mercoledì 23 ottobre 2024

"Il re di Girgenti", di Andrea Camilleri

Nella nota di quest'opera fantasmagorica, il Maestro ci rivela che nel giugno del 1994 gli capitò di sfogliare, "nella libreria romana quotidianamente frequentata", un libretto intitolato Agrigento. Ebbene, in questo libercolo si accenna a un episodio del 1718 in cui addirittura viene proclamato re di Girgenti un viddrano, tale Zosimo.

Tanto è bastato alla fantasia fecondissima di Camilleri per "filare" la trama de Il re di Girgenti.

Gisuè Zosimo, padre del futuro re Zosimo, si trova un giorno a salvare la vita a un povirazzo che se ne sta stracafottuto in uno sbalanco. Ma c'è cosa: il povero è un nobile, e la caduta nel burrone è volontaria per via di una fortuna dilapidata al gioco.

Ora non ci stanno santi, tocca uccidere davvero il principe don Filippo Pensabene. E Gisuè Zosimo vi provvede dietro lauta ricompensa.

Il duca Pes y Pes, lo spagnolo che imbrogliando al gioco il principe è addivintato il patrone, sente feto d'abbruciatu nella facenna. Prima fa incarzerare Zosimo con l'accusa di aver ucciso il principe e poi gli promette la libertà. A una condizione, però: che ficchi con la sua bellissima moglie dal momento che lui, omo con sperma friddo come il ghiaccio, non è capace di metterla prena.

Il jornatante si presta al patto riuscendo, con l'aiuto degli altri contadini e omini di fatica, a pigliari po' culi il duca Pes y Pes e a liberarsi.

Frattanto Gisuè Zosimo e so' mogliere Filonia ci danno dentro e nasce il loro secunno figlio mascolo, Michele Zosimo, da tutti chiamato solo Zosimo.

Filonia, radunata tanticchia di paglia vicino al pozzo, si spoglia nuda e vi si stinnicchia supra.

Una capra girgentana le dona il latte per nutrire il picciliddro e una gaddrina le arrigala un uovo per rimettersi in sesto.

Fin dalla nascita, Zosimo si mostra un bambino precoce: invece di piangere appena nisciuto dal ventre materno, si mette a ridere come un omo granni. A sette mesi poi, è gia in grado di parlare.

Nella sua infanzia si susseguono personaggi singolari (reali e immaginari) che sono un lievito formidabile per quella che sarà la personalità del Nostro: il mago Apparenzio che gli predice un futuro da re, il brigante che firrìa campagna campagna per affermare una giustizia altra e, soprattutto, Patre Uhù: parrino con la vita da asceta e la sua croce ad altizza d'omo che mulinella come un'arma quando si tratta di scacciare via i diavolazzi e le sue creature, Patre Uhù si ritira sovente in una grutticeddra con una pozza d'acqua nella quale vattiare bambini (lo stesso Zosimo vi viene battezzato) e ricarricare le energie quando ce n'è bisogno.

Il parrino intuisce le potenzialità di Zosimo e lo prende per un periodo a suo servizio, insegnandogli il leggiuto e lo scrivuto. Lo inizia altresì tanticchia ai misteri della natura, per farne un omo pronta alla bisogna.

Durante la carestia che si abbatte come una mannaia su Montelusa (la futura Girgenti), l'ormai giovane Zosimo incendia tutti i libri che don Aneto Purpigno, frattanto insediatosi nella dimora abbandonata dal duca Pes y Pes, gli ha arrigalato dopo averli letti uno per uno: accussì tutte le parole gli entrano nel ciriveddro e non l'abbandoneranno più.

La peste avanza nelle campagne e nelle città, e i chiesastri anzichè limitare le occasioni di contagio, si dannano l'anima per organizzare processioni dietro l'ennesima, improbabile reliquia scovata da qualche parte.

Zosimo e i so' compagniuzzi, dopo aver approfittato del funerale di Patre Uhù per fare un po' di pulizia di nobili e chierici e in seguito a uno stratagemma per far ripristinare il culto di santo Campagnaro, sentono che è arrivato il momento di prendere in mano le redini della storia. Manco a dirlo, chi è in grado di capirlo e di farlo intendere agli altri, è proprio Zosimo.

C'è una lotta intestina tra papato e nobiltà con evidenti ripercussioni nella vita quotidiana. Nel frattempo, dopo gli spagnoli, a seguito del Trattato di Utrecht, sono i savojardi a dettare le regole del gioco in tutta la Sicilia.

Zosimo, pur muovendosi in anticipo rispetto a quanto sarebbe stato opportuno, prende il potere e viene incoronato re su una putruna requisita al marchese Boscofino e con una corona di spine arrigalatagli da un mendicante.

Il programma è presto fatto: abolizione della nobiltà, espropriazione di metà dei feudi del notabilato da donare a chi ci ha davvero travagliato in quelle terre, la pace da salvare, quando proprio non si può fare altrimenti, mutuando la vicenda degli Orazi e dei Curiazi dell'antica Roma.

Il capitano Montaperto, omo d'aunuri, l'ha accapito macari lui: progetto troppo rivoluzionario per poter resistere agli egoismi del tempo. Il re e i suoi scammisati viddrani hanno pisciato fora dal rinale.

Bih, che camurria! D'altra parte, per realizzare il prototipo di uomo vagheggiato da Zosimo (la dignità dell'omo consta di quattro attributi: il travaglio, la littra, l'aunuri e la parola data), per forza di cose doveva finire a schifio.

Zosimo viene condannato a morte. Nella sua via crucis cristallizata dai cinque graduni e dalla sommità della scalinata che lo portano al patibolo, rincontra molti personaggi della sua vita e rivive tante suggestioni che l'hanno accompagnato fino all'ultimo momento.

In tutto questo, la comerdia che ha fatto volare poco prima di venire decollato, gli si piazza a perpendicolo sulla testa.

Lui stesso sale in groppa all'aquilone e, una volta preso il volo, talia verso terra: in mezzo alla piazza, vitti macari il palco e una cosa, una specie di sacco, che pinnuliava dalla forca dunnuliando.

Rise e ripigliò ad acchianare.

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