Ed eccoci in una nuova storia del sempre godibilissimo Andrea Vitali. Da dove partiamo, 'sto giro? Proprio dalla gita in barchetta del titolo, che verrà a costituire lo snodo principale della vicenda raccontata nel libro.
Sulla barca ci sono Vincenza e Niccolò.
Vincenza è la terza figlia, fresca di diploma magistrale, di Elena Fulgenzi, vedeva Cereda. Quest'ultima, bella e disincantata per via di un marito rivelatosi troppo presto un cattivo affare, ha altre due figlie, entrambe di capitale importanza nell'economia del romanzo.
C'è Rita detta "La Scionca" per via di un'evidente zoppia, che è la più saggia e la più responsabile delle sorelle, a cui tutti ricorrono per cercare sostegno e comprensione. Tutti tranne la madre, che vede in Rita l'emblema della vita grama che ha condotto e una minaccia per quella che ancora resta. Poi c'è la malmaritata Lirina, costretta a sopportare, con frequenti cadute nello squallore avvinazzato, il marito Loreto Damato a cui purtuttavia trova la forza di ribellarsi. E infine, ecco Vincenza che se ne sta nella barchetta, nella parte più profonda del lago, in compagnia del bel Niccolò: una ragazza di una bellezza adamantina che viene a essere l'unica possibilità di riscatto per la vedova Cereda.
Un giorno si presenta alla sartoria della vedova, Assunta Sciacca, una donna che lesina il centesimo in vista del lusso che da lì a poco pervaderà la sua esistenza e quella dell'intera famiglia: quel Niccolò che si laurerebbe dottore in giurisprudenza ma che per la mamma è già avvocato. Ci sono dei pantaloni da allungare che esigono l'intervento della Fulgenzi. E l'Assunta, ancora coi calzoni in mano, scorge la leggiadria di Vincenza mentre la Cereda immagina l'avvocato proprietario dei pantaloni e e soprattutto la vita di agi che si cela dietro quel titolo se solo...
Le due donne, le due madri, s'incontrano, e brigano per realizzare il meglio per i loro rampolli. Vincenza e Niccolò: una unione perfetta, se non fosse per quella gita in barchetta e per tutto ciò che ne conseguirà.
In questo romanzo, tripudio della femminilità, ci appare un Vitali diverso: più poetico, meno impigliato nei gustosissimi siparietti e inciuci di paese (che pur ci sono, ci mancherebbe!), con una venatura crepuscolare che non dispiace.
Senza contare l'inconsueta ambientazione: non più gli anni '30 del secolo scorso, o comunque il Ventennio, ma addirittura i primi anni Sessanta: gli stessi anni che consentono a un indovinatissimo Marinati Gioele, al secolo Sofia per le preferenze "dell'altra sponda", di riesumare dal suo giradischi spalancato a favore di balcone hit del calibro di In ginocchio da te o È l'uomo per me.
Colonne sonore, manco a dirlo, che sia accordano alle alterne vicende sentimentali del personaggio e che ci fanno compagnia durante la lettura.
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