mercoledì 23 ottobre 2024

"Le miniere dell'imperatore", di Lindsey Davis

In una Roma puntellata da funzionari corrotti, sgherri a ogni crocicchio di strade, imperatori che, quando non direttamente come nel caso di Vespasiano, passano comunque il loro tempo regale a ordire congiure e ad allestire vendette, se ne va a spasso Marco Didio Falco.

Un uomo, quest'ultimo, insensibile alle lusinghe del potere e del denaro, che vive costipato in una casupola all'ultimo piano di un quartiere popolare dove a stento un cane di media taglia potrebbe rigirarsi senza andare a sbattere sulle pareti che lo delimitano. Ovviamente con qualche affitto in arretrato, Marco Didio Falco è un buon diavolo che non disdegna di fare bisboccia con i pochi amici fidati, di unirsi con la donna del momento e di soccombere al cospetto della effervescente mamma che ogni tanto gli viene a mettere in ordine l'appartamento e a rimpognarlo.

Marco Didio Falco, di chiara fede repubblicana in una Roma imperiale fin nelle midolla, se ne va a zonzo lungo i portici del Foro monopolizzati dalle furbizie dei mercanti, quando s'imbatte in una giovane donna inseguita da alcuni energumeni.

Manco a dirlo, Didio Falco sgomina i lestofanti con qualche aiutino ed è già lì ad assumere un nuovo incarico: la difesa della giovanissima eppur conturbante Sosia Camillina.

Scopre così ben presto che Sosia è invischiata suo malgrado in una vicenda che lambisce le soglie dell'impero.

È una brutta storia di lingotti d'argento camuffati e trafugati dalla miniere britanniche che fa da contraltare a un complotto volto addirittura a spodestare Vespasiano.

Quando la dolce Sosia viene assassinata, Marco Didio Falco capisce che non troverà requie fino a quando, in un modo o nell'altro, non l'avrà vendicata. E proprio per far questo, ritorna in Britannia (l'ultima volta ci era stato era ai tempi del militare, e certamente non ne serbava un buon ricordo), stavolta addirittura facendosi passare per uno schiavo fuggito da qualche padrone influente.

È Elena Giustina, la sofisticata cugina di Sosia e figlia di un senatore al cui servizio Didio Falco si mette per raggiungere il suo obiettivo, a volere che l'investigatore faccia le sue indagini dall'interno delle miniere: è l'unica maniera, secondo Elena, perchè Marco Didio sconti la colpa per non aver vigilato sulla incolumità di Sosia Camillina.

Elena ben presto si deve ricredere sul conto dell'uomo. A tal punto che lo aiuterà in maniera significativa nelle indagini e sarà disposta anche a sciogliere i ghiacci del suo cuore per lui.

Dopo sacrifici immani nelle miniere e un abbrutimento di corpo e spirito, Didio Falco ritorna a Roma, ormai pronto a dare scacco matto ai cospiratori e a difendere, nonostante tutto, l'impero di Vespasiano.

Difesa, quest'ultima, a costo di qualche reticenza istituzionale: d'altronde, uno dei figli dell'imperatore non può essere certamente menzionato in un complotto imperiale, si sa.

Ironia, spirito romantico e guascone, quel distacco dalle lusinghe del potere e dagli allettamenti del denario, ci rendono l'ispettore ideato dalla penna felice della Davis simpatico fin da questa sua prima indagine.

Marco Didio Falco, buona la prima.

10 (righi) e non più di 10 #1

«Ah, Dio benedica la ragazza alla cassa: un sorriso e una gentilezza che ti rimettono in pari col mondo!»

«A quell'età è scontato: non ci sono lutti da elaborare»

Io, titolare della Tanatos S.r.l., consumo il mio caffè al tavolino.

Assumo la faccia contrita d'ordinanza.

Mi incammino verso la cassa con la mia fattura: un incidente, tre servizi funebri.

La mamma, il papà e il fratello della ragazza alla cassa.

Attende la mia visita.

"Storia della bambina perduta (L'Amica geniale)", di Elena Ferrante

La vita, con le sue contraddizioni e i marosi delle alterne vicende, scaraventa il rione nel mondo e incista il mondo nel rione.

La doppia elica (Elena-Lila) che innerva l'universo dei nostri personaggi, si evolve, cambia, si deteriora per poi riprendersi lo spazio connaturato alla loro presenza o, perchè no, alla loro assenza. E sì perchè a volte la scomparsa, la "smarginatura" è più feconda di una sguaita rivendicazione di sè.

Ecco, Storia della bambina perduta è ancora più degli altri tre libri della Ferrante, l'opera dell'assenza.

Pasquale, l'ideal-brigatista che coerente fino alla fine con gli insegnamenti egualitari del padre, incamera anche i delitti che gli vengono attribuiti da chi ha una educazione troppo borghese per giocare a lungo a fare il rivoluzionario (Nadia). E la cui aura vindice alimenta del suo fantasma le pareti sbrecciate del rione.

La detentrice terribile del "libretto rosso", Manuela Solara, che viene freddata con modalità che assumono presto contorni leggendari. I suoi figli, Michele e Marcello, che dopo aver fatto il bello e il cattivo tempo e aver finito per annichilire qualsiasi anelito di riscatto, abbandonando il campo per mano violenta.

I due Rino, il fratello di Lila e il figlio, che si svenano nelle lusinghe della droga. E se il primo non riesce a liberarsense finendone stroncato in uno squallido vagone, l'altro, il figlio, ne esce a fatica, portandosi addosso per tutta la vita le stigmate di una vacuità ingombrante.

Pure le intelligenze vive, però, non sono al sicuro dalla fiumana delle sparizioni. Il brillante Nino Sarratore, il bellissimo Nino Sarratore, l'immaturo cronico Nino Sarratore, l'Onorevole Nino Sarratore, il corrotto Nino Sarratore, il "destrorso" Nino Sarratore, il disfatto (nel fisico e nell'eloquenza ampollosa) Nino Sarratore dell'ultima apparizione.

Anche la trasformazione può covare i germi della dissoluzione.

Poi c'è Elena, un compasso con un asta persa per il mondo, impegnata a fare e a disfare la sua rivoluzione, a imprigionare le esistenze del rione tra i caratteri di stampa, ma pur sempre legata all'asta che se ne sta ferma lì, piantata nel grumo di un microcosmo suo malgrado precursore di tutti i miasmi del Paese: Lila Cerullo, l'amica geniale.

Che tiene sotto scacco i Solara, che dà in pasto alla passione di Michele un Alfonso che diventa, anche fisicamente, la sua controfigura. E poi la creatrice di ricchezza pur non avendo alcuna arte, l'intelligenza acutissima che riesce addirittura a prescindere dall'erudizione, la donna che può permettersi di anticipare tutto e tutti perchè tutto prevede e ogni cosa assimila più e meglio degli altri.

Lila, la mamma infine che può rispondere a una sola maniera alla scomparsa della figlia Tina: scomparendo lei stessa, probabilmente in quel firmamento ammirato decenni prima a Ischia che fin da subito l'aveva atterrita. Troppa ricchezza di possibilità da poter essere appena intercettate da tutte le vite del mondo!

Sulla cassetta della posta di un Elena ormai anziana, che trova stonate perfino le pagine dei libri tanto amati, un fagotto di carta anonimo e sgualcito. All'interno Tina e Nu, rispettivamente la bambola di Lila e quella di Elena, ufficialmente perse (anche loro) nelle segrete oscure di don Achille.

"Storia della filosofia greca, I presocratici", di Luciano De Crescenzo

È una storia della filosofia, questa di De Crescenzo, che è ormai diventata una pietra miliare per ogni appassionato di filosofia che si rispetti, soprattutto alle nostre latitudini.

Lungi dal considerarsi filosofo in senso tecnico, il Nostro tiene fede al proponimento che a più riprese ha ribadito: il voler essere come quelle enormi scale semoventi presenti in biblioteca che permettono al Lettore di poter accedere fisicamente anche ai volumi che si trovano lassù in alto. Fuor di metafora, quindi, un tramite tra i comuni mortali e l'empireo dei saggi.

E per tener fede a questo proponimento dedica la sua opera addirittura a Salvatore, il celeberrimo vice-sostituto-portiere di via Petrarca, 58, dove risiede il prof. Gennaro Bellavista.

Senonchè non c'è approfondimento senza innovazione che tenga: al sagace De Crescenzo, infatti, non potevano bastare i filosofi presocratici "canonici", nossignore. E allora ecco aggiungersi agli esponenti della Scuola di Mileto (il Talete che per osservare le stelle cade in un pozzo, meritandosi gli sfottò dalla servetta tracia, l'Anassimandro con il suo "mammasantissima" apeiron che "tiene sotto lo schiaffo" gli altri quattro elementi, l'Anassimene che per raccordare Talete con Anassimandro, sceglie l'Aria come sostanza primordiale) l'eccentrico Peppino Russo che, come tutti i filosofi "ilozoisti", è convinto assertore della presenza dell'anima in ogni cosa, financo nelle bambole che impicca ai rami degli alberti vicino a casa sua.

Luciano De Crescenzo passa poi al Pitagora "superstar", con la sua idiosincrasia per le fave e la pervasiva "aritmo-geometria" finita a carte quarantotto dopo la scoperta dei numeri irrazionali.

Si sofferma così sulla figura dell' "oscuro" Eraclito, con la sua impossibilità di bagnarsi per due volte nelle acque dello stesso fiume e il suo antigrillino "uno val per me diecimila, se è il migliore".

È arrivato il momento di Tonino Capone, il secondo filosofo spurio, che alla serranda della sua officina troppo presto abbassata ha affisso questo singolare cartello: "Avendo guadagnato quanto basta, Tonino è andato al mare".

Il campo d'indagine viene presto a riguardare la Scuola di Elea: c'è Senofane con la sua critica acutissima all'antropomorfismo degli dei; ci si sofferma su Parmenide, "maestro venerando e terribile" e il suo granitico Essere, per poi approdare al cervellotico Zenone con i suoi paradossi contro il movimento e il mutamento, e a Melisso, l'unico ammiraglio filosofo.

È la volta di Empedocle ("mezzo Newton e mezzo Cagliostro") con la sua guerra perenne e instabile tra Amore e Discordia.

Qui si inserisce Gennaro Bellavista con il suo originalissimo piano cartesiano in cui si susseguono il Quadrante del Ribelle, il Quadrante del Saggio, il Quadrante del Tiranno e il Quadrato del Papa.

Anassagora "la Mente" con le sue omeomerie dà la stura a Leucippo col suo atomismo poi perfezionato dall'illuminante Democrito che, una volta divenuto vecchio, si regala la ceceità esponendo i propri occhi addirittura ai raggi del sole riflessi dallo scudo argentato.

Subito dopo un breve excursus sui principali sofisti (degno di menzione è Gorgia da Leontini con l'adamantino l'Elogio di Elena in cui dimostra l'asoluta innocenza di Elena), l'opera si chiude con il campione del relativismo, Protagora di Abdera.

Ma la Storia della filosofia di De Crescenzo non può finire senza il riferimento all'ennesimo filosofo à la carte, nella fattispecie l'avvocato Tanucci, che consente allo scrittore di farsi una affacciatina sul mondo forense con le sue cinque categorie di addetti ai lavori: gli avvocati di grido, gli avvocati normali, i paglietta, gli strascinafacenne e i giovani di studio.

Per evitare che il Lettore più sprovveduto possa scambiare Peppino Russo, Tonino Capone, Gennaro Bellavista e l'avv. Tanucci per filosofi autentici e portarli come materia d'esame, ecco trovato l'espediente tipografico: utilizzare un diverso carattere e racchiudere le loro gesta pratico-filosofiche con una bella cornice.

Anche questo è stato l'impareggiabile Luciano De Crescenzo.

"Storia di chi fugge e di chi resta (L'amica geniale)", di Elena Ferrante

In questa terza parte della fortunata trilogia, la Ferrante si sofferma soprattutto su Elena, sulla sua affermazione sociale (sposa addirittura di un Airota) e professionale (il libro che vende bene nonostante qualche mugugno della intellighenzia).

Ma sono tempi di contestazione giovanile, di fermento politico, di sommovimenti sociali e ambientali. E poi c'è l'influsso barricadero dell'onnipresente Lila che, dopo la sindacalizzazione (più o meno consapevole) dell'azienda di Soccavo, continua nella sua spirale incessante di energizzazione del presente, "come se la necessità di faticare non coincidesse con la necessità di umiliarsi".

Sullo sfondo, gli enigmatici calcolatori che l'hanno fatta approdare nientedimeno che "alle dipendenze" dell'odiatissimo Michele Solara (solo la paga alta può giustificare questa apparente incoerenza?), il disinnamoramento nei confronti del suo Gennaro che si ostina a somigliare sempre di più a Stefano malgrado dovrebbe essere stato concepito con Nino, la rivincita verso l'ex marito che finisce addirittura a ricettare merce rubata per sbarcare il lunario.

La morte, però, furoreggia repentina tra i vicoli del quartiere e nelle diramazioni abitate dai personaggi del libro: il rampollo Soccavo vittima di una spedizione punitiva, il fascistissimo Gino che stavolta è stato lasciato solo dalle sue squadracce, addirittura la mammasantissima Manuela Solara il cui libro rosso, dove sono annotati i nomi dei "comprati" dal potentissimo clan, "è più importante del libro di Mao".

Ed è un'ennesima morte, anche questa volta violenta, che consente a Lila e a Lenuccia, proiettate improvvisamente nel presente della narrazione (2005), di riannodare le fila delle loro vicende: Gigliola infatti, simulacro slabbrato della bella donna che fu, è stata trovata uccisa innanzitutto dall'amore tossico di Michele Solara.

Da qui parte il racconto, ed è una storia di chi resta (Lila) e di chi fugge (Elena): Lila, all'interno del rione, ed Elena lontana, a Firenze.

Eppure chi resta continua a consumarsi nell'eterno fuoco eracliteo del cambiamento mentre chi fugge si porta inevitabilmente appresso l'immobilità tetragona ai colpi di ventura.

Tutto vero, almeno fino a quando non riappare Nino Sarratore.

Che viene invitato dal professore Airota, suo collega, a casa sua, nella casa che condivide con la moglie Elena e le due bambine.

Gli argini incominciano a vacillare, le paratie bestemmiano cedimenti.

L'ispirazione di un nuovo libro, la passione che non s'è mai sopita.

Colpo di scena, stavolta è Lila che deve assistere alla rivoluzione dell'amica del cuore nonostante l'abbia subito bollata col marchio infamante della perdizione.

Ferma un giro e attendi gli eventi, Lila Cerullo.

Sulle miserie del mondo, lì nell'azzurro delle rotte oniriche, un aereo viaggia, direzione Montpellier, sorretto da due mani strette e incuranti del mondo.

Rinascita o annientamento di ogni pretesa di felicità?

"Storia del nuovo cognome (L'amica geniale)", di Elena Ferrante

L'abbiamo lasciata al suo matrimonio, la Lila del primo libro. Occhi sbarrati, volto esangue nel vedere le scarpe, quelle disegnate e costruite dalle sue mani bambine, ai piedi di Marcello Solara.

In quel preciso momento Stefano "si smargina" davanti ai suoi occhi, perde consistenza fino a rifluire nella voracità e nella crudeltà di don Achille, il padre di Stefano che ha ghermito le bambole di Lenuccia e Lila anni addietro.

La giovane sposa realizza da subito che quel matrimonio, a dispetto della casa nel rione nuovo, degli agi e della ricchezza, sarà un'altra pagina nera della sua esistenza. E mentre Lila capisce che "Cerullo in Carracci" è un moto a luogo, "come se fosse una specie di Cerullo va in Carracci, vi precipita, ne è assorbita, vi si dissolve" Elena, pur affastellando tassello su tassello di una brillante carriera scolastica, si interroga perplessa sulle "migliaia di parole della scuola compresse nella testa e non spendibili" tra le strade del rione.

C'è poi il bisogno di "bagni di mare" per invogliare il ventre di Lila a mettersi finalmente all'opera e sfornare un bel pargolo incancrenito dai traffici di Stefano e dagli appetiti dei Solara.

Deve esserci pure Elena a Ischia, Lila ha bisogno di lei per difendersi dalla grettezza della vita.

Appare Nino Sarratore e il cuore di Elena si apre. All'agguato, però, c'è il fascino animale di Lila a cui nessuna intelligenza, prima che qualsivoglia corpo, può resistere.

Lila, spalleggiata proprio da una reticente Lenuccia, si dà anima e corpo al figlio del ferroviere-poeta.

Elena, per quanto brighi per separare le due sorti, non può rompere la simbiosi, per contrasto o affinità, con l'animo dell'amica geniale. E quindi, del tutto casualmente, proprio mentre per la prima volta Lila assapora l'amore vero, lei perde la verginità annichilita dalla sensibilità pelosa e dal sentimentalismo stucchevole di Donato Sarratore, il padre del "suo" Nino.

Le cose cambiano, nel rione e nella testa delle persone.

Lila non riesce a staccarsi da Nino, al punto da abbandonare Stefano e andare a vivere con lui. Non è solo un allontanarsi dal marito, ma è anche un ripiombare nella miseria che stavolta però, nutrita da continui e stimolanti confronti mentali, pare ammantarsi di irrilevanza.

Elena prende la licenza liceale col massimo dei voti, vince una borsa di studio per frequentare la Normale di Pisa.

Lila è costretta a tornare da Stefano col figlio di Nino in grembo, che lo stesso Stefano però decide che debba essere incontrovertibilmente suo.

Elena si laurea col massimo dei voti mentre Lila riesce una volta per tutte a lasciare Stefano e trova in Enzo il suo encomiabile supporto.

C'è una novità che potrebbe essere sconvolgente: la dottoressa Greco sta per pubblicare un libro (il sogno delle due bambine che si realizza). E proprio mentre Elena si reca nella fabbrica di salumi in cui lavora una sgualcita Lila tronfia della sua superiorità di scrittrice, l'amica le racconta della sua nuova passione per i calcolatori e per il linguaggio binario.

L'ennesimo traguardo che nonostante la ricomparsa de "La fata blu" (il libriccino di Lila che, anche a distanza di tanto tempo, fa sentire l'arte di Elena semplicemente uno sviluppo del talento dell'amica) precipita la neolaureata in quell'eterna ammirazione per le curiosità intellettuali e per l'acume dell'indomita "sorella".

Ancora una volta, apollineo e dionisiaco, razionalità e genialità che si intersecano e si allontanano, senza mai essere capaci di stare l'uno definitivamente lontano dall'altro.

"Hercule Poirot, l'ora della verità", di Agatha Christie

Questa voluminosa raccolta della Arnoldo Mondadori Editore del 1975 contiene ben 3 libri della regina del giallo (Poirot non si sbaglia, Dopo le esequie, Corpi al sole) e Sei indagini lampo dall'agenda di Hercule Poirot che, come fa supporre l'aggettivo del titolo, sono deliziosi racconti.

Ne La cassapanca di Bagdad campeggia, per l'appunto, "un mobile che il maggiore Rich aveva portato dall'Oriente" e nel quale, seguendo " una grossa macchia che coloriva il tappeto", si scopre un cadavere. Il corpo è quello del signor Clayton che era stato invitato, assieme alla consorte, a trascorrere una serata col maggiore Rich. Peccato che, causa una improvvisa convocazione in Scozia, mister Clayton ha solo il tempo di recarsi dal maggiore per avvertirlo che lui non ci sarà, a quell'evento.

E allora che ci fa adesso privo di vita nella cassapanca? E, soprattutto, perchè il mobile ha dei buchi sulla parte posteriore?

Il tenente Simpson de L'espresso per Plymouth è colpito dal persistente odore di cloroformio presente nello scompartimento ("Gli ricordava la degenza in ospedale e l'operazione alla gamba"). In seguito, dopo aver prelevato dalla valigia un fascio di giornali e delle riviste, prova a far scivolare il bagaglio sotto il sedile dirimpetto. C'è però un ostacolo che impedisce l'operazione. È il cadavere di una donna pugnalata al cuore.

Il signor Halliday, padre della defunta, si affida all'unico uomo in grado di scoprire movente e colpevole: manco a dirlo, Hercule Poirot.

Cosa ci fa il variopinto Arlecchino steso supino sul pavimento con un coltello nel cuore? Avrebbe dovuto semplicemente partecipare a un ballo, Il ballo della Vittoria, in cui cui una compagnia rappresentava i personaggi della Commedia dell'Arte italiana. Ma si sa: a volte si può recitare pure più parti in commedia come, nel caso specifico, quella di Pierrot e di Arlecchino. Basta sfilarsi un costume per restarsene tranquillamente, almeno fino a quando non interviene l'ometto con le ipertrofiche cellule grigie, con un altro indossato sotto alla bisogna.

Ne L'eredità dei Lemesurier un triste destino sembra incombere sulla famiglia Lemesurier: nessuno dei primogeniti arriverà mai a ereditare le cospicue fortune familiari. E questo perchè un avo aveva negato una paternità che poi sarebbe risultata legittima, condannando a morte la moglie e il figlio.

Le maledizioni però non possono reggere il confronto con la razionalità del Nostro.

La signora Pengelley di Accade in Cornovaglia, una donna con poca avvenenza e alquanto sciupata, è convinta che il marito voglia avvelenarla, probabilmente per rifarsi una vita con l'assistente dello studio dentistico. Poirot sembra in un primo momento non dare eccessiva importanza alla cosa senonchè, quando si decide finalmente a recarsi a casa della signora Pengelley, non gli comunicano che davvero è morta.

E se i timori della donna fossero stati fondati? Il colpevole, anche per la giustizia, sembra essere lui, il dottor Edward. Si arriva a questa conclusione soprattutto per le illazioni del compagno della nipote della defunta. Già, quello stesso signor Radnor che appare alquanto ambiguo nelle sue manifestazioni d'affetto.

Ne Il rubino un avventato principe indiano, poco prima del matrimonio, si fa rubare un prezioso rubino che avrebbe dovuto regalare alla sposa. Lo scandolo è dietro l'angolo. Almeno fino a quando Hercule Poirot, lasciatosi convincere a trascorrere un Natale tradizionale nella campagna inglese, non riesce a trovare la pietra preziosa e ad acciuffare la coppia che si è infiltrata nella compagnia.

La neve, il vischio, il camino e un dolce che avrebbe dovuto essere servito per Capodanno ma che, provvidenzialmente per l'acuto Poirot, è stato presentato al pranzo di Natale.