Ebbene sì, me ne sto convincendo sempre di più: secondo me la lingua di Dio, il suo idioma, è la musica.
Ragionatene con me. Il libro della Genesi ci narra la vicenda della Torre di Babele costruita dagli uomini per “raggiungere” Dio. Ora la divinità, per punire la superbia (la hybris della tragedia greca) dei suoi fedeli, ingarbuglia le lingue in maniera tale che le persone non si possono più comprendere e, non intendendosi, non possano più continuare la costruzione della torre. Ecco nata, quindi, la diversità linguistica tra i vari popoli della Terra.
A partire da questo momento, la difformità tra una lingua ed un’altra non solo ha creato problemi alle persone, ma è stata foriera di guai anche per il messaggio stesso che Dio ha voluto veicolare agli uomini di buona volontà. E non parlo soltanto del passato (si pensi, per un attimo, alle eresie nate e perseguitate per la diversa definizione data, ad esempio, allo Spirito Santo – basta leggere, all'uopo e senza scomodare i testi religiosi, il Nome della Rosa di Eco per farsene un’idea), ma anche del presente, come nel caso della querelle infinita tra gli assertori della interpretazione letterale (ad es. i Testimoni di Geova) e quelli dell’interpretazione più “libera” e “mediata” delle Scritture; oppure, per allargare il campo delle incomprensioni, si pensi ancora alle dispute interminabili, sempre causate da sottigliezze terminologiche, sul corretto significato da attribuire alla parola jihad.
Stando così le cose, io ritengo che al buon Dio sarebbe convenuto molto di più parlare attraverso la musica, non foss’altro che per evitare i fraintendimenti linguistici che hanno causato, e continuano a causare, una messe di morti per un accento o un apostrofo.
Con la musica, invece, si risolverebbe ogni problema. Il do, infatti, in qualsiasi latitudine del mondo, è sempre scritto allo stesso modo sul pentagramma. Una semibreve si chiamerà diversamente a seconda del Paese in cui la partitura viene eseguita, ma la sua raffigurazione e, quindi, il suo valore, saranno sempre la stesse, dal Manzanarre al Reno.
Quali sono le fonti capaci di accreditare questa mia (strampalata) teoria? Nessuna, ovviamente, ma mi piace pensare che a questa conclusione sul linguaggio di Dio si siano avvicinati, sia pure sempre nel solco dell’ortodossia cattolica, anche personaggi illustri come San Bernardo…
I tre monaci] incontanente che furono dentro [alla porta d’esso Paradiso], udirono lo suono della rota del cielo che si volgeva; lo quale suono era di tanta dolcezza e suavitate e di tanto diletto, che quasi non sapevano lo sito dove erano, anzi si posono a sedere dentro della porta, tanto erano allegri e dilettosi di quello suono della rota del cielo! (Leggenda del Paradiso Terrestre, ne Le sette opere di penitenza di San Bernardo)
e il Sommo Poeta Dante Alighieri, con la sua armonia delle sfere…
Quando la rota, che tu sempiterni Desiderato, a sé mi fece atteso, Con l’armonia che temperi e discerni, Parvemi tanto, allor, del cielo acceso De la fiamma del sol, che pioggia o fiume Lago non fece mai tanto disteso. (Par I, 76-81)
UT queant laxis/REsonare fibris/ MIra gestorum/ FAmuli tuorum/ SOLve pollutis/ LAbiis reatum/ Sancte Jhoannes
Certo, obietterete voi, qui si parla di causa (latino, e quindi lingua) ed effetto (la musica). Ma voi stessi sapete fin troppo bene che il confine tra causa ed effetto, a volte, è molto sottile e, altrettante volte, di non chiara antecedenza logico-semantica.
In conclusione, a Dio piacendo, e nella speranza di non essere tacciato di eresia, credo proprio che la voce di Dio sia una musica celestiale.
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