Vincenzo Buonocore, entrato nell'Ilva di Bagnoli come semplice operaio, brucia pian piano le tappe, fino a diventare tecnico specializzato alle colate continue.
Adesso, nell'imponente opera di dismissione dello stabilimento napoletano, a lui viene affidato il compito di smontare il suo reparto, ormai venduto ai cinesi.
Buonocore, però, non si limita ad assolvere un compito, nossignore: lui vuole, come già faceva il padre ebanista nel suo lavoro, raggiungere la perfezione. La dismissione dell'Ilva, in altri termini, deve diventare il suo canto del cigno, l'opera d'arte di tutta una vita fatta di impegno, lotte sindacali, conquiste civili e politiche. E ciò proprio nel momento in cui si rende conto di come la dismissione dello stabilimento significhi la mortificazione dell'impeto di riscatto di buona parte del Sud Italia.
L'Ilva, allo stesso modo di un corpaccione che fagocita successi e fallimenti, passa dalla migliore acciaieria d'Europa, al carrozzone in cui sistemare camorristi e nullafacenti, fino a trasformarsi nell'ennesimo costo da tagliare proprio nel momento in cui la politica vi investe fior di quattrini.
Sullo sfondo, l'amicizia di Buonocore con il saggio Chung Fu, le lusinghe e le miserie di una Napoli iridescente, il rapporto del protagonista con Rosaria, sua moglie, improvvisamente incrinato da un'omissione, la fuga vigliacca sotto il portone di Marcella, bellezza effimera che si trova a soccombere assieme allo stabilimento: a volte, il funerale di un membro della comunità, anche esterno ai "lumi d'officina", diventa il de profundis dell'idea stessa di rivalsa di un intero popolo.
Scritto come una sorta di confessione del protagonista, il libro schiude una serie di universi (la fabbrica, la città, le paure, i successi, le sconfitte) tutti indagati con mirabile garbo e dedizione da Ermanno Rea.
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