Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi. (Italo Calvino)
venerdì 3 marzo 2017
Lorenzo Forte e gli “svaniti in una nebbia o in una tappezzeria”
mercoledì 23 settembre 2015
La Monsanto ovvero la mela avvelenata della Terra
Solo negli anni Sessanta, a seguito della denuncia di come le grandi praterie americane trattate con l’erbicida 245T della Monsanto diventassero silenti, prive di vita («la primavera silenziosa»), il movimento ecologista si accorge della grave minaccia per l’ecosistema rappresentata proprio dalla «Microsoft del transgenico.»
L’erbicida 245T, infatti, è altamente tossico. È così potente che l’esercito americano lo impiegherà come defoliante per bruciare le foglie degli alberi vietnamiti; e con esse, i Vietcong, che saranno costretti a uscire allo scoperto e, infine, massacrati.
Composto gemello del 245T, è l’«agente orange»: un preparato altamente cancerogeno, che ha provocato e continua a provocare danni immunitari e all’apparato riproduttivo.
Eppure, fin dalla crisi del ’29, quando la Monsanto inizia a produrre i famigerati policlorobifenili (PCB), i pericoli per la salute e i danni all’ambiente sono evidenti. Ma tant’è: a volte la storia, l’economia, vanno in corto, e le metastasi di un capitalismo radioattivo, aggrediscono gli anticorpi incapaci di reagire.
Negli anni Ottanta la Monsanto scopre il Roundup, pesticida potentissimo anche nel far lievitare i suoi profitti (di circa il 20% all’anno). Da lì a poco, inventa una semente super resistente che s’impegna a diffondere assieme al Roundup stesso.
Il pacchetto doppio (sementi-pesticida) di proprietà esclusiva della venefica multinazionale, è bello e infiocchettato.
Nel 1998, poi, arriva la modifica genetica della pianta che diventa sterile. Eccolo materializzarsi, quindi, il giogo che riduce in schiavitù tantissimi contadini. E sì perché la Monsanto può sterilizzare le piantine e poiché, ormai, molti agricoltori dei Paesi poveri sono costretti ad acquistare le sementi proprio dalla Monsanto, fin dal primo acquisto questi ultimi saranno alla mercé, anno per anno, del loro carnefice.
Certo, la storia della Monsanto potrebbe continuare con la diffusione, tra gli altri, del Prosilac, ormone capace di gonfiare il bestiame come una zampogna, e con tanti altri prodotti tossici, tutti con il minimo comune denominatore di nuocere gravemente alla salute e all’ambiente. Ma mi fermo qui.
Nella religione, nei miti e nelle favole, la mela raccontata ha spesso proiettato un’ombra sinistra sulle qualità nutrizionali del frutto. Basti pensare alla mela che il serpente fa mangiare a Eva; oppure, alla mela d’oro che, nel giudizio di Paride, scatenerà la guerra di Troia; fino ad arrivare alla mela avvelenata che la strega convince Biancaneve ad addentare, procurandole una morte apparente.
Il servo del principe azzurro, però, inciampa in una radice sporgente e fa cadere la bara giù per il fianco della collina. Durante la caduta, dalla bocca di Biancaneve racchiusa nel sarcofago, fuoriesce il boccone di mela avvelenato. La fanciulla finalmente si sveglia. Ora è salva e libera di godersi l’amore del suo principe
Ecco, in questa storia (parziale) della Monsanto, dove spesso i controllori e controllati sono le stesse persone, dove il profitto tiene al guinzaglio il diritto fondamentale alla salute, per evitare che la mela transgenica della Monsanto azzeri per sempre la biodiversità, dovremmo trasformarci tutti nella radice della fiaba: metterci, cioè, tra i piedi del gigante transgenico, e farlo finalmente inciampare, provocandone la definitiva e rovinosa caduta.
Occorre, in conclusione, vigilare e ribellarsi, singolarmente e come corpo sociale, al dominio pestilenziale della Monsanto.
martedì 17 marzo 2015
Peppino il giardiniere
La storia di Peppino il giardiniere che, “con le sue piantine maleodoranti, scioccamente festose”, mina dalle fondamenta l’impero dell’ing. Costa.
Non ci stavano santi: gli bastava solamente vederlo perché le sue viscere, tarantolate dall’avversione, ingolfassero le uscite di sicurezza!
Sempre lì, all’ingresso della sua fabbrica, intento a prendersi cura di quelle erbacce maleodoranti, scioccamente festose. Già, festose: proprio come quel sorriso da ebete che albergava perennemente nel suo volto. Che poi: ma che minchia c’aveva mai da sorridere, Peppino il giardiniere?
Pigliava la miseria di 600 euro al mese, non aveva uno straccio di proprietà e si permetteva financo il lusso di essere felice? Pazzesco!
Proprio per evitare questa situazione d’insofferenza non appena le traiettorie oculari intercettavano la presenza di Peppino, l’esimio ingegner Costa aveva battuto ogni strada percorribile. Ma si sa, i sindacati, lo Statuto dei lavoratori: zavorre antistoriche che appesantivano il suo volo messianico verso la tirannia!
Quale cavillo giuridico invocare infatti, per licenziare un reietto che si ostinava ad essere sempre puntuale, a non assentarsi mai e, per di più, a dimostrarsi sfacciatamente bravo nel suo lavoro?
Certo, poteva accusare Peppino il giardiniere di essere comunista. Come lo sapeva? Lapalissiano: uno che ride lavorando senza avere nemmeno gli occhi per piangere, non può che essere comunista. E allora? Cosa avrebbe raccontato al giudice del lavoro? Che lo licenziava perchè cantava bandiera rossa mentre si prendeva cura dell’orto?
Pensava queste cose, frattanto che varcava l’ingresso con il suo gippone, bestemmiando fumo grigio e nero. E queste cose continuava a pensare, appena entrato nel suo ufficio.
Non c’era da filosofeggiare: doveva trovare un metodo per renderlo inoffensivo. E già perché, Peppino il giardiniere, era davvero pericoloso…anzi: pericolosissimo! Insomma, un sovvertitore dell’ordine costituito. La prova? L’abbandono degli studi in giurisprudenza, a due esami dalla laurea, per dedicarsi a quelle sue maledette piantine.
Bastava però che guardasse le torri metalliche della sua fabbrica, il vigore opaco degli spocchiosi pennacchi, perché l’eccelso ingegner Costa dimenticasse ogni dispiacere. E a quel punto, che se ne andasse pure al paese di pulcinella Peppino il giardiniere con tutte le sue piantine del cavolo!
Quel giorno poi, aveva la riunione con il ghota della finanza internazionale. Un affare troppo importante per la CostaGas.pm10.
Il padiglione riservato alla riunione era il primo, quello prospiciente l’ingresso della fabbrica e quindi, il giardino. E questo era bastato ad innestare l’autoscontro viscerale dell’ingegnere. Poi però, pensandoci bene, non potè far altro che convenire con gli organizzatori sulla scelta del luogo: era infatti il primo, il padiglione meglio tenuto della sua pantagruelica fabbrica.
Eppoi, perché mai avrebbe preferito una soluzione diversa? Non c’era motivo! Eppure…eppure aveva uno strano presentimento, ecco tutto.
La riunione ebbe inizio. Si poteva osservare una carrellata spasmodica di facce color cemento, di bocche artatamente arcuate, di vestiti ammantati di chiuso.
Dopo poco meno di un’ora, il briefing si avviava alla conclusione. Esito? L’onnipotente ingegner Costa aveva raggiunto l’accordo per l’installazione di un’altra appendice del suo impero industriale, proprio lì, in India: successo a 360°!
Tutto filava liscio. Ogni cosa aveva ormai seguito, mansueta, le orme del suo volere. Eppure…eppure!
Uscirono tutti, tristemente felici per l’accordo raggiunto.
Si poteva vedere, tra milionari cianotici, guardie del corpo imbalsamate e cravatte funeree, un fiume epilettico di mille e più guadagni. La piena era diretta verso il parcheggio, dirimpetto a quell’angolo di giardino.
All’improvviso il flusso prezzolato cozzò contro la diga: 60 mq di erbacce maleodoranti, scioccamente festose. E lì, tra un roseto e un pino, si udì l’azzurro sorridente di Peppino.
Li vide mentre lo vedevano. Spiantò i cartelli del distacco (si prega di non calpestare le aiuole, pregasi di non toccare i fiori…), vi piantò quelli della rinascita (si prega di calpestare le aiuole, pregasi di toccare i fiori ).
Quel diavolo di Peppino il giardiniere, si avvicinò all’inerme ingegner Costa. Lo prese per mano. Lo condusse nel giardino. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’industriale allora, irretito da quel sorriso magnetico, si tolse le scarpe, le calze. Appoggiò i piedi finalmente nudi sul prato.
Tra i gli innumerevoli, immensi torrioni della fabbrica, s’intravide una frangia di cielo.
E fu così che proprio lì, tra le aiuole e l’ulivo secolare, sbocciò il sorriso dell’uomo Costa.
Verde di pino, giallo di grano, vivo di vita.
martedì 11 febbraio 2014
Supequacc!
mercoledì 11 dicembre 2013
Intercettazione di 2 particelle inquinanti nella Terra dei Fuochi.
A:<Peccato il soggiorno duri troppo poco.>