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martedì 18 dicembre 2018

Salerno, Ferrero presenta il suo Marx



Nel pomeriggio di venerdì 14 dicembre, presso il Salone della Funzione Pubblica CGIL di Salerno, si è tenuta la presentazione del Libro di Paolo Ferrero e Bruno Morandi Marx-oltre i luoghi comuni, DeriveApprodi Editore.
L’iniziativa, promossa dall’Associazione Memoria in Movimento, ha visto la nutrita partecipazione di un pubblico attento e propositivo.
Angelo Orientale, dopo i saluti di rito, ha introdotto la discussione sul filosofo di Treviri a 200 anni dalla sua nascita e a 170 anni dalla pubblicazione de Il Manifesto del Partito Comunista.
Il primo a prendere la parola, è stato il Prof. Fortunato Maria Cacciatore dell’Università della Calabria, che, con un’analisi lucida, ha fatto riferimento alla critica di Marx al comunismo ex cathedra. Di poi, si è soffermato sulla visione del filosofo tedesco della filosofia come talpa che ha l’obbligo morale, a differenza della Nottola hegeliana, di modificare la realtà.
A questo punto, la studentessa Rossella Falco del Collettivo Studenti Ribelli, ha incalzato un attento Ferrero su tematiche di spessore come la necessità di un approccio multidisciplinare allo studio simile a quello di Marx, e sulla differenza tra i vari marxismi che si sono succeduti nella storia.
Paolo Ferrero, già segretario del PRC e attualmente vice presidente del Partito della Sinistra Europea, prendendo spunto dal suo libro, ha messo in guardia dai revisionismi, anche in buona fede, di  certi marxisti. I guai per il comunismo, secondo il politico e scrittore piemontese, nascono dalla convinzione, presente, ad esempio, nelle cosmogonie di Hegel e codificata da Kautsky, che non ci fosse un’alternativa tra socialismo e barbarie. A un certo punto, infatti, assecondando questo orientamento, necessariamente il capitalismo sarebbe sfociato in socialismo prima, e in comunismo poi. Marx invece, in maniera lungimirante, aveva da subito intuito che non c’è alcun automatismo al proposito. C’è stato anche lo spazio per parlare di religione. A tal proposito, il valdese Ferrero ha sottolineato quanto sia stucchevole dividersi tra credenti e atei, il problema essendo quello di migliorare le condizioni di vita per far sì che la fede sia scelta e non consolazione per una vita da sfruttati.
Immancabile, infine, il riferimento al fascismo strisciante nelle politiche della Lega di Salvini.

giovedì 27 settembre 2018

L'indifferenziato scostumato

Con la prontezza con cui il buongustaio assocerebbe il giovedì agli gnocchi, noi, ricicloni convinti, non avremmo alcuna esitazione a far seguire al lunedì l’indifferenziato della raccolta.

E sì perché noi, incuranti dell’accusa di fanatismo, troviamo normale separare la carta della busta da fattura dal suo occhiello di plastica; così come, con lo “stomaco” del tirocinante alla prima autopsia, non abbiamo remore ad affondare le dita nelle interiora delle alici confinate nell’organico per agguantare lo scontrino e gettarlo nel secchio dell’indifferenziato; alla stessa maniera, infine, del self control di cui diamo prova al cospetto del malefico tubo delle Pringles, certi che il coperchio e la base del tubo vanno nel contenitore di plastica, acciaio e alluminio mentre il cilindro, quello sì, è da gettare nel raccoglitore della carta.

Ebbene, noi sacri officianti della raccolta differenziata, prostrati al cospetto della sua magnificenza, non possiamo non notare una falla nel sistema, soprattutto con riguardo al conferimento dell’indifferenziato.

Vengo e mi spiego. La percentuale della raccolta differenziata a Salerno si aggira, stando agli ultimi dati di cui sono venuto in possesso, attorno al 61%. E qui la grancassa dell’amministrazione comunale, al ricordare questo lusinghiero risultato, suona a tutto spiano. Senza parlare della stampa compiacente che, un giorno sì e l’altro pure, incensa la virtuosa Hippocratica civitas in tema di monnezza.

Tutto bello, tutto degno di lode, se non fosse per una constatazione.

Piccola premessa a scanso di fraintendimenti: il ragionamento che sto per fare è di tipo meramente induttivo. Quindi, rispetto al “lo so. Ma non ne ho le prove” dell’inarrivabile Pasolini, io, nel mio piccolo, un indizio che faccia da architrave alla mia speculazione, ce l’ho. Ed è proprio questo relativo alla raccolta dell’indifferenziato del lunedì.

Cosa bisognerebbe far confluire nel sacchetto dell’indifferenziato? Semplice, tutti quei materiali che, per l’appunto, non possono essere differenziati.  Nello specifico, come recita il calendario di conferimento del Comune di Salerno, “posate di plastica, stracci, lampadine a incandescenza, carta carbone, cocci di ceramica, porcellana, terracotta, spazzolini, calze di nylon, lamette usa e getta.” Bene. Finita la lettura dell’elenco, una persona di media intelligenza capisce subito una cosa: il sacchetto dell’indifferenziato avrà una capienza ben misera rispetto, mettiamo, a quello dell’organico o all’altro contenente plastica, acciaio e alluminio.

Invece, proprio nella giornata di lunedì, troviamo dei sacchetti pantagruelici che sfidano la forza di gravità dei ganci alle ringhiere.

Ma vi è di più. Provate a farvi un giro, le sere del lunedì salernitano, davanti ai sacchetti dell’indifferenziato e guardateci dentro. Nossignore, non vi sto chiedendo di fare come De Crescenzo e sodali vari quando, ne “Il mistero di Bellavista”, rovistano nei sacchetti della spazzatura dei condomini. È sufficiente, allo scopo, buttare un occhio distratto a ciò che contengono ‘sti sacchetti. Ebbene, esperienza insegna che nella maggior parte dei casi, ci troverete proprio quegli stessi materiali (plastica, carta, etc.) per i quali è previsto un conferimento in giorni ad hoc (mercoledì per la plastica, giovedì per la carta, etc.).

Come si spiega il busillis? Semplice, con il fatto che molti salernitani sono convinti che l’indifferenziato abbracci anche tutti quei rifiuti, in gran parte riciclabili, che negli altri giorni della settimana, vuoi per dimenticanza, vuoi per comodità, non si è provveduto a raccogliere. Con l’ovvia conseguenza, quindi, che i sacchetti dell’indifferenziato sono fuorilegge sia per quanto riguarda la quantità dei rifiuti che contengono sia per ciò che attiene alla qualità. Insomma, il lunedì sera, si conferisce troppo e male.

Senza contare il fatto che la probabilità del tuo sacchetto fuorilegge di venire raccolto, spesso, dipende anche dall’operatore ecologico che copre la tua zona: se è scrupoloso, magari lascia lì il sacchetto improprio, sperando in un tuo futuro ravvedimento ecologico; se invece la fretta, la superficialità o a volte, purtroppo, la conoscenza diretta della famiglia incivile, gli impone di passare oltre, prende il sacchetto “sbagliato” e va via.

Per concludere, il mio timore è che la battaglia di civiltà della raccolta differenziata, sia sfuggita un po’ troppo di mano all’amministrazione comunale, attenta più al dato statistico che alla veridicità dello stesso. E quando penso al culto della percentuale a prescindere dalla sua corrispondenza al vero, non posso non riandare con la mente agli sparuti marinai borbonici che avevano avuto l’ordine di spostarsi ininterrottamente da poppa a prua e da prua a poppa (c.d.“fare ammuina”), solo per dare l’impressione di essere in tanti.

Sappiamo com’è andata a finire.

 

venerdì 14 settembre 2018

Il Nostro Prof Vincenzo Buonocore

Correva l’anno 1998. Superati gli esami più attinenti ai miei “studi classici ardenti” che alla professione di avvocato, mi accingevo a sostenere diritto privato.

Istituzioni di diritto privato!” -  mi avrebbe folgorato, per omnia saecula saeculorum, il Nostro.

Lungo i corridoi della facoltà di giurisprudenza, l’implume studente che ancora doveva passare sotto le forche caudine dell’esame di istituzioni di  diritto privato A/L, vivacchiava accartocciato nella paura ancestrale della collera del Nostro. Per chi, invece, avesse superato la tremenda prova, il futuro radioso di una vita professionale gli si schiudeva come bocciolo al primo raggio di sole.

“Diritto privato mezzo avvocato!” Ecco, per l’appunto: poiché dovevo pur legittimare la borsa di pelle regalatami dal nonno ancor prima dell’immatricolazione all’università, occorreva sostenerlo, ‘sto benedetto esame. E per farlo, era necessario seguire il corso, nonostante quello che si diceva del Nostro con il parlottare a mezza voce dei cospiratori. Cosa? Beh, tipo che dopo aver rivisto a distanza di dieci anni un suo studente, il Nostro gli avesse consigliato di farsi controllare quel neo sotto il lobo sinistro perché dieci anni prima aveva i contorni meno irregolari; che al terrorista infiltratosi tra i suoi corsisti con l’intento di far deflagrare l’intera università, bastò assistere a una sua lezione, per deporre sulla cattedra bomba ed estremismi vari e votarsi finalmente a una vita ascetica; e infine, che avendo il Nostro imposto il silenzio a un’aula insolitamente chiassosa, finanche le pagine del Trabucchi, col timore che qualcuno le leggesse e facesse così, suo malgrado, rumore, avessero intimato lo sfratto ai caratteri di stampa.

Primo giorno di corso nella leggendaria aula nr. 2.

Il Nostro entra alle nove in punto, facendo già intendere come la pensava in fatto di puntualità.

Il suo passo è malcerto. Si aggrappa alla cattedra. La tocca da un’estremità all’altra, quasi a prenderne le misure. Ricorda vagamente il comandante di una nave che, prima di salpare, ne percorre in solitudine il perimetro per saggiarne la forza e l’affidabilità.

Inizia il viaggio tra domande “pilastro”, che lo studente non può non sapere, e tra quelle “pilastrone”, alla cui mancata o errata risposta, non c’è appello che tenga: lo statino si autodistrugge per indegnità. Ma soprattutto, comincia il viaggio lungo sei mesi di una navigazione in mare aperto, perigliosa e affascinante insieme, sulla rotta di un eclettismo capace di far impallidire il buon Cicerone: si parte dal diritto per arrivare alla geografia astronomica, dopo una puntatina alla filosofia e alla letteratura (è il Nostro che mi parla per la prima volta di Andrea Camilleri e del suo Montalbano), per poi ritornare nuovamente nei lidi confortevoli del diritto.

In uno di questi voli pindarici, la domanda che impone di uscire allo scoperto: “Antipiretico…sì, ma chi conosce l’etimologia di questo termine?”

Pausa di quattro quarti.

Con l’incoscienza dei miei vent’anni, alzo il dito: “Dal greco, letteralmente contro il fuoco, quindi contro l’infiammazione.”

L’occhio del Nostro diventa rapace.

Dopo aver chiesto e ottenuto il mio cognome: “Cerchi di non cambiare troppo look e posto nell’aula per la durata del corso.” – si raccomanda: la sua portentosa memoria, infatti, dovrà avvalersi di un minimo di collaborazione da parte di ognuno di noi per consentirgli una valutazione quanto più giusta possibile.

Eccolo, in definitiva, il mio piccolo ricordo del Prof. Vincenzo Buonocore, al netto delle esagerazioni iniziali e di qualche forzatura di cui mi scuso in anticipo; di un uomo, cioè, con una cultura invidiabile e con un’umanità a tratti spigolosa, ma pur sempre profonda e vivida.

Caro Prof, dalla distanza siderale che intercorre tra le nostre dimensioni e da una diversa sensibilità politica, La prego di credermi: se anche fossi stato bocciato per aver toppato una delle Sue proverbiali domande pilastrone, ebbene, mai bocciatura sarebbe stata meglio incassata.

Grazie.

sabato 25 agosto 2018

A Capitignano, lo scrigno della Biblioteca “J. Frusciante”

In questo giorno appiccicoso di caucciù, di quelli a cui cerchi di scampare con il refrigerio della collina, sono venuto qui, a Capitignano.
È appena passato ferragosto. In attesa di riprendere il lavoro mai del tutto abbandonato, vago di ombra in ombra lungo la suggestiva piazza Giovanni Paolo II.
Mentre il retrogusto del caffè sorseggiato al bar “Nuovo Millennio” interroga l’amigdala sull’ultima volta in cui sono venuto a Capitignano, da un malchiuso portone, eccola la scritta tentatrice più delle settantadue vergini  del Corano: Biblioteca Comunale “Jack Frusciante.”
Mi affaccio sulla soglia. Al vedere tutti questi libri che se ne stanno impettiti, tronfi della loro indispensabilità, negli scaffali che tappezzano la sala, ho un attimo di esitazione.
Così, per evitare di sborsare le cinquanta lire al gelataio di Totò sceicco che poi si rivelerà un fottuto miraggio, mi do un generoso pizzicotto sul braccio.
Pericolo scampato: nonostante la controra e gli strascichi del chiuso per ferie, la biblioteca è proprio aperta e operativa.
Mi accoglie un sorriso incastonato in una faccia ispirata, di quelle che ha conosciuto il fuoco della passione.
Eccolo qui, il Sig. Giuseppe Melchiorre, gestore di questa biblioteca comunale “che vanta più di cinquemila titoli.”
“Badate bene, questi libri non sono stati sempre qui.” – ci tiene a precisare con cipiglio storico il Sig. Melchiorre – “Prima erano conservati in un sottoscala della sede comunale. Poi, negli anni 2014 e 2015, finalmente il trasferimento qui, in questa sala adiacente al circolo ricreativo.”
Grato alla lungimirante amministrazione comunale dell’epoca per aver salvato questo patrimonio dalla rodente critica dei topi, mi perdo a dare un’occhiata ai dorsi dei volumi ospitati nella biblioteca.
Narrativa, Letteratura Classica, Gialli, Thriller, Storia, Storia locale, Saggi…
“E questa biblioteca è in continua crescita.” – avverte con la stessa soddisfazione di quando, lui teatrante de I Senza Creanza, deve ragguagliare l’interlocutore sulle decine di personaggi messi in scena – “Oltre alle tante donazioni di libri dai privati, puntualmente il Comune di Capitignano, dietro mia segnalazione che cerca di intercettare i gusti dei lettori, provvede ad acquistare nuovi volumi.”
Sto per fargli la domanda dalle cento pistole, quella che se risposta in un certo modo, potrebbe sterilizzare del tutto questa promessa di riscatto per Capitignano e per i paesi vicini. Quando si parla di libri e cultura, infatti, il rischio di una vetrina messa lì solo per lavare la coscienza di qualche amministratore locale, è sempre dietro l’angolo.
Il perspicace Giuseppe interpreta correttamente il su e giù timoroso del mio pomo d’adamo.
“Dalle otto alle venti in cui è aperta questa biblioteca,” – mi guarda con l’occhio rassicurante – “le persone vengono. Certo,” – una leggera patina subito scacciata via gli vela lo sguardo – “non quante ce ne sarebbe bisogno per far andar meglio questo mondo impazzito, ma i lettori qui, alla biblioteca “Jack Frusciante”, non mancano mai. E poi la soddisfazione più grande, è che il maggior numero dei fruitori di questa biblioteca, è rappresentato dai ragazzi dai quindici ai venti anni.”
L’incontro è finito. Dopo essermi attardato a dare un’ultima occhiata alla sala: “Aspettate un momento, avvocato ” – rimpingua così il mio ritardo che m’imporrebbe già di tornare a Salerno, Giuseppe.
Dopo un minuto, eccolo riapparire come un folletto partorito dalle pagine di un libro.
Con la stessa sacralità con cui, nella notte dei tempi, il magio Melchiorre offriva il pomo contenente  l’oro per il Bambin Gesù, il nostro Melchiorre mi porge un libro, questa volta quello che lui sta leggendo.
“Non si può fare il gestore di una biblioteca senza amare i libri. La passione, innanzitutto la passione, avvocato.”

venerdì 3 marzo 2017

Lorenzo Forte e gli “svaniti in una nebbia o in una tappezzeria”

Lorenzo Forte, l'ho scelto di incontrare io.
"Stavolta, non ci ricasco", mi sono detto, mentre l'attendevo davanti al Bar Verdi di Salerno.
Passati in rassegna i miei 40 anni come brava recluta, ho realizzato che almeno 30 di questi li ho spesi scambiando lucertole per draghi, interessi per ideali, ennesimi Sancho Panza per rarissimi Don Chisciotte della Mancia.
"Stavolta no, caro Lorenzo; stavolta sarò accortissimo nello stanare l'imbroglio, tanto più che anche nel fisico riveli più il castello agognato da Sancho che i mulini a vento combattuti dall'ingenioso hidalgo."
Giusto il tempo di presentarmi, di allestire il più falso sorriso in dotazione, che sparo crudo:<Lorenzo Forte, perché lo fai?>
L'imbarazzo nel mio interlocutore dura una decina di secondi, giusto il tempo di far affiorare il ricordo dai suoi occhi. E mi parla di fantasmi, Lorenzo Forte, del tizio che vestiva sempre un impermeabile bianco quasi per redimersi dal nero bituminoso delle Fonderie Pisano che, di lì a poco, avrebbe corroso le sue viscere.
Mi parla anche della palazzina di via dei Greci, a Fratte, dove in ognuno dei dodici appartamenti, c'è almeno un sudario che gronda cadmio, ferro e disperazione; già, proprio così: almeno uno, per ogni appartamento della palazzina.
Mi racconta, ed è l'unico momento in cui sembri non dare troppa importanza all'argomento, della sua allergia comparsa quando abitava a Fratte (poi, una volta allontanatosene, quasi del tutto andata via); della necessità, ogni mattino che il dio della produzione manda in terra, di liberare le ringhiere e i balconi esterni di casa sua dalla polvere ferrosa appollaiata, come l'upupa nei cimiteri, in attesa di contaminare l'ennesimo organismo.
E poi, Lorenzo Forte, accenna a collusioni politiche combattute da privato cittadino prima, da consigliere comunale poi, a vicende processuali volte a dimostrare una volta per tutte il nesso di causalità tra inquinamento provocato dalle Fonderie Pisano e le troppe morti dei residenti a Fratte e non solo, a permessi ambientali concessi alla fabbrica ormai riconosciuti come illeciti, inefficaci, illegittimi.
Snocciola cifre e dati, Lorenzo, in maniera così analitica e incalzante che la mia penna, intorpidita dal retrogusto della caffeina, non riesce ad annotare.
All'improvviso mi guarda con gli occhi di chi ha stanato la mia diffidenza troppo radicata per darsi già per vinta e, quasi a prevenire l'obiezione che gli sto per muovere, chiosa sornione:<Che poi, se non bastassero i dati, i rilievi, i processi, ci sarebbe pur sempre l'esperienza comune, ovviamente corredata da analisi scientifiche: nei circa sei mesi della chiusura delle Fonderie Pisano, le polvere metalliche e gli inquinanti in genere sono quasi del tutto scomparsi.>
Giunti ormai quasi alla fine del nostro incontro, Lorenzo Forte trova il tempo di illuminarsi in volto. Ciò accade quando parla del suo "straordinario" Comitato "Salute e Vita", delle poche persone che hanno avuto il coraggio, ognuno nel proprio campo e secondo la propria specificità, di fare appieno il proprio dovere (Don Marco Raimondo, il commissario Vasaturo, il procuratore Lembo).
Ci stiamo dando la mano. Per fortuna capisce che, a questo punto, basta davvero poco per farmi ricredere sulla possibilità che ci possa essere qualcuno spinto all'azione da un interesse generale perché superiore:<Hanno detto che cerco la visibilità per mettere all'incasso "politico" il dividendo conseguito con le nostre battaglie. È tanto vero ciò, che non mi sono candidato nelle scorse elezioni comunali.>
Ognuno catapultato nel suo angolo di vita, capisco che Lorenzo Forte si batte per le stesse ragioni per cui si batte anche la maestra Anna Risi, portavoce del Comitato "Salute e Vita": non per un interesse personale (la maestra ha perso già tutto quello che poteva perdere, il marito e la figlia, entrambi stroncati da un tumore) ma "a difesa del Creato", come direbbe l'instancabile don Marco Raimondo.
E io ci credo, forse per la prima volta sicuro di non essere ingannato, soprattutto per loro, i morti delle Fonderie Pisano, "svaniti in una nebbia (inquinamento) o in una tappezzeria (politica connivente)." (Paolo Conte)

sabato 10 dicembre 2016

Puttana, Salerno (storia di una perdizione)

C'era una volta la fatina Salerno, pulzella vereconda e pudica, che venne in sposa a un contadinello.

Salerno, come kimberlite che ha in nuce il diamante, era di una bellezza ascosa che appariva solo agli occhi innamorati del suo uomo.
Attraverso il mare e fin sulle colline irrorate dal sole, venne il male che si portò via l'amore di una vita.
Ma Salerno aveva una nidiata di figli. Salerno aveva il dovere di andare avanti.
Inchiavardato il cuore nelle segrete della malinconia, l'incantevole Salerno si perse nella città.
E via le gonne slabbrate. Alla malora l'incarnato di un viso troppo naturale per lo smog del centro.
Nel breve volgere di qualche luna, Salerno s'intonò con la modernità.
A un caffè sulla litoranea, incontrò un uomo.
Anche questo giovin signore odorava di fieno. Pure cotal cavaliere riluceva di filari stesi al sole.
Salerno, allora, ripescò il suo cuore dagli abissi della malinconia, e lo disserrò.
E vennero lustri magnifici. Salerno, ormai diamante raffinato, divenne incantevole. Tutti venivano a guardarla.
Eppure, eppure.
Qualcuno obiettò: <Ma Napoli, è sempre Napoli!>
L'ambizioso compagno, allora, volle conoscere questa giovane maga, Napoli per l'appunto, che osava mettersi a paragone con la sua Salerno.
Bella, era bella. Ma quant'era malandrina, disordinata e arruffona!
Eppure, eppure.
Dopo la conoscenza della conturbante Napoli, il moroso sembrava non essere più lo stesso.
Salerno era una fatina, stupenda per la sua natura. Napoli, un'ammaliatrice di diversa fattura e complessione.
Più e più volte l'insano compagno chiese a Salerno di tradire la sua essenza.
Ad un certo punto, la sventurata rispose.
Cominciò a riempirsi di lustrini, di paillettes sempre più scoscese sulle zeppe chilometriche.
Iniziò a frequentare ancora più persone che potessero apprezzare la sua bellezza.
Fece la spola tra visagisti all'ultimo grido e tra chirurghi dall'anima plastica.
La Salerno dolce di un tempo, trascurò del tutto i suoi figli.
Capiva che avrebbe dovuto abbandonare quell'uomo che la stava svendendo nei lupanari del potere.
Ciononostante, come soggiogata da quel fine dicitore, non riusciva a distaccarsene.
Eppure, eppure.
Proprio adesso, in questo periodo che si approssima al natale, dove ormai i ninnoli luccicanti hanno strozzato l'anima della perduta Salerno, vorrebbe non aver mai disserrato quel cuore abbandonato alla malinconia.
Tra le ferite di un corpo disfatto dall'abuso, quella piccola Salerno che fu, pensa ancora al suo contadinello sperso nella dimensione del sogno.
E una lacrima, che sa di disperazione e di ribellione, scende giù dalle rigide gote.
Il tempo di un blitz.
Un'altra vagonata di clienti s'approssima alla stanza.
Salerno è qui, carne esausta, da imbrattare con l'ultima voglia.
<Puttana, Salerno!>