Ho trovato.
E se il punto a quest'ultima frase lasciata sul foglio fosse stato messo dall'assassino?
La segnalazione arriva alla vigilia della festa di San Giuseppe: Giorgio Roccella, un diplomatico decaduto, chiede di essere raggiunto urgentemente nel villino in cui si è rintanato per rileggere alcune lettere di Garibaldi e Pirandello. Il fatto è che si è imbattuto in qualcosa che la polizia dovrebbe vedere.
A raccogliere la telefonata è il brigadiere Antonio Lagandara, pronto a recarsi subito alla villa se non fosse dissuaso dal commissario: potrà andarci domani, se proprio ne ha voglia, perchè si tratterà sicuramente di uno scherzo.
L'indomani il brigadiere ci va e s'imbatte, suo malgrado, nel cadavere del diplomatico, apparentemente suicida per un colpo di pistola alla tempia.
Tutto chiaro se non fosse per la mano destra che, a rigor di logica, "avrebbe dovuto penzolare a filo della pistola caduta" e a quel punto, dopo la frase "ho trovato", che gli appare fuori luogo.
Farneticazioni o giù di lì.
Dal commissario al procuratore, tutti si affrettano a rubricare il caso come il più classico dei suicidi.
D'altronde, con una moglie con la quale il defunto non condivideva più niente e un figlio che è frutto dei tanti amori occasionali della donna, il Roccella poteva pur averlo qualche motivo per togliersi la vita.
«Era siciliano» la vedova risponde al questore che la interroga «E i siciliani, ormai da anni, chissà perchè, si ammazzano tra loro».
A pensarla diversamente in merito al suicidio, in uno col brigadiere, c'è il professore Carmelo Franzò, vecchio amico della vittima.
Caso vuole che il procuratore che si occupa della vicenda sia un vecchio alunno del docente.
L'occasione allora è troppo ghiotta per lasciarsela scappare: il magistrato fa subito notare come, nonostante all'epoca della scuola fosse debole in italiano, non gli sia andata poi tanto male: adesso è procuratore della Repubblica e si trova qui a interrogare il suo vecchio docente.
Già, l'italiano.
"L'italiano non è l'italiano: è il ragionare" - disse il professore. "Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto".
Frattanto, in un ulteriore sopralluogo, il brigadiere si convince di una terribile verità: le porte dei magazzini adesso spalancate mentre prima erano chiuse con possenti catenacci; l' "odore di zucchero, di foglie di eucalipto macerate, di alcool"; l'interruttore che nonostante le ricerche accuratissime della volta precedente, viene candidamente trovato al primo tentativo, "dietro il busto di Sant'Ignazio", da uno dei membri della spedizione.
Tutti questi elementi portano in una sola direzione.
Disilluso, cerca comprensione nel professor Franzò
«Lei ha intenzione...?» gli chiede allora quest'ultimo, ma il brigadiere, "smarrito" e "stravolto", manifesta indecisione sul da farsi.
Gli eventi precipitano.
Lagandara ormai è diventato un uomo da eliminare. Si fa finta di pulire una pistola in commissariato, quando all'improvviso la si punta proprio sul sottoposto.
Si preme il grilletto, ma "l'atavico istinto contadino a diffidare, a vigilare, a sospettare il peggio" gli viene in soccorso: il brigadiere evita così la pallottola, ed è lui ora a sparare e ad uccidere chi lo voleva morto.
Forze dell'ordine, magistratura, l'insospettabile prete all'antica. Un meccanismo perverso, oliato da tanti "mezzi uomini" devoti al dio del profitto che pur dovrebbero, innanzitutto per il ruolo ricoperto, esserne gli antidoti.
Un capolavoro "semplice", questo di Sciascia. Un congegno pressochè perfetto condensato in poche, illuminanti, pagine.