Tutto prende le mosse dalla visita del compianto scrittore al campo di concentramento di Bergen Belsen, in Germania. In un angolo del campo, dove si innalzavano gli infami forni crematori, c'è una scritta: "Io sono stato qui, e nessuno racconterà la mia storia".
Luis Sepulveda intuisce che l'unico modo per contendere all'oblio le tante storie del mondo, massimamente di quelle degli emarginati, degli sconfitti, è la parola. Da qui prende le mosse questo libro che racchiude ben trentaquattro racconti di "storie marginali", come opportunamente le definisce l'autore: quella delle rose di Atacama del titolo, le fragilissime rosa rosso sangue che fioriscono una volta all'anno, sebbene stiano sempre lì sotto la terra salata, e che a mezzogiorno saranno già state calcinate dal sole. C'è poi quel "tal Lucas" (la clandestinità non si può permettere il lusso di un cognome) a cui, quando gli si chiede:« Perchè vuoi salvare il bosco?» risponde senza scomporsi «Perchè bisogna farlo. Perchè sennò?».
Come non menzionare, tra i tanti personaggi del libro, Mister Simpah e il suo cimitero di barche in demolizione?
Manco il tempo di commuoversi per l'ecatombe dei tanti natanti che fa capolino, tra le pagine, il volto arcigno del pirata dell'Elba, al secolo Klaus Stortebecker, che vuole essere decapitato in piedi a patto che "per ogni mio passo dopo che la mia testa ha toccato terra, si salvi uno dei miei uomini": ne riuscirà a salvare ben dodici, di suoi uomini, prima di stramazzare al suolo.
C'è spazio anche per i cavatori di Pietrasanta: "quando ti troverai davanti una statua scolpita in marmo di Carrara, pensa ai cavatori e ai marmisti di Pietrasanta. Pensa a loro e saluta quel dignitoso anonimato".
Allorché Sepulveda ne ha d'avanzo di persone, ecco stagliarsi la figura di Fernando, il cane venuto un giorno assieme al suo padrone poi morto (Fernando?), divenuto ben presto il beniamino della città di Resistencia.
La tentazione di ritornare all'umano, però, è troppo forte: via libera allora alla bruna e alla bionda, le due magnifiche compagne che nonostante le indicibili torture subite nella famigerata Villa Grimaldi ("luogo che si iscrive nella topomomastica universale dell'orrore e dell'infamia"), hanno vinto la morte: "quei corpi che parlano d'amore conservano l'amore di tutti i caduti".
Non poteva mancare, infine, il tema del sogno ispirato a Salgari e il cielo dell'aldilà in cui troneggia il papa Hemingway.
Ci sarebbe tanto altro, in questo libro agile e denso allo stesso tempo, ma mi piace chiudere con la parola "compa" (compagno), "parola secca e succosa allo stesso tempo, parola dura e tenera", che è presenza costante nei racconti di Luis Sepulveda.