Un uomo cammina sotto il sole, al centro della strada. Passa un autobus. Alza una mano e sale a bordo con la stessa naturalezza con cui avrebbe fatto qualsiasi altra cosa.
Sul bus c'è una donna con "una macchia coperta di peli scuri e come di seta sulla guancia sinistra".
Lui è Jean, lei è Tati, la vedova Couderc.
Lui è figlio del ricco fabbricante di liquori di Montluçon. È un figlio rinnegato perchè insiste nel chiedere al padre gaudente la parte di eredità della madre. E lo è soprattutto perchè ha appena finito di scontare la pena per l'omicidio di un uomo.
Per quale motivo ha ucciso? Per l'incomprensione del suo professore d'inglese del liceo e perchè ancora una volta qualcuno ha preteso troppo da lui.
Lei è, per l'appunto, la vedova Couderc, in guerra perenne con la famiglia del defunto marito per tenersi per sè la casa in cui è entrata sguattera. A tal fine, si concede al suocero con una naturalezza disarmante.
Perchè decide di portarsi a casa Jean? Perchè sente che è l'uomo giusto per darle manforte nei suoi propositi.
E intanto il destino inizia a oliare le sue ruote dentate.
Di fronte alla casa di Tati, c'è quella della cognata. E in essa, la giovane Fèlicie, dai capelli rossi e dalla carnagione setosa, che accudisce un bambino fatto con chissà chi.
Jean, impegnato nelle mille incombenze che la vita contadina richiede, sembra poter essere in grado di condurre un'esistenza finalmente serena. Poi c'è Fèlicie...
Frattanto la vedova Coudrec ha una colluttazione con il cognato. Si procura una ferita profonda al capo che la costringe all'immobilità e, di conseguenza, la rende totalmente dipendente da Jean.
La sua smania di controllo cresce ancora di più.
Le cose all'improvviso precipitano: Fèlicie desidera "un appartamentino di tre stanze dove stare tranquilli" così come la Zèzette dell'adolescenza di Jean pretendeva la vita a cui si sentiva destinata. Dal canto suo, la vedova Coudrec vorrebbe che Jean reclamasse dal padre la sua parte di eredità.
C'è altresì l'ardente desiderio della donna di tenerlo sempre con sè, magari di condividerlo anche con altre donne, purche trà queste non ci sia quella strega di Fèlicie.
Jean capice che gli ingranaggi lo stanno conducendo verso l'esito che prima o poi l'avrebbe riguardato: "l'omicidio sarà punito con la pena di morte nel caso in cui sia stato preceduto, accompagnato o seguito da un altro crimine". E il martello che gli era servito per togliere i ripiani della frutta è lì, a portata di mano.
Il fato ineluttabilmente si compie, non prima di aver sofferto un solo, rapidissimo moto di rabbia (Sono stufo! stufo! stufo! (...) Capisci? Capite, tutti quanti? Sono stufo!...) che avvicina Jean al Meursault de Lo straniero prima dell'esecuzione. Ma, a ben vedere, in comune con l'opera di Camus c'è pure il senso angoscioso del destino che si compie a prescindere dal volere dei protagonisti.
Georges Simenon, come già nell'altra opera L'uomo che guardava passare i treni, dimostra che si può essere grandi giallisti e dar vita a un personaggio meraviglioso come il celeberimo commissario Maigret, solo se si è capaci di scandagliare con mirabile maestria il cuore umano.
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