È una storia della filosofia, questa di De Crescenzo, che è ormai diventata una pietra miliare per ogni appassionato di filosofia che si rispetti, soprattutto alle nostre latitudini.
Lungi dal considerarsi filosofo in senso tecnico, il Nostro tiene fede al proponimento che a più riprese ha ribadito: il voler essere come quelle enormi scale semoventi presenti in biblioteca che permettono al Lettore di poter accedere fisicamente anche ai volumi che si trovano lassù in alto. Fuor di metafora, quindi, un tramite tra i comuni mortali e l'empireo dei saggi.
E per tener fede a questo proponimento dedica la sua opera addirittura a Salvatore, il celeberrimo vice-sostituto-portiere di via Petrarca, 58, dove risiede il prof. Gennaro Bellavista.
Senonchè non c'è approfondimento senza innovazione che tenga: al sagace De Crescenzo, infatti, non potevano bastare i filosofi presocratici "canonici", nossignore. E allora ecco aggiungersi agli esponenti della Scuola di Mileto (il Talete che per osservare le stelle cade in un pozzo, meritandosi gli sfottò dalla servetta tracia, l'Anassimandro con il suo "mammasantissima" apeiron che "tiene sotto lo schiaffo" gli altri quattro elementi, l'Anassimene che per raccordare Talete con Anassimandro, sceglie l'Aria come sostanza primordiale) l'eccentrico Peppino Russo che, come tutti i filosofi "ilozoisti", è convinto assertore della presenza dell'anima in ogni cosa, financo nelle bambole che impicca ai rami degli alberti vicino a casa sua.
Luciano De Crescenzo passa poi al Pitagora "superstar", con la sua idiosincrasia per le fave e la pervasiva "aritmo-geometria" finita a carte quarantotto dopo la scoperta dei numeri irrazionali.
Si sofferma così sulla figura dell' "oscuro" Eraclito, con la sua impossibilità di bagnarsi per due volte nelle acque dello stesso fiume e il suo antigrillino "uno val per me diecimila, se è il migliore".
È arrivato il momento di Tonino Capone, il secondo filosofo spurio, che alla serranda della sua officina troppo presto abbassata ha affisso questo singolare cartello: "Avendo guadagnato quanto basta, Tonino è andato al mare".
Il campo d'indagine viene presto a riguardare la Scuola di Elea: c'è Senofane con la sua critica acutissima all'antropomorfismo degli dei; ci si sofferma su Parmenide, "maestro venerando e terribile" e il suo granitico Essere, per poi approdare al cervellotico Zenone con i suoi paradossi contro il movimento e il mutamento, e a Melisso, l'unico ammiraglio filosofo.
È la volta di Empedocle ("mezzo Newton e mezzo Cagliostro") con la sua guerra perenne e instabile tra Amore e Discordia.
Qui si inserisce Gennaro Bellavista con il suo originalissimo piano cartesiano in cui si susseguono il Quadrante del Ribelle, il Quadrante del Saggio, il Quadrante del Tiranno e il Quadrato del Papa.
Anassagora "la Mente" con le sue omeomerie dà la stura a Leucippo col suo atomismo poi perfezionato dall'illuminante Democrito che, una volta divenuto vecchio, si regala la ceceità esponendo i propri occhi addirittura ai raggi del sole riflessi dallo scudo argentato.
Subito dopo un breve excursus sui principali sofisti (degno di menzione è Gorgia da Leontini con l'adamantino l'Elogio di Elena in cui dimostra l'asoluta innocenza di Elena), l'opera si chiude con il campione del relativismo, Protagora di Abdera.
Ma la Storia della filosofia di De Crescenzo non può finire senza il riferimento all'ennesimo filosofo à la carte, nella fattispecie l'avvocato Tanucci, che consente allo scrittore di farsi una affacciatina sul mondo forense con le sue cinque categorie di addetti ai lavori: gli avvocati di grido, gli avvocati normali, i paglietta, gli strascinafacenne e i giovani di studio.
Per evitare che il Lettore più sprovveduto possa scambiare Peppino Russo, Tonino Capone, Gennaro Bellavista e l'avv. Tanucci per filosofi autentici e portarli come materia d'esame, ecco trovato l'espediente tipografico: utilizzare un diverso carattere e racchiudere le loro gesta pratico-filosofiche con una bella cornice.
Anche questo è stato l'impareggiabile Luciano De Crescenzo.
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