martedì 22 ottobre 2024

"Una vita", di Italo Svevo

Alfonso Nitti, giovane che avrebbe trascorso tutta la vita nel suo paesello con mamma Carolina e chissà, magari sposando Rosina, viene assunto alla banca Maller.

Si sposta quindi in città, avvertendo fin da subito la risacca della nostalgia per un mondo semplice da cui si sente improvvisamente estromesso.

Il microcosmo della banca è costellato da invidie, arrivismi, piccoli e grandi grettezze. Alfonso, con qualche velleità filosofica, si sente depotenziato. L'unica consolazione è quell'oretta trascorsa nella biblioteca comunale a sognare soddisfazioni, magari letterarie, ulteriori.

Va a pigione dalla famiglia Lanucci che punta sul riscatto, soprattutto economico, rappresentato da un possibile e auspicato fidanzamento di Lucia proprio con Alfonso. Alla fine, non solo questo fidanzamento non ci sarà, ma Lucia verrà sedotta e quasi abbandonata da un operaio che ritira ben presto la parola data.

Frattanto il Nostro è ammesso agli appuntamenti settimanali in casa Maller: Annetta, la civettuola e glaciale figlia del direttore della banca, prova anche a scrivere un romanzo a quattro mani con Alfonso di cui, a conti fatti, si potrebbe fare tranquillamente a meno.

Ben presto tra Alfonso e Annetta scoppia qualcosa che potrebbe far pensare all'amore se non fosse, da entrambe le parti, troppo contaminato con le rispettive convenienze e la reciproca incapacità di abbandonarsi al flusso degli eventi.

All'impiegato giunto dal paesello potrebbero bastare i baci e le carezze che ogni tanto i due giovani si scambiano. Francesca però, la governante che vorrebbe utilizzare Alfonso come pedina per lo scacco matto al vedovo Maller, lo spinge a osare di più.

Si passa finalmente il segno. Annetta dev'essere innamorata, ora che la sua insensibilità non è valsa a proteggerla del tutto. Dovrà convincere il papà, il fratello, dovrà stornare dal capo di Alfonso l'etichetta di arrivista.

Gli chiede di pazientare per un po'. Alfonso, dal canto suo, decide di ritornare al paese. Perchè? Perchè vule concedere il tempo ad Annetta di ricredersi, quello stesso tempo che Francesca lo esorta a non lasciar passare invano, se non vuole perderla definitivamente. Caso vuole che, una volta tornato a casa, viene a sapere della malattia della mamma.

La licenza accordata inizialmente dalla banca per quindici giorni, diventa lunga più di un mese: il tempo necessario per il figlio di raccogliere l'ultimo rantolo di mamma Carolina.

Alfonso ritorna in città e al lavoro in banca, trovando esattamente quello che si aspettava di trovare: Annetta dimentica di lui e promessa sposa al cugino.

Poco male. In compenso riguadagna la libertà del saggio.

Poi però arriva la punizione immeritata: lo spostamento alla contabilità della Banca. E lui che ha bisogno di ingolfarsi in parole e periodi che possano cauterizzare le sue ferite, si sente perduto al cospetto di cifre con le quali non si raccapezza.

Nell'intento di riportare un singulto di giustizia purchessia, offre la dote a Lucia che le dovrebbe impedire di essere abbandonata dal moroso.

Dopodichè, una volta fattosi persuaso della sua inettitudine alla vita e avendo realizzato con febbrile lucidità che "bisognava distruggere quell'organismo che non conosceva la pace", si toglie la vita.

Il tenore della lettera finale di Maller & C. al signor Mascotti è il giusto epitaffio su una vita, quella dell'impiegato Alfonso Nitti, che merita di scolorire nell'irrilevanza.

"Dopo le esequie", di Agatha Christie

L'incipit è alquanto consueto: Richard Abernethie, ricco possidente che dopo la morte del figlio Mortimer, erede designato delle sue ricchezze, perde ogni interesse alla vita, spira nel suo letto.

Il notaio Entwhiste, amico di una vita prima che esecutore testamentario delle volontà del defunto, convoca i fratelli e i nipoti nella casa avita.

C'è un testamento da leggere e una pletora di beneficiari della fortuna del vecchio. La situazione è quella classica, e classiche dovrebbero essere le modalità di svolgimento della seduta senonchè, come un fulmine a ciel sereno, arrivano le parole di Cora Lansquenet, sorella del defunto: «Voglio dire che è stato ucciso, non è così?»

Ora si sa, Cora è stata sempre un po' svampita, con l'abitudine di dire quello che pensa anche quando se lo sarebbe tranquillamente potuto risparmiare. La parìa Cora, che ha sposato un pittore inviso alla famiglia ed è diventata pittrice lei stessa però, ha una qualità conosciuta benissimo anche dal notaio: è inopportuna ma spesso quello che dice merita quantomeno attenzione.

Entwhiste, allora, comincia a guardare alla morte del vecchio amico con occhi diversi. E se la singolare Cora c'avesse ancora una volta visto giusto?

C'è un problema: tutti gli eredi, sia quelli di prima generazione che quelli di seconda, si trovano in una situazione finanziaria tale che la morte di Richard Abernethie non può non avvantaggiarli.

Urge l'intervento del nostro Hercule Poirot.

Nel frattempo Cora, a cui pochi giorni prima di morire Abernethie aveva fatto visita, viene uccisa con un'accetta. E come se non bastasse la sua governante, l'impeccabile signorina Gilchrist, per poco non ci lascia le penne per via di una torta all'arsenico che si presume essere arrivata per posta.

Ci sono, infine, suore enigmatiche che appaiono e scompaiono nei momenti cruciali, attori di teatro veri e altri che la cupidigia, o un sogno inseguito da troppo tempo e mai potuto realizzare, rende più realistici del vero.

In tutto questo l'ineffabile Poirot si trova in alto mare: tutti sembrano avere alibi e vite irreprensibili. Ma qualcuno trama nell'ombra, e ciò diventa chiaro soprattutto quando l'acuta vedova Helen, che si è improvvisamente ricordata di un particolare fondamentale, per poco non viene uccisa con un pesante fermacarte.

A Hercule Poirot, del tutto insolitamente privo di appigli su cui modellare le sue brillanti intuizioni, non resta che mettersi in ascolto, convinto com'è che quando si parla, anche il più attento mistificatore, finisce per tradirsi.

A sugello di tutto, c'è un tavolo di malachite con dei fiori in cornice che vengono ricordati integri quando ormai non lo sono più.

Il gioco, a questo punto, è fatto. Partita vinta per Hercule Poirot.

"Tonio Kroger", di Thomas Mann

Il destino di un uomo, a volte, è racchiuso nel suo nome: Tonio, in onore di Consuelo, "quella madre bruna e focosa che suonava così bene il pianoforte e il mandolino", originaria di "un punto tanto lontano della carta geografica"; e Kroger, in ossequio al padre "un signore alto, vestito con cura, dagli occhi azzurri e pensosi, che portava sempre un fiore di campo all'occhiello".

Eccoli i due mondi, l'uno dell'imprevedibilità e della fantasia tipicamente meridionali e l'altro, quello del "mercante inteso alla moneta" (Gozzano) tipico "degli occhi azzurri" delle alte latitudini.

La metafora manniana "degli occhi azzurri" che si accompagnano inevitabilmente ai capelli biondi, è quella propria del borghese non corrotto dalla cultura, quell'ideale prima rinnegato e poi agognato dal protagonista di questo racconto lungo.

D'altronde, lo stesso Hans Hansen, l'amico del cuore di Tonio, ha gli occhi azzurri; come azzurri sono, a ben vedere, le iridi di Inge Holm che balla la quadriglia con movenze angeliche mentre lui, che scrive poesie (o quale stucchevole artificio!) cade a terra, incapace di muovere un solo passo, tra le risate di scherno della compagnia.

Eppure la salvezza è lì, a due passi: negli occhi, stavolta neri e nella carnagione scura, di Magdalena che si atteggiano a porto sicuro per la sua diversità. Tonio, però, sente che perdersi in quei tratti meridionali, significherebbe condannarsi a una vita dove non può trovare cittadinanza alcuna il suo ideale di purezza.

"Io sto tra due mondi, di cui nessuno è il mio": eccola l'amara constatazione del protagonista che lo porterà, nonostante le mille esperienze vissute, la gloria letteraria sentita come sempiterna mistificazione in cui manca qualsiasi accenno di genuinità, allo scacco matto nei confronti della vita.

Potremmo parlare con riferimento a Tonio Kroger, se i due termini non fossero in qualche modo antitetici, di un nichilismo pervaso da un tardo romanticismo.

L'unica salvezza per Tonio è quella di far ritorno nel palazzo avito, tra la pioggia della propria patria. Come, però, scrive alla pittrice Lisaweta Iwanowna, anche da quell'Arcadia, sia pure solo per un malinteso, è escluso, a tal punto che addirittura vogliono arrestarlo. Eppure proprio lì, rivede i biondi dagli occhi azzurri Hans e Inge, ancora una volta perfettamente sintonizzati sulle intemperanze della vita. A lui non resta che restarsene dietro a una tenda a osservarli, per l'ennesima volta, ballare in un mondo dall'appagante ordinarietà.

Lisaweta aveva definito Tonio un borghese. Alla fine lui è costretto a dare ragione all'amica artista, precisando che ci può essere un modo di essere borghesi contrassegnato dall'amore per tutto ciò che è umano, vivo e ordinario. In altri termini, artista (borghese) sì, ma un "artista dalla coscienza sporca":

"Poichè è la mia coscienza borghese quella che mi fa vedere in tutto ciò che è arte, eccezione, genio, qualcosa di profondamento ambiguo, profondamento sospetto e che m'ispira questa simpatia così pervasa d'amore per tutto ciò che è semplice, sincero e gradevolmente normale, per tutto ciò che non è geniale, ma decoroso e corretto".

"Poirot non sbaglia" di Agatha Christie

Ebbene sì, anche il cerebrale investigatore belga, seduto com'è adesso sulla sedia del dentista, è in preda a una banale paura.

Ma si sa, quando un dente duole, sia che appartenga all'ultimo dei criminali sia, come in questo caso, all'infallibile Hercule Poirot, una puntatina dal dottor Morley è indispensabile.

Gabinetto medico affollato, stamattina. E nel via vai di clienti introdotti dallo smemorato Alfred, senza il prezioso aiuto della collaboratrice misteriosamente convocata da un telegramma al capezzale della zia (poi rivelatosi falso), il dottor Morley fa del suo meglio.

La morte, però, lo coglie improvvisa. La polizia, in seguito all'autopsia su un greco defunto anch'esso dopo essere stato visitato dal dentista, è certa: il dottor Morley si è ucciso per l'onta e il rimorso di aver sbagliato l'anestesia su di un paziente.

L'ispettore capo Japp gongola. Poirot, invece, diffida delle apparenze. Tanto più che tra i clienti del dentista, la mattina del fattaccio, c'era anche il potentissimo finanziere Alistair Blunt.

C'è qualche collegamento tra la presenza dell'influente uomo d'affari e il colpo di pistola sparatosi alle tempie dal dottore?

Tra una signora apparentemente vacua che improvvisamente scompare, un'altra a cui si è costretti a cambiare i connotati a colpi di calci e pugni; e ancora, tra giovani rivoluzionari che vorrebbero sovvertire lo status quo e servizi di controspionaggio, Poirot si sente, a un certo punto, smarrito.

La cosiddetta carta forzata, quella che il prestigiatore ti induce a scegliere per poi indovinarla e attribuirsene ogni merito, è continuamente gettata in pasto alle proverbiali celluline grigie del Nostro. Perchè?

Quando, invece, Poirot si deciderà a volare basso e a farsi guidare dal suo metodo induttivo che si è rivelato sempre vincente (tutto inizia, il giorno del delitto, dalla fibbia di una scarpa alquanto sgraziata), allora riuscirà a mettere in fila tutti i tasselli di un rompicapo a prima vista inspiegabile.

Alla fine, il dilemma: far condannare chi si sa, per altri versi, indispensabile all'agognata libertà inglese e lasciare libere delle teste calde apparentemente poco utili al benessere collettivo o, invece, seguire la propria coscienza?

"Non mi interesso alle nazioni (...)., ma agli individui. Di quel bene inestimabile che a loro appartiene, la vita, nessuno ha il diritto di privarli."

Il nostro magnifico Hercule, provato per l'ennesima indagine che stavolta, forse più delle altre volte, gli è costata davvero uno sforzo notevole, trova il tempo anche per un lascito morale

"Il mondo è vostro, ragazzi, quel mondo che voi volete nuovo. Cercate che in quel mondo nuovo vi sia posto per la libertà e per la pietà. Questo è tutto quello che vi chiedo."


"77", di Guillermo Saccomanno

Come sempre, la Marco Tropea Editore è una garanzia di qualità, soprattutto con riferimento agli scrittori latino-americani (uno su tutti, il formidabile Paco Ignacio Taibo II). Peccato che nel 2014 abbia cessato l'attività

Ma veniamo al nostro libro. Il titolo "77" fa riferimento all'anno in cui la dittatura di Videla raggiunge l'acme. Per le strade argentine, un clima ansiogeno e la paura di ingrossare le fila dei desaparecidos.

Ci si rivolge a maghi, fattucchiere per conoscere la sorte degli "evaporati" e per trovare sollievo in una dimensione sovrannaturale. Il professor Gomez, omosessuale simpatizzante del peronismo, si rifugia nei suoi amati libri, in special modo in quelli di letteratura inglese. Ma in un cielo eroso da topi, dalle facciate dei palazzi in cui, in serate di nebbia, è possibile impiastricciarsi le mani di grumi di sangue, capisce che non può esimersi dalla lotta. Lotta innanzitutto intellettuale (il suo trattato sull'assenza che verrà sequestrato prima ancora di essere dato alle stampe), ma che finisce per esondare, del tutto occasionalmente, pure nella vita pratica.

Il professore, allora, intesse una relazione con uno sbirro, ovviamente organico al sistema di terrore, e da lui cerca informazioni su un suo allievo portato via dalle onnipresenti Falcon verdi durante una lezione sul Facundo . E sì, perchè le Falcon verdi che girano con uomini in uniforme armati fino ai denti, diventano ben presto il simbolo della repressione di ogni anelito democratico.

Poi c'è una guerrigliera incinta che viene a rintanarsi nel suo appartamento, da cui è più facile allontanarsi fisicamente che prendere le distanze dalla ribellione giovanile di cui è definitivamente intrisa la casa dopo il suo passaggio.

C'è l'amico De Franco che ritrova la sua ancella Azucena, e che si illude così di rinverdire un amore di gioventù in grado, in qualche modo, di farlo abbeverare alla fonte di un passato idealizzato. Azucena, però, ha perso il suo figliolo inghiottito dagli ingranaggi dell'oscurantismo, e riempie la casa di bambole simil Videla in cui conficcare gli aghi dell'odio.

Infine, come cauterizzare la cicatrice di quell'amica, moglie di un ufficiale della Marina e, nel contempo, innamorata di un'altra donna mentre viene smembrata in plaza de Mayo dal bombardamento partito proprio dalla nave del marito?

La verità è che il professor Gomez è un sopravvissuto. L'unica occasione che ha di poter immergersi nel flusso della vita, è ritornare a scuola, in quella scuola da cui era fuggito per non restare schiacciato dalla morsa annichilente della dittatura.

Ora no, però. Ha capito che anche per lui c'è una forma di resistenza, magari passiva, magari da praticare nelle retrovie, ma che trova nei suoi studenti l'unica possibilità di farlo sentire vivo.

Romanzo avvincente che per il clima di paura e di terrore che serpeggia tra le sue pagine, ricorda, a tratti, il magnifico Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi.

"La missione di fratello Cadfael", di Ellis Peters

Nel Campo del Vasaio, poco lontano dall'abazia di Shrewsbury, un vomere intento a dissodare il terreno porta alla luce uno scheletro. Si tratta di una donna, com'è facilmene desumibile dalla lunga treccia nera e dalla veste che ancora ammanta le sue spoglie mortali.

Chi è e perchè, nonostante sia stata seppellita in un terreno sconsacrato, le è stata messa una croce di ramoscelli tra le dita?

Il primo a essere sospettato di quella morte è fratello Ruald che, dopo aver svolto per tanti anni la professione di vasaio proprio in quel lembo di terra, accecato da una vocazione stordente, ha abbandonato la sua pur amata Generys da un giorno all'altro. E la stessa Generys non è stata più vista da nessuno all'indomani del suo ripudio.

Fratello Cadfael, però, non fidandosi dei collegamenti troppo a buon mercato, decide di indagare sulla vicenda. E allora, con l'approvazione dell'abate Radulfus sempre pronto ad assecondare l'anelito investigativo di Cadfael e con l'aiuto prezioso dello sceriffo Hugh, ipotizza diversi scenari.

Sta di fatto che nelle due volte in cui prova a rivestire di carne e ossa quel misero scheletro, interviene Sulien, un confratello che dopo un periodo di noviziato, alla fine capisce che il suo posto è al di fuori dell'abazia, tra il mondo secolare. Ebbene, lo stesso Sulien prima dà prova che quella donna trovata nel Campo del Vasaio non è la moglie di fratello Ruald e poi, quando gli indizi sembrano convergere su un'altra persona, fa in modo di provare che anche quella traccia è sbagliata

Perchè Sulien si prodiga per ben due volte di smentire gli approdi di fratello Cadfael e dello sceriffo? Solo e unicamente per amore della verità?

Spetterà al fiuto infallibile del Nostro portare alla luce una vicenda complessa fatta di amore, gelosia e, sebbene l'accostamento terminologico parrà quanto meno stridente, di pietà. Già, proprio la stessa pietà che ha fatto seppellire quel corpo con una cura intrisa di amore cristiano.

La verità verrà svelata da un'altra donna, tenuta all'oscuro di tutta la faccenda per preservarne gli ultimi rantoli di vita, che si sobbarcherà del peso di un estremo viaggio a Shrewsbury per fugare gli ultimi dubbi di fratello Cadfael.

Tra le atmosfere salmodianti e concitate dell'abazia, allora, si materializza una coppa di vino che segna il confine tra la vita e la morte. Capace di obliare le coscienze, ma anche di sostituirsi alla volontà di Dio.

"Milioni di milioni", di Marco Malvaldi

Siamo a Montesodi Marittimo che, a dispetto del nome, si trova in alta montagna. La strada principale del paese è la proverbiale "Schiantapetti" con ben ventiquattro (!) gradi di pendenza (per intenderci, la salita più dura del Giro d'Italia ne ha appena diciotto).

Questo paese ha una particolarità: è considerato il borgo più forte d'Europa. Perchè?

Per scoprirlo, ecco giungervi un genetista, tale Piergiorgio Pazzi, e un'esperta di Archivi, la conturbante Margherita Castelli. Dalle forze congiunte dei due, dovrà scaturire la soluzione al mistero.

Tutto procede in maniera spedita fino a quando, del tutto inaspettatamente, i due protagonisti s'imbattono in una morte sospetta: l'anziana maestra del paese Annamaria Zerbi Palla (curiosità: il cinquanta per cento degli abitanti di Montesodi ha un doppio patronimico, il secondo dei quali è sempre, per l'appunto, Palla) viene trovata soffocata nel sonno.

Il primo ad accorgersene è proprio Piergiorgio che viene ospitato a casa della maestra.

Nel frattempo uno spessore medio di ben centodieci centimetri di manto nevoso isola il paese proprio nelle ore in cui si è consumato il delitto. Ciò viene a significare una sola cosa, anzi due: l'assassino è un paesano ed è ancora a Montesodi Marittimo, impossibilitato a muoversi per l'eccezionale nevicata.

Una pletora di personaggi, dal sindaco Armano Benvenuti alla moglie Viola, dall'africano "padre Nutella" (alias padre Kene) ad Emma, dal maresciallo Zandonai al dottor Biagini, tutti apparentemente hanno un alibi tranne...Piergiorgio.

E allora? Via alle indagini che sarebbero naufragate ancor prima di iniziare se non ci fosse stata l'arguzia di Margherita. Pur nella confusione dei ruoli (chi, tra i due, è Sherlock Holmes e chi il dottor Watson?), i due improvvisati detective riusciranno, attraverso la compulsione delle umane passioni/miserie dei compaesani, a svelare assassino e movente.

L'ottimo Marco Malvaldi riesce, in un affresco a tinte pastello, a presentarci tanti prototipi umani che, attraverso l'ironia onnipresente nella sua scrittura e una capacità d'ascolto davvero notevole, ci sembrano stare a un dì presso da noi.

Già, nel paese immaginario di Montesodi Marittimo, tra gli epigoni del marchese Filopanti Palla, gran puttaniere, ci voglio proprio andare. Manto nevoso permettendo, s'intende.