giovedì 30 luglio 2020

La capsula del congedo

Prendersi un

Tanto che a volte, quando ci troviamo al cospetto di chi ci dice che non prende caffè, restiamo contrariati per lo scarso acume dell’interlocutore che rifiuta la nostra offerta-richiesta di tempo.

Che dietro il caffè ci fosse innanzitutto un pretesto per la discussione, il confronto, lo dimostra anche la volontà di Pietro Verri di chiamare il suo periodico proprio così, “Il Caffè”, per l’appunto.

Bene. Se tutto questo è vero, è altrettanto vero che se m’inviti a casa tua e anziché servirti della moka con i suoi canonici cinque minuti “mentre esce il caffè”, fai ricorso alle capsule istantanee, probabilmente non hai tempo/voglia da dedicarmi nonostante l’invito.

Vuoi mettere l’attesa del borbottio della caffettiera riempita da premesse di confronto con l’ “ecco qua” di una bevanda che prima di essere pensata già è pronta per il consumo?

“Tutta n’ata storia”, direbbe il rimpianto Pino Daniele.

Senza contare che il caffè preparato con capsule, nell’ordine: contiene una dose 5-10 volte più elevata del tossico e cancerogeno furano; molto probabilmente è contaminato da metalli pesanti e diossina; costi molto di più di quello preparato tradizionalmente; contiene 5-7 grammi di caffè e rilascia nell’ambiente ben 3 grammi di packaging a base di alluminio e/o plastica; favorisce, nelle zone tropicali, l’abbattimento delle foreste per l’accaparramento della bauxite, il minerale da cui si ricava l’alluminio per le capsule.

Sia chiaro, anch’io ho una macchinetta del caffè a capsule. Il fatto poi che mi sia stata regalata, attenua solo parzialmente la mia colpa. E sì perché pure io, a volte, la uso: quando il caffè che voglio è di quelli contestatori che non ammettono nessuna compagnia (sempre, però, con capsule compostabili) e quando mi tocca offrirlo a uno dei tanti ragionieri Casoria (Totò docet) che ti spillano soldi o ti rubano tempo.

L’ “Ecco qua” della capsula, allora, viene ad essere un invito trendy a togliersi dai cabasisi.

 

Il mare risarcito

L’ultimo bagno nel mare di Salerno, l’ho fatto a diciassette anni. Poi l’avvistamento di una blatta che ratta s’infratta nel chiavicone insieme al ferro arruginito che per poco non mi “spertusava” il piede, mi hanno fatto esclamare: “Mai più!”; non prima, ovviamente, di aver mandato giù un bestemmione che solo la distrazione del buon Dio mi ha impedito di espiare con la dannazione eterna.

Da qual momento, ho preferito la faticosa qualità alla comoda quantità: piuttosto che andare al mare tutti i giorni e scialarmela tra

Se a tutto questo ci aggiungi la nervatura che inevitabilmente monta per il viaggio in queste condizioni e il

Sabato scorso, però, “ e che cazzo!”, e giù l’ennesimo bestemmione (ancora una volta il buon Dio, per consentirmi di riportare il motivo di tanta rabbia, dev’essersi distratto): dopo il bagno ricco di tutte gli appesantimenti di cui sopra, nessuno escluso, mi dirigo, stanco ma soddisfatto, alla macchina. Mi blocco:

No, stavolta no, non ho bestemmiato. La mia lucida incazzatura ha scatenato il mio indomito diritto: agirò contro l’

Non esiste una

Il risarcimento

Vuoi mettere la soddisfazione di ricongiungersi con il proprio mare, finalmente pulito e ospitale, dopo ben ventisei anni di allontanamento?

giovedì 9 luglio 2020

Caro Dante...


Caro Dante,
probabilmente non ti ricorderai di me. Ci siamo incontrati in qualche manifestazione sicuramente non ascrivibile alla destra salernitana.
A volte capita, sai?
Ti confesso, ora per allora, che pur non amando l’attivismo a favor di telecamera, riconoscevo in te una ventata di novità. Non che mi convincessi pienamente, questo no, ma almeno guardavo con favore all’intraprendenza un po’ gigionesca ma efficace che ti contraddistingueva. E, ti dirò, ho continuato a seguirti anche in alcune iniziative che andavano nel solco di quella politica sociale di cui il nostro territorio ha un disperato bisogno (“Ripuliamo Salerno”, “ La casa del diritto alla salute”, “Le piazze del cuore”, etc.).
Poi, qualche settimana fa, la notizia che per combattere “il sistema neofeudale dei De Luca” e “il familismo amorale del Governatore in carica”, hai deciso di varcare il Rubicone: ti sei arruolato armi e bagagli nel centrodestra dell’ex Governatore Caldoro il cui consiglio regionale aveva 57 consiglieri su 60 indagati per “rimborsopoli”.
Non proprio una mossa geniale, direi.
Caro Dante, che dirti? Benvenuto nel carrozzone della “politica politicante”, di quella, cioè, capace di trasformare anche il “fiato sul collo” delle migliori intenzioni, nel vento in poppa dell’affermazione personale.
D’altro canto il tuo ragionamento è a tal punto ovvio, da far impallidire perfino il signore De La Palice. Hai sperato fino all’ultimo che De Magistris si candidasse alla Presidenza della regione. Quando ormai era chiaro che l’ex Pm non sarebbe sceso in lizza, l’unica alternativa che ti si presentava era la seguente: o schierarti con una costituenda lista di sinistra, o farti tentare dalle sirene salvo-meloniane.
Laddove non poté la coerenza, poté il calcolo politico: la forza del centrodestra, pur non in grado, con molta probabilità, di far eleggere Caldoro, riuscirà senza troppi patemi a farti guadagnare la consiliatura.
Caro Dante, la tua conseguenzialità non fa una piega. Una sola obiezione: c’è un popolo, quello della sinistra, che pur troppo spesso disastrato, vituperato, stanco di leccarsi ferite che non sempre si è inferto da solo, ha un orgoglio, una dignità che non può essere calpestata nemmeno, come nel caso che ti riguarda, “a tua insaputa”.
“Onore e rispetto”, come amate dire voi di destra, per la storia di queste donne e di questi uomini.
Si narra che il filosofo Democrito scelse Protagora come suo discepolo per l’abilità con cui quest’ultimo caricava la legna sul dorso di un mulo. Ebbene, caro Dante, parte della tua legna è stata affastellata con giudizio e abnegazione. C’è solo un problema: hai sbagliato clamorosamente il mulo sul quale caricarla.

giovedì 2 luglio 2020

La pianta sulla sabbia


Ogni anno, il mio primo mare è frutto di un contatto; del corpo con l’acqua, sicuramente, ma ancor prima e più attentamente, dei piedi con la sabbia. Tutte le volte, infatti, che mi tolgo le ciabatte e poggio la pianta dei piedi sulla battigia, è come se riannodassi le fila della scorsa estate con quella che mi accingo a vivere.

È un sintonizzarsi con le nervature profonde  di un elemento misto, metà terragno metà acquatico, che mi riconcilia con le mie quarantadue stagioni precedenti. E sì, ci sono proprio tutte: da quella dimenticata eppur presente in qualche piega di memoria dei piedini conficcati nella sabbia con l’ostinazione di chi non vuole abbandonarsi all’ignoto, a quella ansiogena e comunque allettante dell’adolescente in attesa degli orali che gli confezioneranno la maschera da portare a zonzo nella società; passando, irrimediabilmente, per la stagione di qualche mancanza che mi accompagnerà per tutta la vita, fino ad arrivare a quella in cui l’io si espande a ricomprendere un’alterità di cui non potrò più fare a meno.

Stamattina, il mio piede sulla battigia del primo mare, mi riconnette con le speranze, le nostalgie e quel senso di spaesamento che hanno connaturato i miei anni. Quando, dopo un minuto speso a giustificare con le scuse più bislacche il mio rimanermene piantato lì, sulla linea di confine tra la sabbia e il mare, mi decido finalmente a consegnarmi alle onde, i piedi hanno già rotto il ghiaccio con quell’elemento ogni anno diverso, eppure sostanzialmente identico a quello dell’anno precedente e all’altro ancora prima, fino all’origine del mondo.

Il mare, il cui respiro millenario un piede allenato può già avvertire dalla sabbia che lo introduce, ci aspetta sornione anche quest’estate: conosce le asperità del  nostro corpo, e ancor più gli aneliti e gli abissi delle nostre anime. Niente paura: non esiste una pianta così sensibile da avvertirli né una sabbia a tal punto ciarliera da spiattellarli in giro.