martedì 28 aprile 2015

Machiavelli sul barcone, Vitiello sullo yacht



E se facessimo un gioco? Prendiamo Machiavelli, portiamolo nel tempo nostro, facciamolo nascere in Africa e mettiamolo a confronto con Gennaro Vitiello, eh?

Facciamo un gioco dunque che, come ogni gioco che si rispetti, ha le sue regole che prontamente elenchiamo.

Regola I: prendiamo due persone, una contemporanea, tale Vitiello Gennarino, figlio di camorristi, e l’altra storica, il Nobilis Homo Niccolò Machiavelli, di professione storico per l’appunto, ma anche filosofo, scrittore, politico e drammaturgo.

Regola II: trasportiamo l’autore de Il Principe dal Cinquecento ai giorni nostri.

Regola III: facciamo nascere l’Eccelso Machiavelli in Libia o in un altro Paese africano martoriato dalla guerra e/o dalla fame.

Regola IV: (consequenziale alla III): nato in Africa, il nostro Niccolò lo dobbiamo dipingere di nero disperazione, di ebano privazione.

Regola V: dotiamo Gennarino Vitiello di una ottusità congenita; di contro, riconosciamo l’intelligenza nota al Machiavelli africano.

Ebbene, dopo aver fatto le dovute premesse (regole), lasciamo i nostri due personaggi, Vitiello e Machiavelli, vivere la loro vita rispettivamente a Napoli, rione Forcella, e in Africa, in qualche anfratto di povertà e di miseria qualsiasi.

Gennarino nasce in una famiglia ricca perché camorrista, camorrista perché ricca. Pur essendo praticamente scemo (a Forcella, prima che la sua natura malavitosa lo vietasse, lo chiamavano Gennarino ‘A ‘gnuranza), fin da piccolo viene sommerso dalle opportunità che gli cadono addosso e che restano, causa il suo encefalogramma piatto, intonse.

Abbandona la scuola dopo essere stato bocciato due volte in seconda media, poi decide di diventare grande. Scippi, rapine, omicidi. Soldi, donne, droga, appalti. A trent’anni, è proprietario di una quarantina di appartamenti, di una decina di ferrari, della vita di un migliaio di persone.

Il Vitiello, comunque, sarebbe sempre scemo, ma nessuno oserebbe neppure lontanamente insinuarlo, adesso.

Machiavelli continua ad avere un’intelligenza fuori del comune. Ha frequentato qualche anno di scuola, giusto il tempo di imparare a leggere, a scrivere e a far di conto. Morto infine il babbo, a malincuore ha dovuto abbandonare gli studi per cercare, da primogenito, di sfamare la sua numerosa famiglia. Eppure, quando le pause della guerra e un po’ di cibo nello stomaco glielo concedono, Machiavelli si sente incompleto. E non tanto per le privazioni materiali quanto, piuttosto, per il bisogno di domare quell’anelito, grezzo e pur doloroso, di conoscenza che sente infuocargli l’anima.

Un giorno, dopo l’ennesimo tramonto africano, decide di partire. Mette a frutto la sua intelligenza. Non avendo ambiti in cui incanalare il suo considerevole talento, prova almeno ad imbarcarsi da protagonista. Tanto si dà da fare che diventa scafista. Uno scafista, sia chiaro, molto più coscienzioso di quelli che abbandonano i barconi con il carico umano alla deriva, ma pur sempre uno scafista.

A trent’anni Machiavelli sbarca a Lampedusa. È proprietario della sua intelligenza, di una maglietta dell’Italia sdrucita, di una vita in qualche C.I.E che ce la metterà tutta per mortificare la sua dignità di essere pensante.

Poco prima di approdare in Sicilia, quando era ancora sul barcone rimasuglio, anche lui, di carne indigesta vomitata dall’Occidente, il nostro Machiavelli ha visto lì, all’orizzonte, uno yacht di una lussuosa arroganza. Se ne stava a beccheggiare indifferente, tra l’ignoranza annaffiata di champagne dei suoi occupanti.

A distanza di qualche anno Machiavelli, in procinto di partire per la Francia dopo estenuanti stagioni di raccolta di pomodori, vede di nuovo lo yacht.

Si ferma a guardarlo più del dovuto.

Gennarino Vitiello in persona, allora, dall’alto dell’intelligenza dell’uomo che c’ha saputo fare, esce fuori dalla cabina e gli sbraita contro:<Strunz, che cazzo tien a guardà? Si nun te ne vai, t’ sparo miezz ‘e pall. – e poi, tornando alle cosce calde di Amaranta – Ma tu vir ‘nu poco – non si capacita Vitiello – ‘sti nir ‘e merd: ‘o meglio e ll’or, nun è capace e fa “o” cu o bicchiere…razza ‘e sciemi!>

Il gioco è terminato. Dopo averlo ringraziato per la sua disponibilità, riportiamo l’ottimo Machiavelli nel Cinquecento non prima, ovviamente, di avergli restituito la carnagione rinascimentale. E teniamoci (non possiamo fare diversamente) i moltissimi Vitiello che popolano la nostra piccola Italia.

A ciascuno (purtroppo) il suo.

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