La Storia, a volte, si diverte a intrecciare coincidenze, fino a farne trame di pregevole fattura.
Il 25 novembre 2016, giorno e mese della morte del Leader Maximo Fidel Castro, si sovrappone a un altro 25 novembre, stavolta di ben 60 anni fa.
All'una e trenta della notte tra il 24 e il 25 novembre 1956, una barca pagata solo a metà, ancora di proprietà di un gringo la cui unica colpa è quella di avere una nonna con un nome alquanto insolito (Granma), accende i due motori e, a luci spente, inizia il suo epico viaggio.
È una notte di pioggia sferzante e vento forte.
Quella barca, il Granma per l'appunto, che qualche osservatore ben a ragione ha definito "un vascello per nani, e nemmeno tanti", con la chiglia danneggiata dal ciclone dell'anno prima, si trova, suo malgrado, a trasportare ottantadue giganti.
L'anelito di libertà, è risaputo, supera di gran lunga qualsiasi capacità umana.
Eccolo, Fidel, intabarrato nell'ardore dei suoi ideali, mentre viene sferzato dalla tramontana che spazza il Golfo del Messico.
"Fidel mi diede l'impressione di essere un uomo straordinario. Le cose più impossibili erano quelle che affrontava e risolveva. Aveva una fede eccezionale nel fatto che, una volta partito per Cuba, ci sarebbe arrivato; che una volta arrivato, avrebbe combattuto. E che combattendo, avrebbe vinto."
È dell'Ernesto Che Guevara de La Serna, questo giudizio su Castro. Già, anche lui, come Fidel, stipato sul Granma, in preda a un attacco di asma feroce che il salvifico inalatore, immolato all'ordine di Fidel di partire subito con quello che avevamo a portata di mano, per evitare che il traditore (!) avvertisse la polizia, non può disinnescare.
È un'accolita di visionari, di irresponsabili temerari, quella che la notte tra il 24 e il 25 novembre del 1956, si ammassa sullo scafo dell'imbarcazione.
A Cuba, meta di quel folle viaggio, li aspettano un dittatore sanguinario, più di trentacinquemila uomini pronti allo scontro, un esercito equipaggiato con carri armati, dieci navi da guerra, settantotto aerei da combattimento.
Eppure Fidel e il Che, avvocato l'uno, medico l'altro, entrambi amanti della lettura in un mondo di mostrine semianalfabete, conoscono il c.d. fattore X teorizzato da Tolstoj in Guerra e Pace.
"In guerra la forza degli eserciti è data dal prodotto della massa dei soldati moltiplicata per qualcos'altro, uno sconosciuto fattore X. (...) X è lo spirito di corpo, il maggiore o minor desiderio di combattere e di far fronte ai pericoli a vantaggio di tutti i soldati che compongono l’esercito, che è diverso dal porsi la questione se essi stanno combattendo con comandanti geniali o no, con randelli o con un’arma da fuoco che spara trenta volte al minuto."
Ed è proprio facendo leva su questo spirito rivoluzionario degli intrepidi ottantuno barbudos che Fidel, in una notte di sessanta anni fa, guarda sfrontato oltre le nebbie che covano la sua rivoluzione.
25 novembre 2016. Stasera, tra le volute del chilometrico sigaro, eccoti, compagno Fidel, mentre aspetti ancora una volta una picciola barca.
Avviluppato dalla nebbia, l'attesa dura poco. E non appena la lattiginosa coltre si slabbra, ti sorprendi a sorridere alla vista del Caron dimonio con occhi di bragia e con basco d'ordinanza che ti indica la murata della barca: Granma.
Hasta la victoria siempre, Comandante, e la piccola imbarcazione con ottantadue compagni a bordo salpa irriverente verso l'ennesima, infernale rivoluzione.