giovedì 31 gennaio 2019

Finzione di migranti

 


«Ormai è qui…»

Il dottor Falivene c’aveva provato eccome a fargli rispettare gli appuntamenti; solo che, quando la Capitaneria di Porto gracchiava l’avvistamento di un altro barcone, il Ministro aveva indiscutibilmente bisogno di lui.

«Altri venti gommoni, stanotte. E ho dovuti farli sbarcare ancora sul suolo patrio, si rende conto?»

«Beh, visto che ormai li stiamo prendendo tutti noi, quel carico poteva anche indirizzarlo verso qualche altro porto, no? Com’è che diceva giusto un anno fa? Ah, ecco: “Prima gli italiani” e “Porti chiusi.”»

«E secondo lei, polenta Valsugana inviperita, non c’avrei provato? Ah, dottore! Una sola volta ho serrato la mascella volitiva, mi sono messo i pugni ai fianchi, e ho detto: “Itttaliani, sbarcateli a Malta!”»

«Eh, e quindi?»

«Dopo cinque minuti, La Lega ha perso 10 punti percentuali.»

«Ancora i gattini?»

«Ma quale gattini e micetti? Quei fottuti negri sono diventati più scaltri. Mentre prima si accontentavano di portare animali da compagnia…un migrante, due cagnolini, un altro, due micetti, ora fanno le fiction, ‘st’impuniti.»

«Cioè, Ministro, mi faccia capire. Lei mi sta dicendo che ormai non si servono più solo degli animali di affezione per spingere l’opinione pubblica a pretendere la salvezza dei gatti e dei cani e quindi, giocoforza, anche dei loro padroni migranti?»

«Esimio psichiatra, sì. Ora, come le dicevo, si mettono ad allestire i set. La settimana scorsa, ad esempio, hanno messo in scena, su un barcone, la Via Crucis con tanto di crocifissione e Alleluya suonata a tutto spiano. Dal mio canto, quando ho fatto la diretta facebook nella quale mettevo in guardia gli italiani dal raggiro, i nostri connazionali, al solo vedere la croce in mezzo al mare e a sentire la musichetta religiosa, per poco non mi toglievano i like. Lei cosa avrebbe fatto al mio posto? Signori, venite pure in Italia, accomodatevi che c’è posto per tutti.»

«Effettivamente, la situazione è complicata. E se lei provasse a smascherarli in diretta skype?»

«E che, secondo lei, non c’ho provato? L’altra notte, l’ennesimo avvistamento da parte di una ONG. Butto giù dal letto Giorgetti e Toninelli. Arrivo a un tiro di schioppo dai migranti. Faccio partire la diretta da tribordo e…»

«…e?»

«Dio Po che non li scortichi vivi! Avevano tinteggiato i canotti di bianco, li avevano messi uno azzeccato all’altro a simboleggiare una lastra di ghiaccio, e poi, a coppia, un immigrato sopra, con una parrucca rossa, l’altro in mare, biondino artefatto, si tenevano per mano. E tutta ‘sta sceneggiata mentre la musica del Titanic veniva irradiata dalla ONG che, sporchi comunisti, si prestava al gioco.»

«E allora?»

«E allora che, dottore? L’Italia intiera piangeva commossa. Se avessi tardato un solo minuto ad accogliere quei 120 migranti, ora avrei meno follower di Giggino. Si rende conto? Dottore, la prego, mi aiuti.»

«Mi dispiace, ma i dieci minuti che le avevo concesso per la terapia, sono scaduti da un po’. Mustafà, Aisìn, venitevi a prendere il Ministro Salvini e, per piacere, la prossima volta, qualche allestimento meno strappalacrime della vicenda di Jack e Rose, eh?!»

 

giovedì 20 dicembre 2018

Fino alla fine


Doveva arrivare anche questo momento. Non che tu non me ne avessi anticipato l’epilogo, sia chiaro. L’ultima volta che ti ho proposto di «andare giù», mi hai guardato strano. E non era la solita stranezza. Nossignore, non mi stavi deridendo perché continuavo a parlare di un giù che ormai non ci apparteneva. Ma che vuoi, noi esseri umani siamo strani. Ecco, per l’appunto, gli strani siamo noi che non riusciamo a rassegnarci all’idea che dove c’era un «giù», adesso c’è il «fuori» della casa in campagna.

Tu ti sei fermato. Per la prima volta, hai fatto resistenza al guinzaglio, lo stesso che, appena un paio di mesi fa, doveva rincorrere le tue fughe in avanti. Già, proprio come quella volta che, con un colpo di reni di una irruenza che sapeva essere solo tua, te ne sei liberato. Qualche ora dopo, ti sono venuto a prendere addosso a una cagnolina. Non so come spiegartelo ma, sì, adesso te lo posso dire, mi sono sentito tradito. Certo, lo so che è ridicolo, che è una cazzata, ma è come se in quel momento, ecco, tu non fossi stato più mio. D’altronde, non mi dire che un sentimento analogo non l’hai provato pure tu. Quando? Non fare lo gnorri: quando ho deciso di vivere la mia vita lontano da te, dalla casa in cui ho imposto la tua presenza.

E comunque, quel maledetto giorno, ti sei fermato. Contraddicendo le nostre sterminate passeggiate, il mio rantolare al cospetto della tua frenesia di annusare, pisciare, ruzzolarti in ogni piega di un percorso nuovo. Non avevi la forza. Ma il desiderio di non deludermi, di stabilire un ultimo contatto tra i nostri muscoli, tra le nostre diverse curiosità, era troppo forte anche per questo fottuto velo che immobilizza i tuoi occhi.

Quando la mia mano si è posata sulla tua testa, però, hai dato un’ennesima prova della tua generosità. Li hai chiusi, quasi a voler incamerare l’ultima stilla del mio sudore che avresti saputo riconoscere tra mille. Hai annusato l’aria, disegnato una debole virgola con la coda, e sei venuto con me, come sempre senza chiedere niente di più di una complicità che è solo nostra. Sai, raccontano che noi uomini, prima di togliere finalmente il disturbo, avvertiamo il bisogno di toccare terra. È, per l’appunto, il c.d. «saluto alla terra». Tu invece, con l’ultimo sguardo prima che i miei impegni mi facessero dimenticare di te, hai voluto raggiungere il cielo. Sempre avanti, tu.

No, lo sapevi che non avrei pianto. Lo dice pure l’oculista che c’ho l’occhio secco come se non avessi mai versato una lacrima in tutta la mia vita. Ma tu lo sai che sono capace di piangere. Come quella volta che…, e come quell’altra in cui…Vabbè, ci siamo capiti. Per piacere, però, non dirlo a nessuno. Sai com’è, certi segreti, devono restare solo nostri. Proprio così: nascosti dal velo di una fissità che promette silenzio. Per gli altri, s’intende. Per me, e solo per me, il tuo lenzuolo ostinato non è nient’altro che lo schermo su cui proiettare le nostre complicità.

Sì, eccome se ci vedremo. Quando? Semplicemente allorché tutto ‘sto frastuono si sarà accordato a una ninnanannesca dissolvenza.

Vabbuò, te lo giuro, stavolta senza più guinzaglio e con la promessa di lasciarti finire il fatto tuo con quella simpatica cagnolina.

Hai visto che il mio oculista dice solo cazzate?

Non pensare a me, adesso. Dormi.

Riposa.

Sogna.

martedì 18 dicembre 2018

Salerno, Ferrero presenta il suo Marx



Nel pomeriggio di venerdì 14 dicembre, presso il Salone della Funzione Pubblica CGIL di Salerno, si è tenuta la presentazione del Libro di Paolo Ferrero e Bruno Morandi Marx-oltre i luoghi comuni, DeriveApprodi Editore.
L’iniziativa, promossa dall’Associazione Memoria in Movimento, ha visto la nutrita partecipazione di un pubblico attento e propositivo.
Angelo Orientale, dopo i saluti di rito, ha introdotto la discussione sul filosofo di Treviri a 200 anni dalla sua nascita e a 170 anni dalla pubblicazione de Il Manifesto del Partito Comunista.
Il primo a prendere la parola, è stato il Prof. Fortunato Maria Cacciatore dell’Università della Calabria, che, con un’analisi lucida, ha fatto riferimento alla critica di Marx al comunismo ex cathedra. Di poi, si è soffermato sulla visione del filosofo tedesco della filosofia come talpa che ha l’obbligo morale, a differenza della Nottola hegeliana, di modificare la realtà.
A questo punto, la studentessa Rossella Falco del Collettivo Studenti Ribelli, ha incalzato un attento Ferrero su tematiche di spessore come la necessità di un approccio multidisciplinare allo studio simile a quello di Marx, e sulla differenza tra i vari marxismi che si sono succeduti nella storia.
Paolo Ferrero, già segretario del PRC e attualmente vice presidente del Partito della Sinistra Europea, prendendo spunto dal suo libro, ha messo in guardia dai revisionismi, anche in buona fede, di  certi marxisti. I guai per il comunismo, secondo il politico e scrittore piemontese, nascono dalla convinzione, presente, ad esempio, nelle cosmogonie di Hegel e codificata da Kautsky, che non ci fosse un’alternativa tra socialismo e barbarie. A un certo punto, infatti, assecondando questo orientamento, necessariamente il capitalismo sarebbe sfociato in socialismo prima, e in comunismo poi. Marx invece, in maniera lungimirante, aveva da subito intuito che non c’è alcun automatismo al proposito. C’è stato anche lo spazio per parlare di religione. A tal proposito, il valdese Ferrero ha sottolineato quanto sia stucchevole dividersi tra credenti e atei, il problema essendo quello di migliorare le condizioni di vita per far sì che la fede sia scelta e non consolazione per una vita da sfruttati.
Immancabile, infine, il riferimento al fascismo strisciante nelle politiche della Lega di Salvini.

giovedì 8 novembre 2018

L'agnotologia di Rocco


Martedì scorso, a “di Martedì”, la fortunata trasmissione di Giovanni Floris, vi è stata l’ospitata del premier Conte. Premetto: non voglio parlare di Giuseppe Conte. Dico solo, in uno con il simpatico Gene Gnocchi, che avrei preferito di gran lunga che al posto del Conte premier, ci fosse stato il Conte cantautore. Almeno ci saremmo “sparagnati” svarioni come “il popolo è l’azionista della maggioranza di governo” (e chi non vi ha  votato cos’è, feccia di fogna?) o “di Trump non voglio parlarne, per evitare di influenzare le elezioni in America” (e chi sei, Mandrake?).

Dicevo, di Conte non voglio parlarne...no, ma così per dire, voi ci pensate al povero Paolo Conte, che non solo ha dovuto patire l’onta di essere surclassato sui motori di ricerca dall’Antonio Conte calciatore prima, allenatore poi (“agghiacciande!”), ma anche, dal giugno 2018, da un altro Conte, Giuseppe per l’appunto, il “visconte dimezzato”?

“Via via/Vieni via di qui/Niente più ti lega a questi luoghi…”

E già, sarebbe proprio il caso che fosse lui stesso, il sublime cantautore astigiano, a dedicarsi il suo cavallo di battaglia.

Ma ripeto ancora, nessuna voglia di parlare del premier che ci tocca in sorte.

Guardando distrattamente la trasmissione “di Martedì”, ho intravisto un personaggio sospetto alle spalle del premier. All’inizio ho creduto a una semplice somiglianza. Poi, alla terza inquadratura, ho sciolto la riserva: era Rocco Casalino, il gran visir di tutta la comunicazione del Movimento Cinque Stelle.

Rocco Casalino?

Subito, allora, Robert Proctor , con la sua “agnotologia” (dal greco “àgnosis”, “non conoscenza” , “scienza dell’ignoranza collettiva culturalmente indotta”), mi si è impresso nel cervello.

Vessilliferi di tale neologismo sono, uno per tutti, Beppe Grillo che quattro anni fa, a proposito del progetto de La Gronda da costruire in sostituzione del Ponte Morandi poi caduto rovinosamente, sbraitò:<Il ponte reggerà ancora cent’anni, inutile sprecare miliardi per La Gronda!>; ma anche il veemente Lorenza Fontana (Lega Nord) che, interrogato sui vaccini obbligatori, rispondeva che “dieci vaccini, mi sembrano troppi.”

Ora, invero, la domanda è: che competenza avevano, rispettivamente, un comico-politico (!) come Grillo per prevedere la durata di un ponte, e un ministro per la famiglia e le disabilità (laureato in scienze politiche!), per discettare sul numero esatto dei vaccini da inoculare?

Risposta semplice semplice: nessuna. In altri termini, siamo sommersi da opinioni su questioni tecnico-scientifiche da parte di chi, di quelle questioni, non ne sa nulla o ne sa solo per sentito dire.

Ed eccoci a Rocco Casalino.

Per carità, non ho nulla contro il concorrente evanescente del Grande Fratello edizione 2000, avverso il portavoce di Conte (!) che ha il compito di convincere, con le buone o con le cattive, i conduttori a trattare con il guanto di velluto gli ospiti spediti in studio (in caso contrario, il rischio di andare in onda senza i politici che fanno share, è una certezza); non ce l’ho con  il giovane ingegnere beccato a “fare spin” a favore del Movimento persino durante i funerali delle vittime del crollo del Ponte Morandi o con il gaudente vacanziere del “Ho diritto a farmi due giorni, già mi è saltato Ferragostomentre a Genova si consumava la tragedia. Né, beninteso, ho intenzione di scagliarmi contro il portavoce del premier che afferma come i giornali non contino più nulla (“Le nostre pagine raggiungono 10 milioni di spettatori. La gente non vuole leggere le notizie, le vuole vedere”) o, infine, avverso il brillante conferenziere che confessa candidamente come anziani, bambini e down gli facciano schifo.

No, davvero, non ce l’ho con Rocco Casalino.

Ce l’ho, se proprio devo avercela con qualcuno o qualcosa, con la summenzionata agnotologia che non solo c’ha propinato Conte (Giuseppe e non Paolo) come premier, ma anche Casalino e Dettori come “ministri della propaganda”, Salvini come Ministro dell’Interno, Di Maio come Ministro del Lavoro, etc, etc.

Nel saggio “La conoscenza e i suoi nemici” di Tom Nichols, a un certo punto si legge che “la legittimazione dell’incompetenza è un pericolo per la democrazia.”

Nossignore, non voglio parlare di Conte (Giuseppe) e nemmeno di Rocco Casalino.

Ce l’ho con ‘sta sfaccimma di agnotologia, ecco con chi ce l’ho.

 

 

martedì 16 ottobre 2018

L'ospitalità dannosa per Mimmo


Xenia”, questo è il nome scelto per l’operazione che ha visto finire agli arresti domiciliari il sindaco di Riace, Mimmo Lucano. “Xenia”, in greco antico, vuol dire ospitalità. E probabilmente un termine migliore, mutuato dal popolo per il quale più di tutti l’ospite era sacro, quello greco per l’appunto, non poteva trovarsi. E sì perché, se le accuse mosse a Lucano fossero corpi da poter mettere in controluce nell’accecante sole calabro, dietro al “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina  e al “fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti”, rinveniremmo proprio questo: un’accusa all’efficace modello di ospitalità messo in piedi dal sindaco di Riace. Un “j’accuse”, a ben vedere, ancora più perentorio, vuoi per il clima di evidente intolleranza che si è venuta a creare nel Paese, vuoi perché il modello di Mimmo si è rivelato vincente.

Si badi bene, nessuno vuole entrare nel merito dell’inchiesta condotta dal procuratore di Locri, Luigi D’Alessio, un tempo alla procura di Salerno.

Come avvocato, però, non posso non convenire con quanto dichiarato proprio su “Le Cronache” di sabato 6 ottobre dall’ex presidente della Corte d’Appello di Salerno, ora alla presidenza della Fondazione “Menna”, Claudio Tringali.

Il problema riguarda, come sottolineato dall’illustre giurista, il profilo delle esigenze cautelari: davvero, nel caso del sindaco di Riace, ricorrono esigenze cautelari di tale gravità da giustificare l’adozione di uno dei più rigorosi provvedimenti come l’arresto?

Sinceramente, credo di no. A quanto mi è dato di capire, infatti, ci troviamo al cospetto di un’inchiesta fondata su documenti e intercettazioni, sulla c.d. prova documentale cioè, che difficilmente potrebbe essere “inquinata”; per quanto riguarda l’altra esigenza cautelare, quella del pericolo di fuga, sembrerebbe quantomeno paradossale che un sindaco che ha speso la vita ad accogliere chi fuggiva da scenari di guerra e disperazione, poi, proprio lui, all’improvviso tagli la corda davanti a un’inchiesta che si presume facilmente smontabile, com’è già successo con quella relativa alle O.N.G. portata avanti dal procuratore Zuccaro.

Infine, con riferimento al pericolo di reiterazione del reato, ancora una volta sono d’accordo con il dottor Tringali: se davvero il pm D’Alessio avesse ravvisato siffatto pericolo, ebbene, avrebbe potuto tranquillamente sospendere il sindaco di Riace dalle sue funzioni, senza alcun bisogno di ricorrere all’arresto.

Fin dal primo anno all’università, ho maturato l’idea che non esiste un diritto pienamente oggettivo. Troppo spesso, infatti, il diritto è frutto di scelte del momento, dell’ubi consistam della classe dirigente. Naturale conseguenza di questo corollario è, da un lato, che ciò che è legale, conforme al diritto in un dato periodo storico, potrebbe tranquillamente non esserlo più appena un lustro dopo; dall’altro, che quello che è legale per una parte della popolazione, fosse pure la maggioranza del Paese, non necessariamente è anche giusto.

Nelle “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, a un certo punto, l’imperatore romano  esalta la lingua greca, dicendo che, a differenza anche del latino, il greco “ha già dietro di sé tesori di esperienza, quella dell’individuo e quella dello Stato (…). Tutto quel che ciascuno di noi può tentare per nuocere ai suoi simili o per giovar loro, almeno una volta, è già stato fatto da un greco.”

E proprio un greco, l’illustre Sofocle, nel 442 a.C., con riferimento al contrasto tra Antigone e Creonte, tra leggi divine e leggi umane, aveva teorizzato un diritto alla disobbedienza che si ispira a principi più alti del diritto positivo, soprattutto quando il diritto in questione è chiaramente dispotico.

Già, dispotico. Ovviamente, parliamo del diritto di Creonte, ci mancherebbe.