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venerdì 3 marzo 2017

Lorenzo Forte e gli “svaniti in una nebbia o in una tappezzeria”

Lorenzo Forte, l'ho scelto di incontrare io.
"Stavolta, non ci ricasco", mi sono detto, mentre l'attendevo davanti al Bar Verdi di Salerno.
Passati in rassegna i miei 40 anni come brava recluta, ho realizzato che almeno 30 di questi li ho spesi scambiando lucertole per draghi, interessi per ideali, ennesimi Sancho Panza per rarissimi Don Chisciotte della Mancia.
"Stavolta no, caro Lorenzo; stavolta sarò accortissimo nello stanare l'imbroglio, tanto più che anche nel fisico riveli più il castello agognato da Sancho che i mulini a vento combattuti dall'ingenioso hidalgo."
Giusto il tempo di presentarmi, di allestire il più falso sorriso in dotazione, che sparo crudo:<Lorenzo Forte, perché lo fai?>
L'imbarazzo nel mio interlocutore dura una decina di secondi, giusto il tempo di far affiorare il ricordo dai suoi occhi. E mi parla di fantasmi, Lorenzo Forte, del tizio che vestiva sempre un impermeabile bianco quasi per redimersi dal nero bituminoso delle Fonderie Pisano che, di lì a poco, avrebbe corroso le sue viscere.
Mi parla anche della palazzina di via dei Greci, a Fratte, dove in ognuno dei dodici appartamenti, c'è almeno un sudario che gronda cadmio, ferro e disperazione; già, proprio così: almeno uno, per ogni appartamento della palazzina.
Mi racconta, ed è l'unico momento in cui sembri non dare troppa importanza all'argomento, della sua allergia comparsa quando abitava a Fratte (poi, una volta allontanatosene, quasi del tutto andata via); della necessità, ogni mattino che il dio della produzione manda in terra, di liberare le ringhiere e i balconi esterni di casa sua dalla polvere ferrosa appollaiata, come l'upupa nei cimiteri, in attesa di contaminare l'ennesimo organismo.
E poi, Lorenzo Forte, accenna a collusioni politiche combattute da privato cittadino prima, da consigliere comunale poi, a vicende processuali volte a dimostrare una volta per tutte il nesso di causalità tra inquinamento provocato dalle Fonderie Pisano e le troppe morti dei residenti a Fratte e non solo, a permessi ambientali concessi alla fabbrica ormai riconosciuti come illeciti, inefficaci, illegittimi.
Snocciola cifre e dati, Lorenzo, in maniera così analitica e incalzante che la mia penna, intorpidita dal retrogusto della caffeina, non riesce ad annotare.
All'improvviso mi guarda con gli occhi di chi ha stanato la mia diffidenza troppo radicata per darsi già per vinta e, quasi a prevenire l'obiezione che gli sto per muovere, chiosa sornione:<Che poi, se non bastassero i dati, i rilievi, i processi, ci sarebbe pur sempre l'esperienza comune, ovviamente corredata da analisi scientifiche: nei circa sei mesi della chiusura delle Fonderie Pisano, le polvere metalliche e gli inquinanti in genere sono quasi del tutto scomparsi.>
Giunti ormai quasi alla fine del nostro incontro, Lorenzo Forte trova il tempo di illuminarsi in volto. Ciò accade quando parla del suo "straordinario" Comitato "Salute e Vita", delle poche persone che hanno avuto il coraggio, ognuno nel proprio campo e secondo la propria specificità, di fare appieno il proprio dovere (Don Marco Raimondo, il commissario Vasaturo, il procuratore Lembo).
Ci stiamo dando la mano. Per fortuna capisce che, a questo punto, basta davvero poco per farmi ricredere sulla possibilità che ci possa essere qualcuno spinto all'azione da un interesse generale perché superiore:<Hanno detto che cerco la visibilità per mettere all'incasso "politico" il dividendo conseguito con le nostre battaglie. È tanto vero ciò, che non mi sono candidato nelle scorse elezioni comunali.>
Ognuno catapultato nel suo angolo di vita, capisco che Lorenzo Forte si batte per le stesse ragioni per cui si batte anche la maestra Anna Risi, portavoce del Comitato "Salute e Vita": non per un interesse personale (la maestra ha perso già tutto quello che poteva perdere, il marito e la figlia, entrambi stroncati da un tumore) ma "a difesa del Creato", come direbbe l'instancabile don Marco Raimondo.
E io ci credo, forse per la prima volta sicuro di non essere ingannato, soprattutto per loro, i morti delle Fonderie Pisano, "svaniti in una nebbia (inquinamento) o in una tappezzeria (politica connivente)." (Paolo Conte)

mercoledì 23 settembre 2015

La Monsanto ovvero la mela avvelenata della Terra


Solo negli anni Sessanta, a seguito della denuncia di come le grandi praterie americane trattate con l’erbicida 245T della Monsanto diventassero silenti, prive di vita («la primavera silenziosa»), il movimento ecologista si accorge della grave minaccia per l’ecosistema rappresentata proprio dalla «Microsoft del transgenico

L’erbicida 245T, infatti, è altamente tossico. È così potente che l’esercito americano lo impiegherà come defoliante per bruciare le foglie degli alberi vietnamiti; e con esse, i Vietcong, che saranno costretti a uscire allo scoperto e, infine, massacrati.

Composto gemello del 245T, è l’«agente orange»: un preparato altamente cancerogeno, che ha provocato e continua a provocare danni immunitari e all’apparato riproduttivo.

Eppure, fin dalla crisi del ’29, quando la Monsanto inizia a produrre i famigerati policlorobifenili (PCB), i pericoli per la salute e i danni all’ambiente sono evidenti. Ma tant’è: a volte la storia, l’economia, vanno in corto, e le metastasi di un capitalismo radioattivo, aggrediscono gli anticorpi incapaci di reagire.

Negli anni Ottanta la Monsanto scopre il Roundup, pesticida potentissimo anche nel far lievitare i suoi profitti (di circa il 20% all’anno). Da lì a poco, inventa una semente super resistente che s’impegna a diffondere assieme al Roundup stesso.

Il pacchetto doppio (sementi-pesticida) di proprietà esclusiva della venefica multinazionale, è bello e infiocchettato.

Nel 1998, poi, arriva la modifica genetica della pianta che diventa sterile. Eccolo materializzarsi, quindi, il giogo che riduce in schiavitù tantissimi contadini. E sì perché la Monsanto può sterilizzare le piantine e poiché, ormai, molti agricoltori dei Paesi poveri sono costretti ad acquistare le sementi proprio dalla Monsanto, fin dal primo acquisto questi ultimi saranno alla mercé, anno per anno, del loro carnefice.

Certo, la storia della Monsanto potrebbe continuare con la diffusione, tra gli altri,  del Prosilac, ormone capace di gonfiare il bestiame come una zampogna, e con tanti altri prodotti tossici, tutti con il minimo comune denominatore di nuocere gravemente alla salute e all’ambiente. Ma mi fermo qui.

Nella religione, nei miti e nelle favole, la mela raccontata ha spesso proiettato un’ombra sinistra sulle qualità nutrizionali del frutto. Basti pensare alla mela che il serpente fa mangiare a Eva; oppure, alla mela d’oro che, nel giudizio di Paride, scatenerà la guerra di Troia; fino ad arrivare alla mela avvelenata che la strega convince Biancaneve ad addentare, procurandole una morte apparente.

Il servo del principe azzurro, però, inciampa in una radice sporgente e fa cadere la bara giù per il fianco della collina. Durante la caduta, dalla bocca di Biancaneve racchiusa nel sarcofago, fuoriesce il boccone di mela avvelenato. La fanciulla finalmente si sveglia. Ora è salva e libera di godersi l’amore del suo principe

Ecco, in questa storia (parziale) della Monsanto, dove spesso i controllori e controllati sono le stesse persone, dove il profitto tiene al guinzaglio il diritto fondamentale alla salute, per evitare che la mela transgenica della Monsanto azzeri per sempre la biodiversità, dovremmo trasformarci tutti nella radice della fiaba: metterci, cioè, tra i piedi del gigante transgenico, e farlo finalmente inciampare, provocandone la definitiva e rovinosa caduta.

Occorre, in conclusione, vigilare e ribellarsi, singolarmente e come corpo sociale, al dominio pestilenziale della Monsanto.

 

 

 

martedì 17 marzo 2015

Peppino il giardiniere

La storia di Peppino il giardiniere che, “con le sue piantine maleodoranti, scioccamente festose”, mina dalle fondamenta l’impero dell’ing. Costa.

Non ci stavano santi: gli bastava solamente vederlo perché le sue viscere, tarantolate dall’avversione, ingolfassero le uscite di sicurezza!

Sempre lì, all’ingresso della sua fabbrica, intento a prendersi cura di quelle erbacce maleodoranti, scioccamente festose. Già, festose: proprio come quel sorriso da ebete che albergava perennemente nel suo volto. Che poi: ma che minchia c’aveva mai da sorridere, Peppino il giardiniere?

Pigliava la miseria di 600 euro al mese, non aveva uno straccio di proprietà e si permetteva financo il lusso di essere felice? Pazzesco!

Proprio per evitare questa situazione d’insofferenza non appena le traiettorie oculari intercettavano la presenza di Peppino, l’esimio ingegner Costa aveva battuto ogni strada percorribile. Ma si sa, i sindacati, lo Statuto dei lavoratori: zavorre antistoriche che appesantivano il suo volo messianico verso la tirannia!

Quale cavillo giuridico invocare infatti, per licenziare un reietto che si ostinava ad essere sempre puntuale, a non assentarsi mai e, per di più, a dimostrarsi sfacciatamente bravo nel suo lavoro?

Certo, poteva accusare Peppino il giardiniere di essere comunista. Come lo sapeva? Lapalissiano: uno che ride lavorando senza avere nemmeno gli occhi per piangere, non può che essere comunista. E allora? Cosa avrebbe raccontato al giudice del lavoro? Che lo licenziava perchè cantava bandiera rossa  mentre si prendeva cura dell’orto?

Pensava queste cose, frattanto che varcava l’ingresso con il suo gippone, bestemmiando fumo grigio e nero. E queste cose continuava a pensare, appena entrato nel suo ufficio.

Non c’era da filosofeggiare: doveva trovare un metodo per renderlo inoffensivo. E già perché, Peppino il giardiniere, era davvero pericoloso…anzi: pericolosissimo! Insomma, un sovvertitore dell’ordine costituito. La prova? L’abbandono degli studi in giurisprudenza, a due esami dalla laurea, per dedicarsi a quelle sue maledette piantine.

Bastava però che guardasse le torri metalliche della sua fabbrica, il vigore opaco degli spocchiosi pennacchi, perché l’eccelso ingegner Costa dimenticasse ogni dispiacere. E a quel punto, che se ne andasse pure al paese di pulcinella Peppino il giardiniere con tutte le sue piantine del cavolo!

Quel giorno poi, aveva la riunione con il ghota della finanza internazionale. Un affare troppo importante per la CostaGas.pm10.

Il padiglione riservato alla riunione era il primo, quello prospiciente l’ingresso della fabbrica e quindi, il giardino. E questo era bastato ad innestare l’autoscontro viscerale dell’ingegnere. Poi però, pensandoci bene, non potè far altro che convenire con gli organizzatori sulla scelta del luogo: era infatti il primo, il padiglione meglio tenuto della sua pantagruelica fabbrica.

Eppoi, perché mai avrebbe preferito una soluzione diversa? Non c’era motivo! Eppure…eppure aveva uno strano presentimento, ecco tutto.

La riunione ebbe inizio. Si poteva osservare una carrellata spasmodica di facce color cemento, di bocche artatamente arcuate, di vestiti ammantati di chiuso.

Dopo poco meno di un’ora, il briefing si avviava alla conclusione. Esito? L’onnipotente ingegner Costa aveva raggiunto l’accordo per l’installazione di un’altra appendice del suo impero industriale, proprio lì, in India: successo a 360°!

Tutto filava liscio. Ogni cosa aveva ormai seguito, mansueta, le orme del suo volere. Eppure…eppure!

Uscirono tutti, tristemente felici per l’accordo raggiunto.

Si poteva vedere, tra milionari cianotici, guardie del corpo imbalsamate e cravatte funeree, un fiume epilettico di mille e più guadagni. La piena era diretta verso il parcheggio, dirimpetto a quell’angolo di giardino.

All’improvviso il flusso prezzolato cozzò contro la diga: 60 mq di erbacce maleodoranti, scioccamente festose. E lì, tra un roseto e un pino, si udì l’azzurro sorridente di Peppino.

Li vide mentre lo vedevano. Spiantò i cartelli del distacco (si prega di non calpestare le aiuole, pregasi di non toccare i fiori…), vi piantò quelli della rinascita (si prega di calpestare le aiuole, pregasi di toccare i fiori ).

Quel diavolo di Peppino il giardiniere, si avvicinò all’inerme ingegner Costa. Lo prese per mano. Lo condusse nel giardino. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’industriale allora, irretito da quel sorriso magnetico, si tolse le scarpe, le calze. Appoggiò i piedi finalmente nudi sul prato.

Tra i gli innumerevoli, immensi torrioni della fabbrica, s’intravide una frangia di cielo.

E fu così che proprio lì, tra le aiuole e l’ulivo secolare, sbocciò il sorriso dell’uomo Costa.

Verde di pino, giallo di grano, vivo di vita.

martedì 11 febbraio 2014

Supequacc!


<Guarda, vedi qua! Non si capisce niente:munnezza a destra, munnezza a sinistra…viviamo nell’epoca della munnezza, non ci stanno santi! Tra un poco, accanto ai segnali stradali, dovranno mettere i segnali della spazzatura:obbligo di munnezza a destra, divieto di sosta per la munnezza…>

<Al nord, è tutto un’altra cosa, caro Giacchino. Quando sono stato a Milano, addirittura ho visto le guardie che facevano la multa a quelli che buttavano le carte per terra.>

<Eh, ma voi non sapete niente! Ieri sera, al primo canale…a quel programma dove ci stanno il padre e pure il figlio…>

<…e lo Spirito santo, mastro Giuà! Si chiama Supequacc!>

<Eh, proprio quello lì! In tutti i modi, facevano vedere che a Brescia hanno costruito una specie di inceneritore per la munnezza, come ce l’abbiamo pure noi qua, dalle nostre parti. Però, mentre da noi puzzano e buttano fuori aria sporca e fetente, lì invece, al Nord, addirittura ( non so come fanno! ) ci riscaldano l’acqua delle case e pure gli appartamenti! Eh, eh,eh…date retta a me, che ho fatto la campagna di Russia; i nordisti sono come gli ebrei, c’hanno la mente fina!>

<Avete capito proprio bene, mastro Giua’! Eppoi si lamentano di Bossi, della Lega….sapete che vi dico? Secondo me quello ha ragione…loro sono più cristiani di noi, non ci sta niente da fare!>

<Per me, ci vorrebbe Mussolini…tu sporchi, fai la munnezza? Olio di ricino, e così t’impari!>

<Bravo, don Peppino, avete detto proprio bene!>

Don Peppino ritira la pensione. Esce ciondolante dall’ufficio postale. Si mette una caramella rigorosamente all’anice in bocca.

Naturalmente, butta la carta per terra.

mercoledì 11 dicembre 2013

Intercettazione di 2 particelle inquinanti nella Terra dei Fuochi.



A:<È la quarta volta che te lo ripeto, ma tu…>


B:<Sì, ma che posso fare?>

A:<E beh, a pensarci bene, semplici sostanze inquinanti siamo, mica possiamo decidere noi la destinazione?!>

B:<Per questo ti dicevo. Anche se il faccendiere napoletano…>

A:<Bingo!>

B:<Già, è venuto pure su in Trentino, non solo alla Per.Co., ma pure alla La.To. S.p.A.>

A:<Ah,ah,ah, lasciami indovinare:all’udire la somma che avrebbe risparmiato nello stoccaggio se solo avesse firmato il contratto, il dottor Giacchetti…ah,ah,ah, già me lo vedo con i polpastrelli sudaticci per l’emozione…oddio, che risate…>

B:<Eh,eh,eh. Quindi, se tanto mi dà tanto…>

A:<Oh, stanne pur certo, amico mio:anche tu e la tua famiglia farete parte degli eletti; pure a voi toccherà in sorte il privilegio di avere un ruolo da protagonisti nella contaminazione della Campania Felix.>


B:<Amen!>

A:<Sicuro come la morte. La presenza dell’avvocato napoletano è il passepartout per la mitica Terra dei Fuochi….tatààààààààà. Te l’avevo detto, no?>


B:<Sì, sì, solo che abituato a quei quattro trogloditi che a spiaccicare una parola d’italiano…!>

A:<Eh, bello mio:trattasi di rivoluzione copernicana. Si è passati dal guappo con la testa di Gesù Cristo affondata nella peluria del petto…>

B:<…all’avvocato con la cravatta di Marinella di un blu appena accennato.>

A:<Ah, vedo che stai già studiando gli usi e costumi, eh?>

B:<Eh,eh,eh, sai com’è, il desiderio di contaminare il paese del sole e del mare è tanto che…a proposito, ma davvero è una terra così bella questa in cui tu e i tuoi sgherri avete messo radice?>

A:<Porca puttana!>

B:<Che è stato?>

A:<Senti, patti chiari e amicizia lunga. Sono disposto a dirti tutto, ma ad una sola condizione: non usare più il termine "radice" con me, ok?>

B:<Ma…>

A:<Vuoi che ti descriva il posto o no?>

B:<Va bene.>

A:<Ecco. Io sono intombato qui, a poca distanza dal mare. Alla mia destra, c’è una distesa sterminata di campo di pomodori. A sinistra, diversi appezzamenti di terreni coltivati alcuni a zucchine, altri a broccoli, altri ancora a insalata. Ad una spanna dal mio capo, poi, l’aranceto.>

B:<Le Bucoliche!>

A:<E non è tutto. Ogni tanto, in particolari condizioni climatiche, anche da qui sotto riesco a sentire l’afrore d’o mare…>


B:<Romanticone! Ma non è che mi ti stai diventando un po’ troppo smielato?>

A:<Già, proprio come la diossina al cospetto di una masnada di corpi pronti ad ospitarne l’essenza…ahahahaha.>

B:<Che meraviglioso figlio di puttana! Ma sto’ fatto della radice?>

A:<Ahhhhhhhhh!>

B:<Dai, sono o non sono il tuo compare di contaminazioni?>

A:<Non puoi capire quanto solo parlarne mi dia sui nervi!>

B:<Suvvia!>

A:<Ma no perché è proprio ‘sta fottutissima radice di quercia, che non secchi in questo stesso momento, che impedisce alla nostra colonia di arrivare alle falde acquifere.>

B:<Addirittura?>

A:<Già. Hai voglia di sforzarci a sprigionare tutto il nostro potenziale inquinante. Niente da fare. E, se proprio t’interessa saperlo, è da lei che sento ‘ste cazzate del mare, del sole e via dicendo.>

B:<Ih,ih,ih, lo dicevo io che la cosa puzzava!>

A:<Eh, ci vorrebbe solo….>

B:<Ma che è sto’ rumore?>

A:<Aspe’…sì, sì, vai. Ancora. Di più. Urrà!>

B:<Caspita…>

A:<Che goduria, mi sa che con quest’ultimo carico…>

B:<Ma ancora scaricano?>

A:<È il terzo sversamento da stanotte alle due.>

B:<Eddai, speriamo che anch’io ti possa venire al più presto a darti una mano.>

A:<La dobbiamo bruciare fin nelle nervature più profonde, ‘sta zoccola di quercia.>

B:<E una volta raggiunta la falda acquifera….>

A:<Zitto. A parlarne, le cose belle non si avverano.>

B:<E allora non diciamo niente! Si sta così bene nel corpo dei napoletani!>

A:<Peccato il soggiorno duri troppo poco.>