mercoledì 23 ottobre 2024

"Maigret e il caso Saint-Fiacre", di Georges Simenon (trad. Rosalba Buccianti)

Il commissario Maigret è a Moulins. Probabilmente, se si fosse trattato di un altro luogo, non ci sarebbe neppure andato.

Come infatti prestare fede a quel foglio di carta quadrettata comparso all'improvviso negli uffici del quai des Orfèvres?

Vi informo che sarà commesso un delitto nella chiesa di Saint-Fiacre durante la prima messa del Giorno dei Defunti.

Il castello di Saint-Fiacre che il padre del commissario aveva amministrato.

La contessa che agli occhi del piccolo Maigret rifulgiva di un alone di inarrivabilità.

Il prestigio della casata che sembrava inscalfibile dagli eventi.

Il commissario adesso respira, amareggiato, l'area di decadenza che sembra avvolgere tutto e tutti: il castello, ipotecato fin nelle suppellettili; la contessa di Sant-Fiacre, che cambia segretari su segretari, tutti giovani, tutti scioperati, e nei confronti dei quali il chiacchericcio pruriginoso continua imperterrito.

Alla fine della funzione religiosa, tra un gelo che avvolge ogni pagina del romanzo, effettivamente si verifica quello che è stato preannunciato nel bigliettino anonimo: la contessa muore, davanti al messale squadernato: un ritaglio di giornale (vero?) che qualche mano infida fa scivolare tra un'orazione e una preghiera, riporta la notizia del suicidio di suo figlio, Maurice di Saint-Fiacre.

Il colpo è di quelli ferali.

Frattanto il figlio della contessa, che aveva chiesto alla mamma l'ennesimo prestito per evitare un disdicevole arresto, giunge al castello.

Maigret, com'è sua abitudine, studia i vari personaggi che si trova di fronte: Maurice di Saint-Fiacre, per sua stessa ammissione scapestrato e buono a nulla, eppure con una lealtà di fondo difficile da decifrare; l'attuale amministratore, signor Gautier e il di lui figlio, Emile, impiegato in una banca, che non perdono occasione per rimarcare le difficoltà economiche in cui versano le finanze del castello e della famiglia Saint-Fiacre; il curato, con gli occhi ebbri di una denuncia silente verso i costumi corrotti del tempo; il dottor Bouchardon, che sembra non rassegnarsi all'idea di una morte innaturale.

La sala del castello illuminata dalle sporadiche candele e innaffiata da vino e liquori, è qui. I protagonisti di questa oscura vicenda, Maigret compreso, sono tutti seduti all'imponente tavolo. D'altronde, per ammissione dello stesso Maurice di Saint-Fiacre, "prima della mezzanotte, l'assassino di mia madre sarà morto!".

Al centro del tavolo, a una distanza equanime dai convitati, una pistola che armerà il destino.

Nella sala di sopra, dove non c'è nessuno a vegliare la salma della defunta, a mezzanotte si ode uno sparo: la rivelazione, indiretta e contorta, del vero colpevole per la morte della contessa.

Uno stanco Maigret che forse per la prima volta si è limitato a osservare gli eventi senza indirizzarli in maniera decisiva verso un approdo o l'altro, ha il tempo comunque di intervenire: a seconda della verità che sarebbe trapelata, infatti, ha capito che la versione del piccolo Ernst, il chierichetto nelle vesti del quale era stato nascosto il messale incriminato, sarebbe cambiata. Manco a dirlo, per far ricadere la colpa sull'uno o sull'altro.

Nulla è quello che sembra. O davvero molto poco.

Ancora una volta, un Simenon magistrale.

10 e non più di 10# 14

«Ma ecco un probabile testimone. Cos'ha visto, lei?»

«Io? Niente. Appena sono iniziate le prime schermaglie, mi sono andato a cambiare d'abito»

«Cioè? Non capisco»

«Mi sono vestito bene per essere intervistato da lei. Io sono condannato a mettermi in tiro. Così come a farmi la barba. Sempre».

«O bella, e perchè?»

«Perchè sono nero. Se fossi stato trasandato, altro che intervista! Lei avrebbe evitato l'immigrato che giocoforza è in me. O mi avrebbe rivestito del cono d'ombra dell'irrilevanza»

"Non avevo capito niente", di Diego De Silva

Eccolo qui, l'avv. Vincenzo Malinconico, che nelle sue peregrinazioni tra lo studio ikea di 18 metri quadri e il tribunale delle sempiterne "coreografie del diritto", prova a mettersi a fuoco. E magari ci riuscirebbe pure, se non fosse per la professione inflazionata peggio che l'umarell al cantiere, o per l'amore che non c'è, e quindi provi a fartene una ragione, ma che improvvisamente ritorna e ti imballa il sistema. E sì perchè tra l'assenza e il ritorno del despota del cuore, c'è quell'Alessandra Persiano, star incontrastrata nei palazzi di giustizia, che sembra aspettare proprio un tipo scombinato come il Malinconico.

Ci sarà qualcosa tra i due e, soprattutto, durerà?

Altro giro, altra corsa: il Borsone, con l'edificante ruolo di smembratore di corpi con conseguente seppellitura di arti (distanziati in maniera tale che un piede se ne stia abbastanza lontano da un braccio per evitare collegamenti), si perde una mano. Quest'ultima, guardacaso, viene rinvenuta nel suo giardino: il cane gli ha fatto il servizio. Al Borsone, ovvio.

Malinconico lo viene ben presto a sapere: sarà lui il principe del foro che dovrà difendere il macellaio della camorra. Tutto bene, a parte il fatto che lui, il codice penale, lo deve andare a riesumare da un metro di polvere e più dei brogliacci dell'università.

Il Borsone viene brillantemente scarcerato e, come corollario a questo trionfo, il Nostro si vede assegnato l'efficentissimo Tricarico col ruolo di guardiaspalle, accompagnatore e, all'occorrenza, codificatore del linguaggio della mala: un camorrista "bravo guaglione", il Tricarico, che risolve l'annosa pratica volpino scassacazzi confinato nella stanza adiacente a quella dello studio legale: modi spiccioli, ma con un grado di efficienza altissimo.

E se il segreto di una vita quieta fosse proprio quello di agire unicamente per raggiungere il risultato, a prescindere quindi dalle metodologie adoperate e dai deprecabili effetti collaterali?

Tra elucubrazioni varie, alzate di ingegno, miserie che costellano la professione forense, figli "liquidi" che sembrano si mettano di buzzo buono a creare grattacapi; e ancora, tra strizzacervelli che non hanno le idee chiare (!), tipi gentili che scollinano nella follia, l'Eugenio Finardi che faceva il rockettaro quando gli altri cantautori rifilavano pipponi di testo (molto) e musica (poca), all'avvocato Vincenzo Malinconico non resta, per sopravvivere, che trincerarsi dietro il "non avevo capito niente" del titolo.

Vi sembra poco? A me, e ai tanti lettori del sagace De Silva, no. Decisamente no.

10 e non più di 10 #13

Aspetto le mie pizze.

La ragazza alla cassa scudiscia ordinazioni e incamera soldi.

Alle sue spalle, occhi tristi di un'altra ragazza impilano cartoni.

Entra una comitiva di inglesi.

Le dita sui cartoni fremono di riscatto.

La ragazza della cassa è costretta a rinculare.

Chi era alle spalle ora è di fronte.

I desideri stranieri vengono codificati.

La comitiva inglese va via.

La ripristinata retrovia culla una consapevolezza nuova

"Il contesto", di Leonardo Sciascia

In un Paese dalla connotazione indefinita, ma che ben potrebbe essere l'Italia, si susseguono una serie di omicidi illustri, tutti riguardanti giudici.

Le indagini vengono affidate all'ispettore Rogas, "il più acuto investigatore di cui disponesse la Polizia, secondo i giornali; il più fortunato, a giudizio dei colleghi".

Rogas, il "quasi letterato" incline alla speculazione filosofica, valido conoscitore della psiche umana che gli consente, tra l'altro, di averne "uno (di ristoranti, ndr) per ogni giorno della settimana, sette dunque che lo consideravano buon cliente ma non affidato e stabilizzato al punto di poterlo trattar male", mette insieme i vari tasselli dell'indagine.

L'ispettore infatti, mano a mano che le toghe cadono, si fa sempre più persuaso che l'omicida si annidi tra le pieghe di qualche errore giudiziario che inevitabilmente, prima o poi, viene a contaminare l'operato dei giudici.

E la ricerca dà ben presto i suoi frutti: un farmacista, tal Cres, accusato dalla moglie di tentato avvelenamento sventato, all'ultimo secondo, dalla provvidenziale ingordigia del gatto domestico.

Dopo la condanna a cinque anni, l'accusatrice scompare nel nulla. E quando Rogas otterrà il mandato per perquisire la casa del farmacista nel frattempo anche lui datosi alla macchia, non troverà nessuna foto che possa cristallizzare un brandello di biografia.

Sta di fatto che non appena l'ispettore scopre una valida pista da seguire, gli viene affiancato un collega della sezione politica che si orienta decisamente, con il placet delle istituzioni, verso uno dei tanti "gruppuscoli" sovversivi infestanti la città. La loro firma starà dietro il rosario di morti eccellenti.

Rogas però ha un'altra spiegazione e si orienta verso altri colpevoli (diretti e indiretti): racconta a Cusan, amico e scrittore impegnato, lo scenario fosco, incrostrato da collusioni a tutti i livelli, che si sta profilando all'orizzonte. L'unica è parlarne con Amar, il capo del partito rivoluzionario, che almeno ha il crisma della persona onesta.

Quando però il vice di Amar che nel frattempo gli è subentrato, incontra Cusan per sentire cosa si è detto con Rogas e soprattutto per raccontargli la sua, di versione dei fatti, allo scrittore non resta che farsi convincere e abbracciare una verità (di comodo) tanto più appagante quanto più stridente con le risultanze in suo possesso.

"La ragion di Stato, signor Cusan: c'è ancora come ai tempi di Richelieu". 

10 e non più di 10 #12

Per vigliaccheria, certo.

Per immaturità, anche.

Ma pure...

per evitare di ripetere fino alla nausea quello che non si vuol sentire o capire;

perchè restare un secondo in più è mancanza di rispetto verso sè stessi;

perchè attardarsi sarebbe una punizione troppo severa per chi ci è di fronte.

La fuga: ombra nella gola riarsa della calura.

"La danza del gabbiano", di Andrea Camilleri

Di primo mattino, sulla pilaja, un gabbiano mette in scena una danza stramma. E subito dopo, firriando su se stesso, muore.

Saranno le vicchiaglie che lo rendono più sensibile, ma Montalbano è insieme scantato e meravigliato da questo spettacolo.

Nei tempi morti, continua ad attaccare turilla con la so zita, con la quale le incomprensioni hanno raggiunto il punto di non ritorno.

Ma c'è una novità: Fazio non s'arricampa al commissariato doppo 'na spedizioni in solitaria ai magazzini del porto. Gli sarà venuto il firticchio di mettersi in proprio? Sta di fatto che di lui non si hanno più tracce da alcuni giorni.

Montalbano, col cuore stritto nel più nivuro dei presentimenti, trova cadaveri catafottuti in sbalanchi che parono or ora assumere le sembianze del suo uomo più fidato.

Fortuna vuole che Fazio l'arritrovano in una galleria dismessa, firuto e 'ntordonuto a tal punto che spara addirittura alla machina dei so colleghi.

Quando la memoria dell'agente ha smesso di fagliare, Salvo viene a sapere che Fazio si sarebbe dovuto incontrare con un so' amico che s'è rifatto vivo (Manzella) dopo molto tempo in grado, a quanto pare, di rivelargli scenari tinti assà.

Dell'amico, però, nemmeno l'ummira. In compenso ci sono pischerecci che tardano a scarricare ai magazzini generali e cannocchiali puntati sul porto che vedono troppo. Senza contare il tentativo da parte di qualche fituso, non riuscito per piccca e nenti, di togliersi dai cabasisi una volta e per sempre proprio il nostro commissario. E per farlo, il mafioso di turno non esita a tirare dentro le filame del complotto pure una povera picciotta, Angela.

Alla fine della storia, dopo un sopralluogo nella casa della mattanza, Montalbano ricostruisce il (macabro) circo equestre che ha visto vittima proprio Manzella: il povirazzo, sodomizzato e torturato peggio che l'inquisizione, ha firriato torno torno alla seggia, firuto, sbeffeggiato e dissanguato. Priciso 'ntifico al gabbiano della pilaja.

Non resta che il saltafosso: Montalbano sa che per fottere la famiglia Sinagra occorre lavorare di fino. E che l'unico modo per portare dalla sua parte la donna del mafioso è prospettarle l'idea dell'esistenza di un'altra "fimmina" che proprio fimmina, almeno per ciò che attiene alle vrigogne, non è.

Assittato supra alla verandina, in compagnia di tanticchia di malinconia per il tempo malitto delle sdillusioni (" 'na botta alla vucca dello stomaco"), il commisario Salvo Montalbano cerca di acconsolarsi con "un piatto, enormi, di caponatina".