostante il carrozzone del Teatro alla Scala (che lo scrittore Franco Pulcini conosce benissimo per averci lavorato come direttore editoriale), è ben avviato: Iris Guetta, la conturbante e misteriosa Arianna dell'opera, scalda l'ugola che ne dovrà eternare la fama; Olimpio Ferri, il colto e "impossibile" direttore artistico, vigila affinchè la struttura sia ben oliata per la Prima; il maestro De Masi si cimenta con successo nel mondare il testo dagli elementi spuri. Tutto bene, quindi, se non fosse che un mese prima del 7 dicembre, il direttore Oscar Marni viene ucciso. Sul terrazzo del teatro. Un colpo alla nuca. Due dita tagliate, il mignolo e l'indice, infilato l'uno nell'orecchio destro, l'altro nel sinistro.

A indagare è il commissario Abdul Calì, lombardo (molto) d'adozione. Ora, se la prevalenza degli aspetti somatici magrebini sugli italici non è stata mai troppo notata nella sua Sicilia, qui, a Milano...

Per gentile concessione della direzione, gli viene assegnata, con il compito di guidarlo nei meandri del teatro, la giovane Viola che gli diventerà ben presto preziosa: sarà proprio grazie a lei che il commissario Calì riuscirà a orientarsi in quel ginepraio di invidie, pettegolezzi, tradimenti e rivalità di cui è ricco il mondo dell'opera. Poi, certo, ci sarebbe l'attrazione tra due anime complementari...ma questo è un altro discorso.

Il giorno della Prima si avvicina e occorre un colpo di reni per assicurare l'assassino alla giustizia.

Dopo l'iniziale pista passionale (le dita nelle orecchie, conficcate dalla parte mozzata, non starebbero a simboleggiare le corna?) e quella economica (i soldi in ballo sono tanti, per tutto il caravanserraglio di figuri che si affannano attorno alla preziosa opera musicale), la chiave viene trovata nel movente professionale.

La grande musica, si sa, affraterna i popoli ma può, all'occorrenza, anche esacerbare gli animi al punto da spingerli a commettere delitti efferati. Bisogna maneggiarla con cura, la musica. Il rischio è quello che, per sublimarla, la si rovini irrimediabilmente. Proprio com'è successo al Fetonte del timpano del Teatro alla Scala, che per sancire la sua nascita divina (figlio di Elio), ha guidato maldestramente il carro del Sole fino a mettere a repentaglio la vita sulla terra.

mercoledì 26 agosto 2020

"Il cane giallo", Georges Simenon

 


Siamo in pieno inverno. L’orologio si prepara a battere le 11. Un uomo, evidentemente brillo, esce dall’Hotel de l’Almiral. Sente l’esigenza di accendersi l’ultimo sigaro. Le folate di vento, però, puntualmente gli spengono un fiammifero dopo l’altro. L’unica è trovare riparo in un portoncino. All’improvviso, il fumatore vacilla, ed è già disteso con la testa nel rigagnolo fangoso. Unico testimone, a parte il doganiere che assiste alla scena da lontano, un cane giallo.

Pane per i denti per l’arguto Maigret.

L’indagine ha come fulcro l’Hotel de l’Almiral con il suo gruppetto di avventori abituali: il viceconsole di Danimarca Le Pommeret, il dottor Michoux, il giornalista Jean Servieres. Al netto delle professioni e delle cariche più o meno altisonanti, i frequentatori dell’Hotel de l’Almiral appartengono alla genia dei perdigiorno convinti di poter fare il bello e il cattivo tempo a Concarneau.

Quando fa ingresso per la prima volta all’hotel, Maigret scorge il cane giallo accucciato ai piedi di Emma, la cameriera del locale,  impigliata nelle meschinerie che spesso ingannano l’attesa del grande amore.

Maigret, nei pochi giorni di permanenza, assisterà, nell’ordine, a un tentativo di avvelenamento, a una scomparsa che si rivelerà una messinscena, a un altro avvelenamento, stavolta riuscito.

Sullo sfondo, le ire del sindaco alla ricerca di un colpevole “purchè sia”, la masnada di giornalisti che affollano le sale dell’Hotel de l’Almiral per informare dell’ultimo colpo di scena, la popolazione di Concarneau atterrita per quell’atmosfera mortifera che sembra aleggiare sulla città.

L’apparizione di un energumeno che ha le stimmate del colpevole, di una mamma pronta a fornire l’alibi al figlio, saranno ulteriori nodi, loro malgrado, della matassa che il buon Maigret saprà dipanare. E tutto ciò, facendo ricorso a quella sua metodologia di lavoro così poco ortodossa, fondata com’è sull’intuizione piuttosto che sulla deduzione.

“Arrivando qui,”- spiega sornione al giovane ispettore Leroy che rimane spiazzato dal suo modo di fare – “mi sono trovato davanti a una faccia che mi è piaciuta e non l’ho più mollata”.

Il compassato Maigret, ancora una volta, sembra prendersi gioco di tutti gli investigatori “scientifici” in grado di poter incastrare il colpevole con la sola disamina dell’usura del vestito che indossano.

Il giallo è risolto, facendo ricorso anche a una copertura che consente all’ “umano” Maigret di risarcire un amore per troppo tempo, e con troppa malvagità, avversato.

 

 

giovedì 25 giugno 2020

La bambola che si taglia la pancia


A Pastena, all’inizio del muro che mena dritto al porticciolo, c’è un’opera d’arte. Il soggetto raffigurato è una bambina. Se ne sta seduta, con i capelli lunghi e lo sguardo serioso, mentre con la mano sinistra impugna le forbici. Con la mano destra, invece, agguanta un rigurgito di ciccia che viene prontamente catturato dalle due lame.
Sì, la sensazione è proprio quella della bambina che sta per tagliarsi quel sovrappiù di pancia.
L’autore di quest’opera di street art è il corrosivo inSerra. È inutile che cerchiate di appioppare un volto all’artista. In pratica, nessuno sa chi sia. Per lui, parlano le opere, diffuse soprattutto nel salernitano.
L’ultima a far discutere, è stato il Gesù crocifisso a un hastag: manco a dirlo, immediatamente censurata.
La prima volta che ho posato lo sguardo sulla bambina del porticciolo, sono rimasto spiazzato: possibile che una mocciosetta possa già rifiutare il suo corpo? E restavo a guardarla mentre, conoscendo lo stile provocatorio e di denuncia di inSerra, riflettevo sulla nostra società in grado fin dall’infanzia di inculcare modelli.
E sì perché quelle forbici aperte sulla pancia della bambina interrogano spietatamente ognuno di noi. Ci mettono di fronte all’impresa titanica, vissuta giorno per giorno, di discostarci quanto meno possibile da tutto ciò che è regolare. La diversità, anche quando si concreta in un arricchimento, fa paura, diventa un fardello da immolare sull’altare della nostra serenità.
Si sta bene quando si è in sintonia con l’esteriorità del mondo, allorché si rientra nei parametri di ciò che è consueto.
Il “monstrum” latino era sia la diversità che incute repellenza (Polifemo) sia la differenza che cova il prodigioso (la pianta nata dal cadavere di Polidoro le cui foglioline, strappate da Enea, gocciolavano sangue).
In italiano, quando si parla di “mostro”, si allude quasi esclusivamente a qualcuno, a qualcosa a tal punto diverso dall’ordinario, da risultare inaccettabile per i nostri canoni. Proprio come, a ben vedere, il grasso di cui si vuole disfare la bambina di inSerra.
Del miracoloso, non c’è rimasto praticamente niente.
Il diverso, in soldoni, presuppone un volo troppo ardito per le nostre comode ali di cera.

martedì 9 giugno 2020

"Non so", di Lorenzo Licalzi


Ci sono dei libri che, in situazioni normali, non compreresti. Poi ti soffermi a leggere la quarta di copertina color Tex Willer, e scopri che tu e il protagonista avete in comune un’esperienza che merita approfondimenti. E così, senza nemmeno accorgertene, il libro di Lorenzo Licalzi diventa il tuo nuovo compagno di viaggio.

Mario Dominici, fin dalla fanciullezza vissuta in periferia, “sa di non sapere”. E di questo “non so” si fa scudo per approcciarsi alla vita.

Io faccio parte di quella percentuale minima di italiani che ai sondaggi risponde non so.

Michel, il suo amichetto immaginario, lui sì che sa come si affronta la realtà. E tutta la vicenda di Mario, dalle angheria infertegli dal disadattato Solinas (a volte ritornano!) fino al riconquistato rapporto con il piccolo Leonardo, può essere vista come la necessità, lui eterno Willy il Coyote, di acciuffare finalmente l’inafferrabile Beep Beep.

Dall’amore per la musica dell’adolescenza che lo porta a lavorare e a dormire in radio, alla necessità del viaggio on the road anche nelle condizioni più estreme.

E come non parlare, poi, dell’amore della sua vita, quella Giulia che, pur partendo da un retroterra socio-culturale assai distante dal suo, si spoglia delle sue sovrastrutture fino a rivelarsi l’incastro perfetto per l’immaturo Mario? Senza contare, infine, l’improvvisa paternità che costringerà il protagonista a fare finalmente i conti con la sua vera natura e a imporgli un corso accelerato di crescita. È un percorso iniziatico, il suo, che non potrà fare a meno delle cadute che il tragitto porta inevitabilmente con sé: il viaggio in Giappone per mettersi alla prova e osare di più rispetto al comodo posto in banca confezionatogli dal suocero. Ma qui, ecco apparire la conturbante e mistica Naoko che sembra uscita pari pari da un libro di Murakami e che probabilmente sarà decisiva per salvare la vita di Giulia.

Sarà vero che in un’altra vita è stata l’anima gemella di Mario?

Alla fine, tra la voglia di dare una sorellina a Leonardo, la ripresa di quel viaggio rimandato alla soglia delle responsabilità e un lavoro che è finalmente confacente alla passione del protagonista, Giulia e Mario sono, ora sì, consapevoli dell’indispensabilità dell’una per l’altro.

E il “non so” di Mario, da autentica indecisione, si trasformerà in un’invincibile arma politica  (basterebbe questo per creare scompensi inimmaginabili alla cosiddetta società capitalistica avanzata).

Un libro giovane e fresco, questo di Licalzi, che incuriosisce e crea complicità tra scrittore e lettore; a tal punto da poterne trarre un film (i tempi cinematografici ci sono tutti) anche meno leggero di quelli che, di solito, vengono ispirati da opere del genere.