martedì 22 ottobre 2024

"Tonio Kroger", di Thomas Mann

Il destino di un uomo, a volte, è racchiuso nel suo nome: Tonio, in onore di Consuelo, "quella madre bruna e focosa che suonava così bene il pianoforte e il mandolino", originaria di "un punto tanto lontano della carta geografica"; e Kroger, in ossequio al padre "un signore alto, vestito con cura, dagli occhi azzurri e pensosi, che portava sempre un fiore di campo all'occhiello".

Eccoli i due mondi, l'uno dell'imprevedibilità e della fantasia tipicamente meridionali e l'altro, quello del "mercante inteso alla moneta" (Gozzano) tipico "degli occhi azzurri" delle alte latitudini.

La metafora manniana "degli occhi azzurri" che si accompagnano inevitabilmente ai capelli biondi, è quella propria del borghese non corrotto dalla cultura, quell'ideale prima rinnegato e poi agognato dal protagonista di questo racconto lungo.

D'altronde, lo stesso Hans Hansen, l'amico del cuore di Tonio, ha gli occhi azzurri; come azzurri sono, a ben vedere, le iridi di Inge Holm che balla la quadriglia con movenze angeliche mentre lui, che scrive poesie (o quale stucchevole artificio!) cade a terra, incapace di muovere un solo passo, tra le risate di scherno della compagnia.

Eppure la salvezza è lì, a due passi: negli occhi, stavolta neri e nella carnagione scura, di Magdalena che si atteggiano a porto sicuro per la sua diversità. Tonio, però, sente che perdersi in quei tratti meridionali, significherebbe condannarsi a una vita dove non può trovare cittadinanza alcuna il suo ideale di purezza.

"Io sto tra due mondi, di cui nessuno è il mio": eccola l'amara constatazione del protagonista che lo porterà, nonostante le mille esperienze vissute, la gloria letteraria sentita come sempiterna mistificazione in cui manca qualsiasi accenno di genuinità, allo scacco matto nei confronti della vita.

Potremmo parlare con riferimento a Tonio Kroger, se i due termini non fossero in qualche modo antitetici, di un nichilismo pervaso da un tardo romanticismo.

L'unica salvezza per Tonio è quella di far ritorno nel palazzo avito, tra la pioggia della propria patria. Come, però, scrive alla pittrice Lisaweta Iwanowna, anche da quell'Arcadia, sia pure solo per un malinteso, è escluso, a tal punto che addirittura vogliono arrestarlo. Eppure proprio lì, rivede i biondi dagli occhi azzurri Hans e Inge, ancora una volta perfettamente sintonizzati sulle intemperanze della vita. A lui non resta che restarsene dietro a una tenda a osservarli, per l'ennesima volta, ballare in un mondo dall'appagante ordinarietà.

Lisaweta aveva definito Tonio un borghese. Alla fine lui è costretto a dare ragione all'amica artista, precisando che ci può essere un modo di essere borghesi contrassegnato dall'amore per tutto ciò che è umano, vivo e ordinario. In altri termini, artista (borghese) sì, ma un "artista dalla coscienza sporca":

"Poichè è la mia coscienza borghese quella che mi fa vedere in tutto ciò che è arte, eccezione, genio, qualcosa di profondamento ambiguo, profondamento sospetto e che m'ispira questa simpatia così pervasa d'amore per tutto ciò che è semplice, sincero e gradevolmente normale, per tutto ciò che non è geniale, ma decoroso e corretto".

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