E sono ben cinquanta gli scrittori del calibro di Raffaele La Capria, Roberto Saviano, Walter Siti, Maurizio de Giovanni, Nicola La Gioia, Valeria Parrella e tanti altri, che s'interrogano sull'essenza di Napoli e della napoletanità. Tutti con un unico intento: guardare a Partenope senza la lente deformante del luogo comune.
Si parte da Boccaccio e il suo Andreuccio da Perugia che, caracollando tra il quartiere Malpertugio, la Rua Catalana e la ressa del Mercato, "ha conosciuto se stesso e la vita, è diventato uomo ed è tornato a casa sua più accorto e smaliziato". Insomma, si è fatto napoletano.
Viola Ardone, poi, scomoda la maternità per rimarcare come Napoli si modifichi "per accogliere ogni corpo come gli organi interni della madre si spostano e si adattano alla forma del nascituro durante la gestazione".
Sara Bilotti, dal canto suo, favoleggia di "una strana corrente, anch'essa a lungo dimenticata, che era come un fiume di lava sotto l'asfalto" a rappresentare l'energia di tutti coloro che attraversano le strade di Napoli e che qualcuno riesce, quasi per una sorta di predestinazione, ad assorbire meglio di altri.
E come dimenticare la "città bifronte" di Raffaele La Capria "che può essere al contempo disperatissima o felicissima"? Definizione, quest'ultima, che fa il paio con "la città dove un giorno Dio e il diavolo si sono seduti in riva al mare a giocare una partita a scacchi", del cinese Tu Hua.
Non possono mancare i "capitoni sfastiriati" di Antonella Cilento: quelli, cioè, costretti a nuotare, evidentemente stressati, nelle vasche, "uno 'ncuollo a n'ato, fino alla vigilia. Quando i capitoni sono belli e guizzanti, vengono ignorati dagli avventori che li trovano improvvisamente attraenti non appena diventano, per l'appunto, sfastiriati.
Il paragone con il napoletano che si riduce sempre all'ultimo momento negli acquisti (e non solo), è fin troppo chiara.
Una verità tra le tante, forse, è quella della Napoli "città tuareg" di Antonio Pascale: come infatti i tuareg si scoprono il viso quando incontrano gli sconosciuti perchè in quanto sconosciuto tu non puoi capire quello che penso così, di converso, se lo coprono quando si imbattono in persone intime: se sei un amico, infatti, puoi ben interpretare i segni del mio volto, onde per cui è necessario che io lo copra.
C'è infine la santa Patrizia di Antonella Ossorio demoralizzata perchè declassata da San Gennaro ("lui è proprietario di un tesoro da fare invidia alla regina d'Inghilterra, io invece...") e la modernità che a Napoli è già arrivata, "ma con il fegato schiattato e con la febbre alta: e ora è in fase di decomposizione", di Giuseppe Montesano.
In questo libro ci sarebbe tanto altro dell'anima di Napoli ma ci piace chiudere, non ce ne vogliano gli scrittori le cui testimonianze sono state ignorate solo per ragioni di spazio, con Roberto Saviano. Lo scrittore napoletano, dopo essersi chiesto retoricamente come si faccia ad amare una città che ti ha cacciato senza una condanna precisa, ribadisce che "Napoli ti insegna a vivere, alle sue regole, alle sue condizioni e quando te ne separi a te resta una moneta preziosa che però altrove non ha mercato".
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