mercoledì 23 ottobre 2024

10 e non più di 10 #11

Sono ridotto a un piede risparmiato dalla bomba.

Tutto ciò che sta sopra il calcagno è deflagrato.

Durante le guerre non manca mai la goliardia irriverente: qualcuno ha avvolto il mio piede in un simulacro di scarpa.

Da questo momento, ho iniziato a vagare tra le macerie.

La suola mi isola dal sangue, dalla bestialità, dalle rovine concimate dal pianto dei bambini.

Senza scarpa, ero comunque contaminato dal massacro.

Ora, tra quel che è rimasto di me e la melma di ossa e fuoco appena sotto, foraggio uno sdegnato senso di estraneità.

"E tu splendi", di Giuseppe Catozzella

Pietro ha quasi dodici anni e vive alla periferia di Milano.

Agli inizi di giugno il papà lo mette, assieme alla sorella Nina, su un pullman diretto alla stazione di Matera. Per poi arrivare ad Arigliana, cinquanta case di pietra e duecento abitanti, che è il paese originario dei genitori dei ragazzi, dove li aspettanno Nononno, Nononna e una pletora di personaggi singolari.

Prima della partenza Pietro, come sempre fa nei momenti importanti, stringe il frammento di foto racchiuso in un sacchettino di stoffa che si porta al collo: la foto è quella della mamma Rosi, che è andata ad abitare in un posto bellissimo in cui prima o poi dovrà raggiungerla.

Ad Arigliana, frattanto, poco è cambiato: tutto continua a girare attorno ai traffici di zi' Rocco, l'unico possidente dopo l'avvelenamento delle campagne di anni addietro che Nononno attribuisce proprio a zi'Rocco.

A seguito di questo evento, tutte le terre dal lato opposto del torrente Olmo, si sono rinsecchite. E tra queste, quelle sterminate della masseria Lucania di Nononno. Ora, una nuova masseria, per una sorte di sfregio anche questa chiamata Lucania, fa affari d'oro, ed è quella che si trova dall'altro lato del torrente Olmo, appartenente a zi' Rocco.

Frattanto Pietro, dopo una puntatina in una vecchia torre abbandonata, scopre la presenza di alcune persone che si riveleranno straniere. Tra questi, spicca la personalità di Josh, ragazzino coetaneo di Pietro, che ben presto si rivela di un'intelligenza e di un coraggio davvero notevoli.

In tutto questo, Arigliana è in fermento. La popolazione si scaglia contro gli stranieri, massimamente quando zi' Rocco, facendo leva sulla manodopera offertagli quasi gratuitamente da queste persone (devono pur poter ripagare l'ospitalità in qualche modo), ne approfitta per diminuire ancora di più la paga ai braccianti della sua terra. Eppure, quando tutto sembra precipitare, sarà dapprima Josh con il salvataggio di un bambino finito nelle grinfie della Menzasignor (il fantasma di un brandello di donna che furoreggia per il palazzo avito) e, di poi, soprattutto gli stranieri più grandi con la dritta giusta a Nononno (mettere tutte le terre assieme e dare vita a una nuova masseria, la masseria Rosi) a incarnare la speranza del riscatto.

Ad Arigliana finalmente la rassegnazione sembra magicamente confinata in un passato lontano. Ma il monito che campeggia nella camera dei nonni di Pietro (Cristo non è mai arrivato qui, nè vi è arrivato il tempo, nè la speranza, nè la ragione, nè la storia) dovrebbe insegnare qualcosa: a Ferragosto (un altro ferragosto!), mentre tutto il paese è irrorato dalle luminarie, le terre della Masseria Rosi cominciano a bruciare. Il fuoco non si ferma più. Fagocita tutto, anche l'ultima occasione di un futuro diverso.

La colpa viene addossata al capro espiatorio perfetto per queste occasioni: gli stranieri. Vengono arrestati con l'accusa di aver dato fuoco alle terre della masseria.

Pietro, Nina, Josh, Refè vogliono vederci chiaro. La notte di ferragosto hanno visto qualcuno scendere da una macchina nera e attardarsi nelle campagne. Hanno trovato taniche di benzina sparse in ogni dove. E si sarebbe ancora nel campo del sospetto, se non fosse per il piccolo Josh che, incurante della maledizione del palazzo della Menzasignor, viola il simulacro delle paure dei ragazzini, e scopre la verità: di nuovo zi' Rocco al centro delle malefatte, come tanti anni addietro, con la complicità di un insospettabile.

Chi l'ha detto che si diventa grandi gradualmente? L'infanzia di Pietro finisce adesso, nella presa d'atto che nessuno vuole e può fare giustizia.

Dopo la morte di zi' Salvatore che non ce l'ha fatta a rivedere i suoi nipoti americani, la partenza di Josh verso un futuro più giusto, la condanna irredimibile alle fatiche della terra di Refe', Pietro ritrova finalmente il moncherino di foto mancante.

La frase che adesso si completa, quella scritta anni addietro dalla grafia della mamma morta (ora Pietro lo sa che mamma Rosi non tornerà più, e lo può accettare) è: "Ti insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece".

10 e non più di 10 #10

I vigilantes si precipitano al locale.

Io, come sempre, li raggiungo con una lentezza snervante.

Loro invischiati in mappe e alerts del cellulare, io sorretto dalla mia memoria che tutto ingloba.

Un attentato.

Luce staccata. Schermatura del segnale.

Porto in salvo vite in pericolo.

Sono stato allevato a memorizzare dati: ore e ore a osservare immagini, lettere, cifre.

Da scolpire nella corteccia cerebrale. A cui ricorrere quando ogni altro ausilio viene meno.

"I delitti della luce", di Giorgio Leoni

Nella Firenze del 1300 che si prepara al Giubileo e che è in pieno fermento edilizio, il priore Dante Alighieri è testimone di un evento eccezionale: una grossa nave, la cui polena raffigura il Giano bifronte, si è arenata nelle paludi dell'Arno. A bordo, vegliato da un equipaggio di uomini morti per avvelenamento e in evidente stato di decomposizione, uno stranissimo ed evocativo macchinario.

A poche ore di distanza, in una torre della città, viene rinvenuto il corpo senza vita dell'architetto di Federico II.

C'è qualche collegamento tra la scoperta della nave e la morte del prezioso collaboratore dell'imperatore?

Una cosa è certa. Quanto accaduto fino ad adesso, e quello che ancora dovrà succedere (una comitiva male assortita che fa tappa alla locanda dell'Angelo, altri omicidi illustri, un carico di specchi di purezza e di dimensioni inimmaginabili per la tecnica del tempo, un miracolo raffinatissimo che invoglia ad arruolarsi per l'ennesima crociata, una "vergine" ermafrodita, le forme perfette di Castel del Monte evocate dal Battisero) ruota intorno allo Stupor mundi; a quel Federico II cioè che, perennemente assetato di ogni forma di conoscenza, è morto (ucciso da chi?) alle soglie di una mirabile scoperta.

Il sommo poeta, con quella severità e intransigenza che ben conosciamo, dovrà mettere assieme i diversi e inestricabili tasselli per dare un senso a quello che si sta dipanando sotto ai suoi occhi. E tra contaminazioni filosofico-matematiche con il mondo infedele e gli scenari "demoniaci" che lo vedono spettatore interessato, impila elementi utilissimi per la Commedia che renderà immortale il suo ingegno.

Dovra vedersela con chi, in attesa della purificazione elargita a larghe mani da Bonifacio VIII, si professa strenuo sostenitore della luce "immota". D'altronde, se la luce "avesse un suo moto", esso proseguirebbe "in una corsa verso un vuoto orrendo e infinito", con la coseguenza che ogni certezza divina, compresa la Creazione, si sfalderebbe miseramente. E per evitare ciò, si è pronti a dare e, se del caso, a ricevere la morte.

Il multiforme ignegno di Federico, però, è lì a reclamare e a imporre il primato della conoscenza sopra ogni dogma: la luce, anche quella fraintesa in nome della quale si è levata la mano del fratello contro l'altro fratello, deve necessariamente muoversi, come è pronto a testimoniare quell'inspiegabile macchinario scoperto a bordo della nave arenatasi nell'Arno.

Mezzo secolo prima di questi accadimenti, alla domanda del grande imperatore su cosa ci fosse oltre la luce, la risposta è stata: solo la tenebra, "come narra la Scrittura".

Non è difficile, a questo punto, immaginare il sorriso sornione di Federico II.

Cinquant'anni dopo, a pochi giorni dalla scadenza della sua carica di priore, Dante Alighieri è chiamato a interpretarlo davvero, quel sorriso regale, sulla scia dell'inconsistenza della luce (ancora lei!) di cui sono fatti i sogni.

10 e non più di 10 #9

Un giravite, di quelli a stella, arroventato. Conficcato nel basso ventre del mio Goldrake dell'infanzia.

Tutti i bambini, specie i fratelli, sono crudeli.

Le propaggini della mia affermazione lambiscono il Portogallo.

I miei piedi di sabbia sfrangiano l'oceano.

Un riflesso in lontananza.

Alghe avvinghiate a una poltiglia di plastica informe.

L'onta riaffiora dal lago del subconscio.

La ics slabbrata nel basso ventre.

Quel che resta del Goldrake di 40 anni addietro.

"Una storia semplice", di Leonardo Sciascia

Ho trovato.

E se il punto a quest'ultima frase lasciata sul foglio fosse stato messo dall'assassino?

La segnalazione arriva alla vigilia della festa di San Giuseppe: Giorgio Roccella, un diplomatico decaduto, chiede di essere raggiunto urgentemente nel villino in cui si è rintanato per rileggere alcune lettere di Garibaldi e Pirandello. Il fatto è che si è imbattuto in qualcosa che la polizia dovrebbe vedere.

A raccogliere la telefonata è il brigadiere Antonio Lagandara, pronto a recarsi subito alla villa se non fosse dissuaso dal commissario: potrà andarci domani, se proprio ne ha voglia, perchè si tratterà sicuramente di uno scherzo.

L'indomani il brigadiere ci va e s'imbatte, suo malgrado, nel cadavere del diplomatico, apparentemente suicida per un colpo di pistola alla tempia.

Tutto chiaro se non fosse per la mano destra che, a rigor di logica, "avrebbe dovuto penzolare a filo della pistola caduta" e a quel punto, dopo la frase "ho trovato", che gli appare fuori luogo.

Farneticazioni o giù di lì.

Dal commissario al procuratore, tutti si affrettano a rubricare il caso come il più classico dei suicidi.

D'altronde, con una moglie con la quale il defunto non condivideva più niente e un figlio che è frutto dei tanti amori occasionali della donna, il Roccella poteva pur averlo qualche motivo per togliersi la vita.

«Era siciliano» la vedova risponde al questore che la interroga «E i siciliani, ormai da anni, chissà perchè, si ammazzano tra loro».

A pensarla diversamente in merito al suicidio, in uno col brigadiere, c'è il professore Carmelo Franzò, vecchio amico della vittima.

Caso vuole che il procuratore che si occupa della vicenda sia un vecchio alunno del docente.

L'occasione allora è troppo ghiotta per lasciarsela scappare: il magistrato fa subito notare come, nonostante all'epoca della scuola fosse debole in italiano, non gli sia andata poi tanto male: adesso è procuratore della Repubblica e si trova qui a interrogare il suo vecchio docente.

Già, l'italiano.

"L'italiano non è l'italiano: è il ragionare" - disse il professore. "Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto".

Frattanto, in un ulteriore sopralluogo, il brigadiere si convince di una terribile verità: le porte dei magazzini adesso spalancate mentre prima erano chiuse con possenti catenacci; l' "odore di zucchero, di foglie di eucalipto macerate, di alcool"; l'interruttore che nonostante le ricerche accuratissime della volta precedente, viene candidamente trovato al primo tentativo, "dietro il busto di Sant'Ignazio", da uno dei membri della spedizione.

Tutti questi elementi portano in una sola direzione.

Disilluso, cerca comprensione nel professor Franzò

«Lei ha intenzione...?» gli chiede allora quest'ultimo, ma il brigadiere, "smarrito" e "stravolto", manifesta indecisione sul da farsi.

Gli eventi precipitano.

Lagandara ormai è diventato un uomo da eliminare. Si fa finta di pulire una pistola in commissariato, quando all'improvviso la si punta proprio sul sottoposto.

Si preme il grilletto, ma "l'atavico istinto contadino a diffidare, a vigilare, a sospettare il peggio" gli viene in soccorso: il brigadiere evita così la pallottola, ed è lui ora a sparare e ad uccidere chi lo voleva morto.

Forze dell'ordine, magistratura, l'insospettabile prete all'antica. Un meccanismo perverso, oliato da tanti "mezzi uomini" devoti al dio del profitto che pur dovrebbero, innanzitutto per il ruolo ricoperto, esserne gli antidoti.

Un capolavoro "semplice", questo di Sciascia. Un congegno pressochè perfetto condensato in poche, illuminanti, pagine.

10 e non più 10 #8

Di ritorno da un incontro in presenza.

Dopo un anno di frequentazione social.

Ho presidiato un angolo di visuale dove lei non poteva vedermi.

L'ho contemplata estasiato.

Mi sono fatto stuprare l'anima.

Me ne sono andato.

Senza incontrarla.

È più bella della foto del profilo.

Una logica sconclusionata.

Disturbata.