In un Paese dalla connotazione indefinita, ma che ben potrebbe essere l'Italia, si susseguono una serie di omicidi illustri, tutti riguardanti giudici.
Le indagini vengono affidate all'ispettore Rogas, "il più acuto investigatore di cui disponesse la Polizia, secondo i giornali; il più fortunato, a giudizio dei colleghi".
Rogas, il "quasi letterato" incline alla speculazione filosofica, valido conoscitore della psiche umana che gli consente, tra l'altro, di averne "uno (di ristoranti, ndr) per ogni giorno della settimana, sette dunque che lo consideravano buon cliente ma non affidato e stabilizzato al punto di poterlo trattar male", mette insieme i vari tasselli dell'indagine.
L'ispettore infatti, mano a mano che le toghe cadono, si fa sempre più persuaso che l'omicida si annidi tra le pieghe di qualche errore giudiziario che inevitabilmente, prima o poi, viene a contaminare l'operato dei giudici.
E la ricerca dà ben presto i suoi frutti: un farmacista, tal Cres, accusato dalla moglie di tentato avvelenamento sventato, all'ultimo secondo, dalla provvidenziale ingordigia del gatto domestico.
Dopo la condanna a cinque anni, l'accusatrice scompare nel nulla. E quando Rogas otterrà il mandato per perquisire la casa del farmacista nel frattempo anche lui datosi alla macchia, non troverà nessuna foto che possa cristallizzare un brandello di biografia.
Sta di fatto che non appena l'ispettore scopre una valida pista da seguire, gli viene affiancato un collega della sezione politica che si orienta decisamente, con il placet delle istituzioni, verso uno dei tanti "gruppuscoli" sovversivi infestanti la città. La loro firma starà dietro il rosario di morti eccellenti.
Rogas però ha un'altra spiegazione e si orienta verso altri colpevoli (diretti e indiretti): racconta a Cusan, amico e scrittore impegnato, lo scenario fosco, incrostrato da collusioni a tutti i livelli, che si sta profilando all'orizzonte. L'unica è parlarne con Amar, il capo del partito rivoluzionario, che almeno ha il crisma della persona onesta.
Quando però il vice di Amar che nel frattempo gli è subentrato, incontra Cusan per sentire cosa si è detto con Rogas e soprattutto per raccontargli la sua, di versione dei fatti, allo scrittore non resta che farsi convincere e abbracciare una verità (di comodo) tanto più appagante quanto più stridente con le risultanze in suo possesso.
"La ragion di Stato, signor Cusan: c'è ancora come ai tempi di Richelieu".
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