martedì 21 aprile 2015

Le fabbriche di sigaro e il capitalismo


In Meraviglie lontane, di Chantel Acevedo, e/o edizioni, mi imbatto nel racconto della protagonista, tale María Serena, che narra la sua esperienza di lectora in una fabbrica di sigari a Cuba.


Chi sono i c.d. lectores? Persone con una bella voce e un’apprezzabile dizione che, nelle fabbriche di sigari cubane, cercano di alleggerire le giornate lente e faticose degli arrotolatori di foglie di tabacco: in che modo? Semplicemente leggendo, su un palco allestito allo scopo, le notizie del Gramna, il giornale ufficiale del Partito Comunista Cubano, e vari libri e romanzi scelti di comune accordo con gli operai.

Ogni lavoratore della fabbrica di sigari, poi, partecipa con il suo contributo alla paga del lettore di libri e giornali.

I lectores, come tutte le persone di cultura a Cuba, vengono considerati uomini influenti, capaci di illuminare, con il vivido chiarore della loro erudizione, anche gli aspetti all’apparenza più oscuri e insolubili di una vicenda. E per questa loro riconosciuta qualità, vengono spesso consultati sui temi più disparati dagli operai.

I romanzi preferiti dai lavoratori delle fabbriche di sigari sono innanzitutto i grandi classici della letteratura. Ciò spiega perché, ad esempio, due tra i migliori marchi di sigari cubani si chiamino Montecristos e Romeo y Julieta.

Ora, mentre mi meraviglia relativamente l’artigianalità “lenta” nella lavorazione dei sigari cubani e la presenza dei lectores descritta nel romanzo di Chantel Acevedo (il libro è ambientato nella Cuba degli anni ’60 del secolo scorso), mi sorprendo a restare letteralmente basito nello scoprire che ancora oggi è rimasto tutto immutato nelle varie fabbriche di sigari disseminate per l’isola. Ancora oggi, cioè, ogni lavoratore impiega un’infinità di tempo per arrotolare, rigorosamente a mano, le foglie di tabacco, una per una, facendo ricorso solamente alla sua maestria e rifuggendo da ogni scorciatoia chimico-additiva che possa rendere più appetibile il frutto della sua fatica; finanche nel III millennio, quindi, gli operai delle fabbriche di sigari scelgono e pagano un lettore che renda meno faticoso il loro lavoro con il balsamo rigenerante della cultura.

Premesso ciò, è ormai notizia nota il disgelo tra U.S.A. e Cuba che porterà, previo voto favorevole del Congresso americano, alla fine dell’embargo contro Cuba.

Ora, una volta affacciatasi l’isola sulle sponde del capitalismo, credete voi che le fabbriche di sigari potranno continuare a funzionare nel modo appena descritto?

Pensate davvero che il singolo lavoratore potrà persistere nel voler arrotolare a mano ogni singola foglia di tabacco, nel caldo umido (l’aria condizionata potrebbe asciugare le preziose foglie di tabacco) che deve regnare necessariamente in fabbrica? Date per certo che l’operaio potrà ancora impiegare ore per “assemblare” poche unità di sigari? E infine, siete proprio convinti che i lavoratori potranno permettersi il lusso di perdere tempo ad ascoltare quei nullafacenti dei tre moschettieri mentre i mercati reclamano sigari, sigari e ancora sigari?

Orazio, dopo la conquista della Grecia ad opera dei Romani, ebbe a scrivere: Graecia capta ferum victorem cepit (la Grecia, conquistata [dai Romani] conquistò i selvaggi).

Ebbene spero vivamente, almeno per quanto riguarda l’amore per la cultura e la sacralità del lavoro, che i lavoratori di sigari cubani conquistino, all’indomani della fine dell’embargo, le selvagge multinazionali d’Occidente.

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