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mercoledì 28 settembre 2016

Giovi, la poesia antidoto al "si c'o puort, c'o truov"

Giovi, una periferia che la città di Salerno non è mai riuscita a coinvolgere del tutto.

Una sola frazione divisa in una quindicina di "case" e quartieri, sgrammaticata come solo può esserlo una realtà troppo ricca per sottostare ai diktat della sintassi; ebbene, Giovi, il suo pegno alla diversità e alla specificità, l'ha pagato, e pure con gli interessi : alzi la mano il lettore che al sentir parlare di Giovi non abbia pensato, con il sorriso allusivo di chi la sa lunga, al motto che dall'origine dei tempi condanna la nostra terra: "Juov, si c'o puort, c'o truove" (Giovi, se ce lo porti, ce lo trovi).
È incredibile come una rima possa inchiodare per sempre una frazione al legno ingrato della grettezza più bieca!
Già, una rima. E proprio una rima di una delle oltre 240 poesie presentate alla II edizione del Premio Nazionale di Poesia "Spiga di grano", per una sorta di nemesi storica, viene a costituire l'antidoto più efficace contro l'ingiusto e immeritato epiteto affibbiato a Giovi.
Tutto è iniziato poco più di un anno fa. Come tutte le rivoluzioni, il grimaldello che ha scardinato il pregiudizio è stato un gesto semplice: l'intuizione di un giovane amante della poesia e poeta egli stesso, Angelo Palatucci, subito capita e supportata da una coraggiosa associazione culturale-sportiva, quella delle "Colline di Giovi" (allora presieduta dal dr. Massimiliano Natella e oggi, invece, dal sig. Gerardo Rocchino).
Dall'incontro tra l'idea illuminante e la voglia di crederci, nasce la prima edizione del Premio di Poesia "Spiga di Grano".
E così il "si c'o puort, c'o truov",  inizia a vacillare sotto i colpi della cultura, sola dispensatrice di una generosità capace di intaccare anche i più inveterati e stupidi luoghi comuni.
Il 24 settembre, c'è stata la II edizione del premio predetto.
L'Auditorium della Scuola Media di Giovi, allora, ancora una volta e ancora di più rispetto allo scorso anno, ha fatto da cassa di risonanza ai versi di quella "poesia-eco" prefigurata da Carl Sandburg, che "chiede all'ombra di ballare".
La serata del premio, per evitare che la nave, per quanto strutturalmente inaffondabile, potesse colare a picco a causa dell'impatto con gli iceberg  dei cuori refrattari al bello, è stata affidata alla conduzione dell'ottimo Enzo Landolfi.
Alla fine dell'evento, possiamo dire che anche grazie alla maestria e alla leggerezza "colta" del conduttore, la nave è giunta vittoriosamente in porto.
Sul palco, così, si sono alternati versi (in italiano e in vernacolo), intrecciate rime, sovrapposte età (dalla ragazzina di 11 anni alla nonna di quasi 90), azzerate distanze (sono giunti, alla segreteria del premio, componimenti da tutta Italia, da Cefalù a Milano). In altre parole, si è fatta cultura, mettendo in difficoltà, per la bellezza dei componimenti giunti in segreteria, anche la titolata giuria del premio presieduta dal prof. Andrea Natella.
Per inciso, nota di merito va riconosciuta alla lettrice di molte liriche in concorso nonché, come diremo tra poco, anche di alcuni passi dell'opera presentata nell'occasione del premio, la dott.ssa Sonia Postiglione, che ha dato profondità e ali ancora più robuste al volo delle liriche.
Prima dell'apertura ufficiale della II edizione del Premio Nazionale "Spiga di Grano", come accennavamo, si è svolta la toccante presentazione del libro "Tra sogno e realtà...Dottor Cresta di Gallo ed il suo mondo magico: la fantasia di due bimbi...si trasforma in...Magia...", Pubblisfera Edizioni.
Trattasi di un racconto lungo scritto a quattro mani da Angelo Palatucci ed Emmanuela Rovito in cui, attingendo a quella fantasia che solo può imbrattare le pareti asettiche di un ospedale con l'incantesimo della magia, addirittura il guanto di una sala operatoria può assumere le fattezze di una...cresta di gallo.
E inizia il Sogno capace di redimere le vite dei due piccoli protagonisti, convinti che anche la loro vita, nonostante la problematica partenza, debba fiorire in un tripudio di colori.
Scritto di getto, tra telefonate e chat fb (...), questo racconto è un piccolo Arcobaleno che gli autori, Angelo Palatucci e Emmanuela Rovito, vogliono disegnare nel cielo di coloro che...nella vita vivono o hanno vissuto troppi temporali!
Giunti quasi alla fine di questo pezzo, torniamo al punto di partenza, all'alfa di questo nostro articolo: Giovi, e il suo "si c'o puort, c'o truov". Ma per farlo, abbiamo ancora bisogno del racconto lungo di cui sopra.
Nella penultima pagina, subito dopo i ringraziamenti, i due autori scrivono, con una pudicizia che è propria delle grandi azioni, che "il ricavato (delle vendite, ndr) verrà devoluto alle pediatrie ospedaliere".
Nell'ultima pagine, invece, c'è l'elenco degli sponsor che hanno permesso la pubblicazione di quest'opera.
Attraverso il riflesso di un'ora tarda di fine settembre, mi si squaderna, davanti agli occhi assonnati, l'anima di Giovi. Do una sbirciatina. La vedo riflessa in quella ragazzina di 11 anni che c'invita a rispettare la natura, ma anche nella nonna novantenne che si è messa a scrivere poesie solo adesso, "perché prima era giusto dare la precedenza al vero poeta di casa mia, mio marito".
La scorgo, infine, nel poeta milanese che, dopo uno dei primi naufragi di profughi, ha sentito il bisogno di mettere su carta la tara della sua pietà verso questi disperati.
Stanotte, grazie anche alle iniziative culturali come quelle messe in piedi da Angelo Palatucci, dall'Associazione Culturale-Sportiva "Colline di Giovi" e da tutti gli altri, persone fisiche e enti vari che ci hanno creduto, la mia Giovi non mi chiede niente né, tanto meno, chiede qualcosa agli altri.  Offre soltanto, come solo può farlo un cuore innamorato di poesia.

lunedì 4 gennaio 2016

Lo spazzino di Santa Teresa e i rioni collinari


A tutti i salernitani sarà capitato, in quest’inverno che sembra finalmente avercela fatta a recuperare i suoi rigori, di farsi una capatina sulla spiaggia di Santa Teresa.
Di che parliamo, per i non salernitani? Col freddo linguaggio dell’occhio egualmente inesperto e incompetente (il mio), nient’altro che di una pedana di legno più o meno ingombrante, inchiavardata (con bulloni conficcati alla comevieneviene) su una sottostruttura di cemento; con il verso sempre torrido di suggestioni della poesia invece, ci riferiamo al Sacro Graal per il cavaliere templare, a La Mecca per i musulmani, all’uva sultanina per la volpe. Insomma, per chi non fosse di Salerno, la spiaggia di Santa Teresa è come lo studio di Barbara D’Urso: o lo frequenti o non conti un cazzo.
Ebbene, su questa lingua lignea consacrata agli allori dello struscio cittadino, ho incontrato la presenza: tra decine e decine di K-Way e Colmar sciorinati al sole, mi si è materializzato lui, lo Spazzino. Poco più alto di un castello di sabbia, se ne stava lì con lo sguardo arguto, il baffo alla tartara e il sorriso istituzionale sempre pronto all’abbisogna.
L’ho visto all’opera (Dio mi fulmini se dovessi esagerare) mentre, nell’ordine, raccoglieva qualche carta, raccattava una decina di mozziconi di sigarette, rastrellava la sabbia (!), setacciava (!!), granello per granello, tutta le panoramicissima rena della spiaggetta di Santa Teresa.  E come se non bastasse (e qua rasentiamo l’ultraterreno), ho visto il maniacale spazzino sorridere indulgente al bambino che gli centrava gli zebedei con un super santos calibrato male.
L’ho visto, dopo trenta secondi di pausa necessari a riaversi e a tergersi il sudore, sdraiarsi sulla spiaggia e, poco dopo, alzarsi, tutto fiero di sé, con un insolente pelo di cane (fulvo, per la precisione) tra le dita. Ha guardato il crine canino con l’occhio dell’ambientalista che scorge una chiazza d’olio nel lago, e lo ha relegato, offeso da tanto ardire, al civico cestino.
Questa è l’immacolata spiaggia di Santa Teresa.
Cambio scena.
Rioni collinari. Salerno anche qui.
In questi giorni di festa, mi è capitato di farmi un giro in bici per Giovi, Rufoli, Ogliara. Volevo stare solo con me stesso, con l’unica presenza dell’aria povera di PM10 che le frazioni alte sanno offrire. Ebbene, mi è bastato percorrere poche centinaia di metri da casa mia, per trovarmi, mio malgrado, in compagnia (Dio mi fulmini se dovessi esagerare) di due ali festanti, da una parte e dall’altra del ciglio della strada, di cartacce, di scheletri di gratta e vinci da cinque e dieci euro (O opulenta Salerno!), di buste dell’immondizia mangiucchiate dai cani, di pezzi di copertone,  di giocattoli, di preservativi e di ammennicoli vari.
Ebbene, cara, carissima (Tares docet) Amministrazione Comunale, domani è la festa dell’Epifania. Ora lo so che i rioni collinari, le periferie dell’Hippocratica Civitas, sono agli antipodi (per visibilità, per lo struscio di K-Way e Colmar di cui sopra, etc.) dalla spiaggia di Santa Teresa. Sono consapevole che le Luci d’Artista (?), manco col cannocchiale possono essere viste da Giovi, ma, come dire? Vorrei, sommessamente, sottovoce, che Tu ci mettessi la buona parola con la Befana, e la convincessi a regalare, a noi abitanti di Giovi, Rufoli, Ogliara Matierno, etc., non dico uno spazzino come quello della spiaggia di Santa Teresa (troppa grazia, Sant’Antonio!), ma almeno un surrogato, finanche claudicante e quasi invalido, dell’irreprensibile spazzino.
Sicuro di un mancato accoglimento in merito,
l’occasione mi è gradita per porgerTi
Distinti Saluti.
Sommessamente tuo, un abitante dei Rioni Collinari.

giovedì 9 luglio 2015

La buona scuola e la maestrina dalla penna rossa



La c.d. “buona scuola” di Renzi è ormai legge della Repubblica. Ebbene, cosa sarebbe successo alla mia maestrina dalla penna rossa se si fosse trovata ad insegnare in questa realtà scolastica che si prefigura carica di nubi all'orizzonte?

Ci risiamo, sempre il solito vizio di spostare fatti e situazioni in un epoca diversa da quella in cui quei determinati fatti e quelle determinate situazioni si sono verificati! Ma tant’è, alle perversioni mentali (almeno a quelle innocue) bisogna pur dare sfogo, no? E allora eccomi qui, in parte a raccontarvi una storia più o meno vera, in parte a proiettare questa stessa storia in un contesto che, molto probabilmente, non avrebbe neppure consentito alla maestrina dalla penna rossa di esistere (se l’esistenza deve, in buona sostanza, identificarsi con l’esperienza fattuale).

Ma veniamo a noi. Siamo a metà anni Ottanta del secolo scorso. La scuola, è quella elementare di una frazione di Salerno. Una scuola, quindi, distante poco più di cinque chilometri dal centro ma sufficienti, loro malgrado, a piantare qualche albero in più sull'orizzonte di una piena apertura mentale.

La maestrina dalla penna rossa arriva a bordo di una fiat centoventisei color malva a rivoluzionare il grigio e il nero delle autovetture degli altri maestri e delle altre maestre. Tempo un mese dall'incarico, che il parcheggio della scuola si trova orfano di tre automobili. E sì perché la nostra maestrina, ambientalista convinta, reputa un affronto alla tutela ambientale (!) l’equazione “una persona=un’automobile”, e allora via con un car poolingn ante litteram.

Le aule di quel color verde naja che zavorrano i neuroni, vengono ricoperte di cartelloni variopinti, ovviamente disegnati dalla maestrina, in cui si narrano le vicende di un gatto e di un topo che mentre si bisticciano, fanno pace, si tributano gesti di amicizia illustrano, ad un tempo, una coinvolgente e colorata sillabazione delle parole.

Grazie alla maestrina dalla penna rossa, nei lontani anni Ottanta del secolo scorso, un armadietto sigillato e pieno di polvere che si trova, chissà con quale funzione, in fondo all'aula, viene riempito di libri portati lì da una biblioteca scolastica di cui, fino all'arrivo della maestrina, era ignota persino l’esistenza.

E poi i tornei di lettura, la partecipazione a numerosi concorsi letterari, le tecniche tra il psicologico e il suggestivo per leggere e scrivere meglio, e via di questo passo.

Il preside, reazionario nostalgico del “Dio, patria e famiglia”, pur guardando fin dall'inizio con diffidenza la maestrina e i suoi colori accesi, deve far buon viso a cattivo gioco in nome di una preparazione degli alunni, vai a capire perché, effettivamente migliorata dalla venuta della sua sottoposta.

Tre, però, sono gli eventi che fanno ben presto precipitare la situazione. Nell'ordine, l’abolizione nell'ultimo anno, dietro insistenza della classe (“il potere della classe, pfui!”), degli odiati grembiuli bianchi per le femmine e blu per i maschi; l’aver consentito ad un alunno di non frequentare l’ora di religione; in ultimo, e con effetto deflagrante per l’intera vicenda, lo scambio culturale Italia-Francia!

Ebbene sì: la maestrina dalla penna rossa, laureata in lingue, fin dalla prima elementare (e siamo negli anni Ottanta!) ha insegnato il francese in classe. L’ultimo anno poi, a coronamento di questo quinquennio di studi, intende organizzare uno scambio culturale con una scuola francese (il progetto Erasmus nasce solo nel 1987, e unicamente per gli studenti universitari!!): una settimana gli scolari italiani in Francia, ospiti delle famiglie dei rispettivi alunni francesi e una settimana, a distanza ovviamente di un po’ di tempo, i piccoli francesi in Italia.

Il preside allora, venuto a conoscenza del disegno sovversivo dell’insegnante, fa fuoco e fiamme per evitare questa “inutile contaminazione”. La maestrina dalla penna rossa però, forte dell’affetto smisurato dei suo scolari e della fiducia che si è saputa guadagnare dalle famiglie dei suoi alunni, si accarezza tronfia la penna rossa e va avanti, fino a realizzarlo, nel suo sogno.

Quella piccola comunità, distante poco più di cinque chilometri da Salerno, diviene l’avanguardia di un nuovo modo di fare scuola.

Questi sono i fatti. Ora io mi chiedo: se la c.d. “buona scuola” di Renzi fosse stata in vigore nel periodo storico da me trattato, ebbene, la maestrina della penna rossa sarebbe mai stata chiamata direttamente dal preside di quella scuola elementare a poco più di cinque km da Salerno? E, ciò che è più grave, sarei l’io di adesso, talis et qualis (nel bene e nel male, s’intende) se la mia vita non fosse stata contaminata dal fremito rivoluzionario della maestrina dalla penna rossa?